Il frutto amaro delle privatizzazioni Rubate le tasse di 400 comuni per 100 milioni di euro Arrestato il presidente della società Tributi Italia che sguazzava nel lusso e si permetteva yatch e aerei Su ordine della procura di Chiavari, il 3 ottobre è finito in galera, con la gravissima accusa di peculato, Giuseppe Saggese, fondatore del gruppo "Tributi Italia Spa", la prima società privata italiana specializzata nella riscossione dei tributi a livello locale. La società di Saggese (San Giorgio spa fino al 2008) è nata a Taranto come piccola concessionaria di pubblicità - la Publiconsult - ed è riuscita in pochi anni ad acquisire una quota sempre più rilevante del business tributario. Specie dopo aver rilevato società storiche come la Gestor Bari e l'Ausonia Palermo, che gli hanno portato in dote decine di comuni siciliani, tra cui diversi a forte rischio di infiltrazioni mafiose. Tant'è che oggi la potente holding tributaria di Saggese ha nel portafoglio la concessione per la gestione e riscossione dei tributi di circa 400 comuni italiani fra cui figurano grandi "clienti" come i comuni di Pescara, Bari, Bergamo, Brindisi, Bologna, Foggia, Fasano, Capaci, Palermo. Una montagna di soldi Secondo l'inchiesta condotta dal Giudice per le indagini preliminari (Gip) Fabrizio Garofalo e coordinata dal procuratore capo Franco Cozzi, Saggese si è impossessato personalmente di circa 15 milioni di euro e ha provocato un danno di circa cento milioni di euro, suddiviso in quote diverse (dai 7 milioni di Bergamo al milione di Capaci), ai 400 comuni italiani per cui lavorava attraverso una gestione a dir poco spregiudicata delle varie società che fanno capo a "Tributi Italia". Una montagna di soldi provenienti dalle tasse pagate dai contribuenti che sarebbero dovuti finire nelle casse dei comuni per i quali Tributi Italia effettuava il servizio di riscossione e che invece sono stati dirottati nei conti correnti privati di Saggese e utilizzati per acquistare auto di lusso, yacht e perfino aerei. Insieme a Saggese nel registro degli indagati a piede libero sono finite altre nove persone tutte accusate a vario titolo di peculato, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate e omesso versamento Iva. Secondo i magistrati liguri, Saggese "gestendo il gruppo secondo scelte arbitrarie, si appropriava di milioni di euro di denaro dei contribuenti utilizzandoli sulla base di valutazioni imprenditoriali suicide come quella dell'acquisto di Gestor spa, una società che aveva debiti per ben 43 milioni di euro". Secondo il Gip tali operazioni costituiscono la prova di "un comportamento assolutamente dissoluto, indice di assoluto disprezzo del fatto che si trattava di denaro appartenente alla collettività, acquisito con il sacrificio di migliaia di persone: Saggese invece... effettuava spese rilevantissime per acquistare beni o servizi che non avevano relazione con l'attività... yacht, veicoli di lusso... imponendo ai dirigenti di contrattare con soggetti a lui graditi a condizioni svantaggiose". Gli altri indagati sono: Mario Ortori, 77 anni, ex maresciallo della finanza comandante della Brigata di Recco, amministratore di Tributi Italia dal 2000 al 2008; Paolo Vito Marti, 64 anni, amministratore dal luglio 2008 al gennaio 2009; Pasquale Froio, 56 anni, amministratore dal gennaio al maggio del 2009 e Paolo Francesco Lanzoni 59 anni, attuale consigliere della Erg (la società petrolifera non è coinvolta), amministratore dal maggio del 2009 al luglio dello stesso anno; Patrizia Saggese, 43 anni, sorella di Giuseppe; Gianfranco Froio, 53 anni, amministratore della Gestor, una delle controllate, dall'agosto al dicembre 2008, Anna Anglani, 65 anni, amministratore della Gestor dall'ottobre del 2007 al gennaio del 2008, Giovanni Bucci, 56 anni, amministratore della Gestor fino al giugno 2007 e Pasquale Leobilla, 56 anni, amministratore della Gestor Spa dal giugno all'ottobre 2007. Nello scandalo sono coinvolti anche due protagonisti di altrettanti crac finanziari eccellenti. Uno è quello di Ubaldo Livolsi, l'ex manager di Fininvest e Mediaset, condannato di recente a tre anni per il fallimento della Finpart, la finanziaria che raccoglieva marchi famosi della moda e che fallì nel 2005 per oltre 100 milioni di euro. Il secondo è Arcangelo Taddeo, architetto di Brindisi ma divenuto "celebre" come amministratore delegato della Cit, la Compagnia italiana turismo, al centro di un crac da 500 milioni di euro. Dall'inchiesta risulta che sia Taddeo che Livolsi hanno ricoperto ruoli importanti dentro Tributi Italia, pur non avendo ufficialmente cariche societarie. E se a ciò si aggiunge il fatto che anche lo stesso Saggese risulta già da tempo indagato per bancarotta fraudolenta dal Pm Stefano Pesci della Procura di Roma ed era già finito in carcere per peculato nel 2009, è logico chiedersi: come è stato possibile per Tributi Italia continuare ad agire in modo così spregiudicato? Di quali e quante coperture hanno goduto Saggese e la sua banda per portare avanti una truffa così grossa a partire dal 2006 senza che nessuno se ne accorgesse? Protezioni molto in alto Eppure la legge prevede che, prima di abilitare una società privata a riscuotere tributi pubblici, ci sono una serie di verifiche da passare. L'iscrizione a un albo ministeriale, per esempio, è subordinata a "adeguati requisiti finanziari e tecnico-operativi". Ogni società dovrebbe aver aperto uno o più conti "di garanzia" in cui versare le cifre riscosse dai contribuenti. Gli enti locali possono contestare da subito i mancati pagamenti, applicando le penali, fino alla risoluzione del contratto (che in quel caso passa per almeno tre anni ad Equitalia). Come mai nessuna di queste verifiche è stata fatta? Come è stato possibile affidare per così tanti anni a uno come Saggese una fonte di guadagno fino al 30% delle cifre riscosse e infine permettergli anche di "scappare con tutta la cassa"? La verità è che nel 2010 il governo Berlusconi inserì nel cosiddetto "decreto incentivi" un articolo che consentiva a Saggese di accedere alle procedure previste dalla legge Marzano (altrimenti limitata alle imprese industriali), garantendo "la persistenza delle convenzioni vigenti immediatamente prima della data di cancellazione dall'albo" delle società autorizzate alla riscossione. Non solo. Saggese, incarcerato nel 2009 su denuncia di vari Comuni rimasti all'asciutto, fu salvato dal difensore di Berlusconi e deputato del PDL Nicolò Ghedini che contestò le accuse penali contro Saggese sostenendo che si trattava tutt'al più, di inadempienze contrattuali regolate dal codice civile. Ed è proprio sulle coperture e gli aiuti politici di Saggese che gli inquirenti stanno concentrando il lavoro. Specie dopo che la Finanza tra i tanti documenti sequestrati ha scoperto che nel libro paga della Tributi Italia figurano politici e alti generali della guardia di finanza e dei carabinieri tra sui spiccano: Antonio Pappalardo, il golpista responsabile del Cocer dei carabinieri fautore nel 2000 di un gravissimo ed eversivo piano golpista di carattere piduista, candidato alle politiche del 2001 a Taranto dall'ex squadrista e plurinquisito Giancarlo Cito tra le fila della "Lega d'Azione meridionale'' e sponsorizzato da Saggese nel suo ruolo di compositore dell'opera "Vita Nova" eseguita in Vaticano nel 2003 per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta; Castore Palmerini - generale delle fiamme gialle già comandante della Liguriae poi al vertice del Nucleo Tutela Mercati con l'allora ministro Vincenzo Visco - e sua moglie Isabella "Susy" De Martini, boss della politica e dei salotti genovesi, candidata per le ultime comunali a Genova per "La Destra", sul cui conto risultano versamenti per 8 mila euro mensili a testa per quasi un intero anno per presunte consulenze. La procura di Chiavari sta anche analizzando il passato di Saggese e le sue relazioni politiche. Negli anni '90 socio con il futuro sindaco di Recco del "centro destra" Gianluca Buccilli (nessun coinvolgimento in questa vicenda) così come uno degli indagati per Tributi Italia, Vito Paolo Marti era entrato in società una decina di anni fa in analoghe attività di riscossione con Patrizia Muratore (funzionaria del tribunale di Chiavari ed ex consigliere regionale dell'Idv), Pino Marzo (manager di Italbrokers, vicino al gruppo di potere di Massimo D'Alema e del presidente della Regione Liguria Claudio Burlando), così come un altro broker assicurativo genovese, Giovanni Pisani di Interconsult, anche lui per qualche anno impegnato nel settore della riscossione nonché vicino sia al Pd che all'Idv. Quest'ennesimo scandalo conferma, da un lato, che le privatizzazioni dei servizi pubblici non portano certo a un miglioramento ma finiscono per aggravare i disservizi, le ruberie e il malcostume e, dall'altro lato, che nel pubblico come nel privato, dalla politica alla finanza, ai grandi gruppi industriali il sistema capitalista è marcio fino al midollo e genera solo corruzione a tutti i livelli. 14 novembre 2012 |