Con la visita di Medvedev a Pechino Russia e Cina rafforzano la loro alleanza antiUsa Permane però la competizione tra loro per il controllo dell'Asia e delle risorse No allo scudo spaziale e all'interferenza negli affari interni degli altri paesi Il nuovo presidente russo Dimitri Medvedev ha scelto la Cina per il suo primo viaggio all'estero, dopo l'insediamento al Cremlino avvenuto il 7 maggio scorso, per un vertice col collega cinese Hu Jintao che ha rafforzato in funzione anti Usa l'alleanza tra i due paesi. Nella dichiarazione politica congiunta emessa il 23 maggio, al termine dei loro colloqui, Medvedev e Hu hanno ribadito le comuni posizioni sulla centralità dell'Onu per la soluzione dei problemi internazionali e sulla contrarietà dei due paesi a "azioni unilaterali" e all'"uso politico della forza" in un mondo caratterizzato da una "irreversibile tendenza multipolare". Un chiaro rigetto dell'iniziativa unilaterale del concorrente imperialismo Usa. Il documento contiene inoltre una critica verso "l'ampliamento delle alleanze politico militari realizzato per garantire la sicurezza di alcuni stati a detrimento di quella di altri", come della "creazione di un sistema globale di difesa antimissilistica, incluso il dispiegamento di tale sistema in alcune regioni del mondo". È il No congiunto di Russia e Cina all'incontenibile allargamento a Est della Nato, fino ai confini della Russia, voluto da Washington e contestato duramente da Mosca; è un No congiunto all'installazione di parti dello "scudo spaziale" americano in Polonia e Repubblica Ceca, voluto dagli Usa e appoggiato dalla Nato non certo per "proteggere" gli alleati quanto per stringere la morsa attorno alla Russia. E che la Cina teme possa essere replicato a Taiwan e in Giappone contro di lei. Nel comunicato si afferma che entrambe le parti "credono che la creazione di un sistema di difesa missilistico globale, incluso il dispiegamento di questi sistemi in alcune regioni del mondo, o piani per una tale cooperazione, non aiutino a sostenere la stabilità e l'equilibrio strategico e danneggino gli sforzi internazionali per il controllo delle armi e il processo di non proliferazione"; è la riproposizione in termini soft della minaccia di Mosca di far ripartire la corsa al riarmo. A fronte delle iniziative Usa e Nato e i due presidenti hanno avuto buon gioco nel dichiararsi a favore "dell'uso pacifico dello spazio" e "contro la corsa agli armamenti spaziali"; continuando però a sviluppare i loro progetti. L'unità di vedute fra Medvedev e Hu si è registrata anche contro le "interferenze negli affari di altri stati", una questione di principio giusta ma che a Mosca come a Pechino viene strumentalizzata per respingere le condanne del pugno di ferro che adottano contro le opposizioni e le spinte autonomiste. L'asse anti Usa tra Mosca e Pechino è evidente quando i due presidenti hanno esaltato il ruolo dell'Organizzazione di cooperazione di Shangai (Sco, nella sigla inglese), che oltre a Russia e Cina comprende Kazakhistan, Kirghizstan, Tagikistan e Uzbekistan. La Sco "si è trasformata in un fattore estremamente importante per il rafforzamento della stabilità strategica, per il mantenimento della pace e della sicurezza e per lo sviluppo di una cooperazione economica e umanitaria diversificata in Eurasia", riporta il comunicato; ovviamente "diversificata" e contrapposta rispetto a quella imperialista della Nato a guida americana. Al termine dei colloqui il presidente russo ha sottolineato che "la Russia e la Cina sono partner strategici" e che "non c'è nessuna pausa nelle nostre relazioni". Certo così è per quanto riguarda le questioni generali di poitica internazionale, un po' meno per quelle economiche e locali. Nel corso del vertice i due paesi hanno firmato importanti accordi di cooperazione economica nei settori dell'industria aeronautica, del legno e del turismo. Hanno confermato l'impegno della Rusatom, la società statale russa per l'energia nucleare, nello sviluppo della centrale elettronucleare cinese di Tianwan. Non hanno invece risolto i contrasti che hanno finora bloccato la costruzione della diramazione verso la Cina dell'oleodotto russo ESPO, che collega i pozzi della Siberia Orientale all'Oceano Pacifico; nulla di fatto anche per la richiesta russa di adeguare i prezzi del greggio stabiliti dagli accordi di due anni fa. La Cina ha bisogno del petrolio e del gas russo per sostenere il proprio galoppante sviluppo economico e Mosca non apre del tutto i propri rubinetti per tenere sotto pressione la concorrente. Tra l'altro Mosca controlla buona parte delle vie del gas e del petrolio che partono da Uzbekistan, Kazakistan e Turkmenistan (gli alleati nella Sco) e deve fronteggiare l'attacco partito da Pechino alla ricerca di canali diretti verso le tre repubbliche. Già parzialmente funzionante è un oleodotto tra Kazakistan e Cina, un altro è in fase di progetto tra Uzbekistan e Cina. Non a caso Medvedev è arrivato a Pechino via Kazakistan, dove ha incontrato il presidente Nursultan Nazarbayev col quale ha discusso di cooperazione militare ma lo ha anche pressato perché utilizzi gli oleodotti russi per esportare il petrolio del suo paese. Il controllo dell'Asia e delle risorse è terreno di scontro tra le due potenze. Tra l'altro nell'area la Russia deve contrastare anche l'offensiva di Europa e Usa che utilizzano l'oleodotto che dall'Azerbaijan passa in Turchia verso l'Europa, aggirando la Russia, e che offrono ai fornitori prezzi superiori a quelli pagati da Mosca. 25 giugno 2008 |