Relazione di Emanuele Sala alla 2ª Sessione plenaria del 5° CC del PMLI
La battaglia del PMLI per le elezioni regionali e per il XVI Congresso della Cgil

Care compagne e cari compagni,
mi è stato dato l'onore (e l'onere) di introdurre il tema all'ordine del giorno di questa seconda Sessione plenaria del 5° CC del PMLI. A questo proposito, vorrei ringraziare sentitamente l'Ufficio politico e in particolare il Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, per la fiducia che mi è stata accordata affidandomi questo importante e impegnativo compito.
Il tema della nostra discussione è, come sapete: "La battaglia del PMLI per le elezioni regionali e per il XVI Congresso della Cgil".

LE ELEZIONI REGIONALI

Partiamo dalle elezioni regionali. Anche se contemporaneamente si svolgeranno diverse e importanti elezioni provinciali e comunali che qui non tratteremo. Quando si tengono e dove? Esse si svolgeranno domenica 28 e lunedì 29 marzo 2010. La consultazione riguarda 13 regioni a statuto ordinario che sono: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. E ha il compito di eleggere i nuovi consigli regionali e, contestualmente, i presidenti di Regione. Nelle precedenti elezioni regionali del 2005 le regioni coinvolte furono 14. Manca nella circostanza, la regione Abruzzo che nel dicembre 2008 ha tenuto le elezioni anticipate a seguito delle dimissioni del presidente della regione, l'ex craxiano Ottaviano del Turco, per fatti gravi di corruzione denunciati dalla magistratura.
Il test elettorale in scadenza si presenta corposo e di importanza politica rilevante per le forze in campo che fanno capo al "centro-destra" di Berlusconi, Bossi e Fini da un lato, e al "centro-sinistra" di Bersani e Di Pietro dall'altro, con l'UDC di Casini che sta un po' con l'uno e un po' con l'altro. Lo stesso vale per l'astensionismo. Un test importante sia per la notevole quantità di elettrici e di elettori chiamati alle urne, sia perché la conquista delle regioni ha acquistato nel tempo maggiore rilevanza, in relazione al progredire del processo di "riforma" federalista dello Stato che ha assegnato più poteri ad esse.
Il raffronto con il 2005 sarà difficile, se non impossibile. Da allora ad oggi tanta acqua è passata sotto i ponti, tante cose sono cambiate. C'è stato il governo Prodi dal 2006 al 2008, finito miseramente in anticipo con grande sconcerto dell'elettorato che gli aveva dato fiducia. È cambiata la geografia dei partiti parlamentari e delle alleanze elettorali. Finita malamente l'esperienza de'"l'Unione" sulle sue ceneri nasceva il PD di Veltroni e di Rutelli. Berlusconi in un giorno inventava il Popolo delle libertà con dentro Forza Italia e AN. La Lega di Bossi, l'UDC di Casini e L'Italia dei Valori di Di Pietro invece mantennero le loro insegne. La cosiddetta "sinistra radicale" ossia il PRC, il PdCI, i Verdi e la Sinistra democratica si riuniva nella lista Sinistra arcobaleno.
Ma soprattutto ci sono state le elezioni politiche del 2008 che hanno riportato al governo il neoduce Berlusconi. Ne uscirono sconfitti il PD di Veltroni e Rutelli e in particolare la Lista Arcobaleno e i partiti che ne facevano parte che non ottennero nessun seggio né alla Camera né al Senato. La grande delusione tra l'elettorato di sinistra verso l'operato e l'epilogo del secondo governo Prodi e la sconfitta delle suddette elezioni politiche ha messo fortemente in crisi la "sinistra" borghese nelle sue varie componenti. Nel PD, Veltroni ha dovuto dare le dimissioni, gli è succeduto il suo vice, Franceschini, che ha poi perso il congresso, vinto dal dalemiano Bersani. Mentre Rutelli e i suoi seguaci sono trasmigrati verso l'UDC fondando l'Alleanza per l'Italia. L'imbroglione Bertinotti con la coda tra le gambe ha dovuto lasciare la leadership del PRC il quale, a seguito del congresso vinto da Ferrero, ha subito una scissione per mano dello sconfitto Nichi Vendola che ha dato vita, insieme a Sinistra democratica, a una nuova formazione politica liberale denominata "Sinistra, ecologia e Libertà". Prima c'era stata, sempre nel PRC, una scissione provocata da Marco Ferrando che a capo dei trotzkisti della cosiddetta "IV Internazionale" aveva dato vita a un sedicente Partito comunista dei lavoratori.
Tutto ciò ha rafforzato, non poteva che essere così, la tendenza dell'elettorato, specie popolare e di sinistra, all'astensionismo. Il quale ha resistito ai vari richiami ingannatori in funzione di diga antiberlusconiana e si è sviluppato ulteriormente. Prova ne siano le elezioni regionali in Abruzzo del 14-15 dicembre del 2008 dove ben il 50% del corpo elettorale ha disertato le urne, o ha votato bianco e nullo, con un incremento del 13,7%.

La linea astensionista confermata nel 5° Congresso
Nelle imminenti elezioni regionali noi del PMLI non abbiamo che da confermare con rinnovata forza e convinzione la scelta astensionista, non dobbiamo che rilanciare l'invito all'elettorato di ambo i sessi, a partire dai fautori del socialismo, a disertare le urne, oppure a votare bianco o nullo, un invito cioè a sfiduciare i partiti della destra e della "sinistra" borghese della quale fanno parte anche la Federazione della sinistra, PRC, PdCI e "Sinistra, ecologia e libertà". Non ci sono e non ci possono essere tentennamenti e ripensamenti perché la pratica ha confermato la giustezza di questa scelta elettorale tattica. E qui mi riferisco non solo a quanto già detto ma anche alla grave crisi economica e sociale di livello internazionale che ha colpito duramente anche l'Italia capitalista, ma anche alle politiche del governo del neoduce Berlusconi che hanno determinato un pesantissimo peggioramento dei diritti, delle libertà e delle condizioni di vita e di lavoro delle larghe masse lavoratrici e popolari del nostro Paese.
La scelta astensionista è stata confermata e ribadita solennemente in sede del 5° Congresso nazionale del PMLI, con queste parole del compagno Giovanni Scuderi: "Nel capitalismo il posto di combattimento migliore e più redditizio del Partito de proletariato riteniamo sia quello dell'opposizione governativa al di fuori del parlamento e delle istituzioni borghesi. Perché solo così può avere le mani completamente libere e realizzare i suoi compiti e obiettivi rivoluzionari, oltreché tutelare gli interessi immediati del proletariato e delle masse popolari.
Questa collocazione strategica - prosegue - è un elemento fondamentale che ci ha spinto ad adottare l'astensionismo elettorale nell'ormai lontano 1970. Esso è tuttora attuale e lo dobbiamo propagandare... Nonostante le difficoltà che abbiamo nel farlo accettare da quella parte di elettorato di sinistra che ancora continua a votare i partiti della 'sinistra' borghese, compresi i falsi partiti comunisti PRC e PdCI. Perché ancora sono troppo radicate le illusioni elettorali, parlamentari e governative dalla predicazione di oltre 100 anni dei riformisti".
Nelle Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI la nostra tattica elettorale viene spiegata così: "I marxisti leninisti non aspirano a entrare nelle istituzioni rappresentative borghesi, nazionali, regionali e locali e a governarle, ma piuttosto a combatterle, disgregarle e distruggerle per aprire la strada la socialismo.
Attualmente l'unica tattica elettorale valida per raggiungere questo scopo è quella dell'astensionismo (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco)". "Oggi che il proletariato industriale, agricolo e del terziario ha assolutamente bisogno - è scritto nelle Tesi - da una parte di conquistare la piena autonomia e indipendenza ideologica, politica e organizzativa nei confronti della borghesia e dei suoi partiti, e, dall'altra, di acquisire la coscienza di essere una classe per sé con il suo ruolo generale e con i suoi compiti rivoluzionari. Oggi che le istituzioni rappresentative borghesi in camicia nera e l'elettoralismo borghese sono completamente degenerati nel presidenzialismo, nella corruzione e nell'arrivismo. Oggi che la lunga pratica parlamentare ha dimostrato che il parlamentarismo e le altre istituzioni rappresentative borghesi costituiscono una prigione e una fonte di corruzione per il Partito del proletariato, nonché un fattore che accresce le illusioni elettorali, riformiste, governative, pacifiste e legalitarie dell'elettorato di sinistra. Oggi è più utile, più efficace alla nostra strategia rivoluzionaria utilizzare l'arma dell'astensionismo per abbattere le illusioni elettorali, parlamentari, governative, riformiste e pacifiste che frenano pesantemente la lotta contro il capitalismo, il suo Stato e i suoi governi... per delegittimare le istituzioni rappresentative borghesi e i partiti che le appoggiano e ne fanno parte; per trasformare l'astensionismo spontaneo, - è la conclusione - in astensionismo organizzato, l'astensionismo generico in astensionismo politicamente qualificato dal punto di vista anticapitalistico, antiparlamentare, antistituzionale, antigovernativo, antiregime e per l'Italia unita, rossa e socialista".
Tracciare una netta linea di demarcazione tra capitalismo e socialismo, prendere le distanze e lottare contro le istituzioni rappresentative borghesi in camicia nera, negare la fiducia ai partiti della destra e della "sinistra" borghesi, compresi quelli falsi comunisti, appoggiare e dare forza alla battaglia del PMLI per l'Italia, unita, rossa e socialista è il significato politico alto che noi diamo all'astensionismo elettorale marxista-leninista.

Un momento importante per propagandare le nostre posizioni politiche e strategiche
Sosteniamo l'astensionismo elettorale, ma non ci asteniamo certo dal partecipare attivamente alle campagne elettorali. In questa che sta per iniziare porteremo tra le elettrici e gli elettori la seguente parola d'ordine proposta dal Segretario generale: Contro il regime capitalista. neofascista, presidenzialista federalista e interventista. Vota per il PMLI e per l'Italia unita, rossa e socialista astenendoti. Contrapponiamo alle istituzioni rappresentative borghesi le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo.
La campagna elettorale è una buona occasione per propagandare le nostre posizioni politiche e strategiche, sia pure in mezzo a tante difficoltà economiche, di forze e in relazione alla "guerra" che tutte le cosche parlamentari ci fanno e al ferreo black-out che i mass-media di regime attuano nei nostri confronti. È una buona occasione anche per avvicinare chi già diserta le urne da sinistra e, più in generale, l'elettorato di sinistra, specie se operaio e popolare, che ancora vota i partiti della "sinistra" borghese anche se di malavoglia, per fare verso di loro opera di convinzione sulla bontà della linea anticapitalista e per il socialismo del PMLI per conquistarli alla causa come militanti o simpatizzanti o solo come alleati e amici. Passa anche da qui l'impegno che ci siamo presi di fare del PMLI un Gigante Rosso non solo nella testa ma anche nel corpo, sul piano organizzativo e del radicamento in tutti i luoghi di lavoro, di studio e di vita in cui siamo presenti.
Lo dobbiamo fare senza farsi intimorire delle batterie propagandistiche delle forze avversarie, delle menzogne che esse diffondono a piene mani contro chi sostiene l'astensionismo, cioè il PMLI. Scontando dissensi e incomprensioni tra i nostri più diretti interlocutori, tra la cerchia di amici e perfino di quella familiare, ancora prigionieri dell'elettoralismo e del parlamentarismo borghesi. Sapendo che questa, a livello elettorale, nell'attuale fase politica, è l'unica posizione giusta per il proletariato e le masse popolari, per gli anti-capitalisti, gli anti-berlusconiani, i fautori del socialismo. Non ci mancano gli argomenti: che sono, principalmente e nell'essenziale, quelli che ho poc'anzi esposto richiamandoli dal 5° Congresso del PMLI. Ai quali si deve però aggiungere la nostra proposta strategica delle istituzioni rappresentative delle masse astensioniste e fautrici del socialismo, attraverso la creazione delle Assemblee popolari e dei Comitati popolari ai vari livelli (di quartiere, cittadini, provinciale, regionale e nazionale) fondate sulla democrazia diretta.
Essi, come c'è scritto nelle Tesi del 5° Congresso costituiscono "il contraltare, la centrale alternativa e antagonista rispettivamente delle amministrazioni ufficiali locali e dei governi regionali e centrale", i "governi delle masse fautrici del socialismo che si contrappongono a quelli della borghesia". La proposta delle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, che è parte integrante e indivisibile della linea astensionista del nostro Partito, dobbiamo spiegarla bene e in maniera approfondita all'elettorato di sinistra. Intanto perché non venga confusa con la "democrazia partecipativa" e con i "nuovi municipi" propagandati da certi imbroglioni politici per tenere legato l'elettorato di sinistra alle istituzioni rappresentative borghesi in camicia nera. Dobbiamo inoltre chiarire come e dove si costituiscono le Assemblee popolari, come si eleggono i Comitati popolari, chi può farne parte, come funzionano, quali sono i loro compiti e obiettivi. Dobbiamo fare di tutto per creare le condizioni per incominciare a sperimentarli in qualche realtà concreta dell'Italia.

Contro il nuovo Mussolini e la terza repubblica
Una parte importante della nostra campagna elettorale non può non essere caratterizzata dalla denuncia forte del governo del neoduce Berlusconi e del suo programma per l'instaurazione della terza repubblica. Il nostro, è l'unico Partito che ha denunciato con coerenza e forza la natura neofascista di questo governo, sin dalla sua formazione, la sua azione tesa a completare l'attuazione del "Piano di rinascita democratica" e dello "Schema R" della P2 di Gelli, l'unico, salvo altri e sporadici casi, che ha stigmatizzato Berlusconi come il nuovo Mussolini. Il PMLI non ha mai dato tregua al governo Berlusconi. Ne ha bollato ogni atto in ogni campo: di politica estera e interna, di politica economica e sociale, di politica del lavoro e sindacale, in tema di giustizia, "riforme" istituzionali, emigrazione, ambientale. E così continueremo a fare. Condanniamo con forza il discorso che il neoduce ha tenuto il 3 febbraio alla Knesset per esaltare il regime sionista e fascista e per attaccare l'Iran, arrivando a definire una "giusta reazione" la criminale aggressione militare a Gaza, denominata "Piombo fuso", con il suo tremendo carico di morti e distruzioni tra i palestinesi. In quella tragica occasione l'esercito israeliano bombardò ospedali, scuole, abitazioni civili, uccise oltre mille persone, tra cui tante donne e bambini, ne ferì altre migliaia.
Il nostro Partito non ha mai abbassato la guardia, diversamente da altri che invece parlano di tramonto di Berlusconi, della sua fine imminente. Mano a mano che il neoduce si è fatto più aggressivo e arrogante, mano a mano che ha alzato il tiro nell'attuazione del suo progetto golpista e neofascista, il PMLI ha intensificato la sua denuncia e ha chiamato le masse a scendere in piazza per abbatterlo. Ne è prova il documento dell'Ufficio politico del PMLI del 31 agosto 2009 che porta il titolo: "È ora di scendere in piazza per liberarsi del nuovo Mussolini". In esso sono dette parole chiare e dirompenti! Ovvero: gli antifascisti non possono non vedere e denunciare la vera natura di questo governo; Berlusconi si sta comportando come un nuovo Mussolini ed ha restaurato il fascismo sotto nuove forme, nuovi metodi, nuovi vessilli; egli assoggetta al governo le istituzioni e cancella le libertà democratiche-borghesi e i diritti sociali, sindacali e civili; la Costituzione del '48 è ormai carta straccia giacché nel nostro Paese è stato instaurato un regime neofascista i cui caratteri sono il presidenzialismo, il federalismo, l'interventismo, il razzismo e la xenofobia. Da qui l'appello agli antifascisti affinché prendano coscienza di ciò e assumano le misure che occorrono; da qui l'appello alle masse a scendere in piazza "per abbattere la nuova dittatura fascista", da qui l'appello a chi ha la forza di chiamare le masse a cacciare Berlusconi, "altrimenti si assumerà una responsabilità storica che non sarà mai cancellata".
In questo ambito, ai sindacati confederali e non confederali abbiamo chiesto ripetutamente lo sciopero generale di tutte le categorie con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi. Alla fine è arrivata la decisione, tardiva, della Cgil di proclamare uno sciopero generale per il 12 marzo prossimo sui temi della crisi, del fisco e dell'immigrazione. Però di sole 4 ore e con manifestazioni locali sulla base di una piattaforma vaga, insufficiente e senza un minimo cenno contro Berlusconi. Certo non è facile promuovere la mobilitazione generale sapendo che Cisl e Uil non partecipano, anzi boicottano. Ma è ciò che occorre fare e che deve essere fatto. Perché il problema occupazionale è diventato drammatico: sono circa un milione i posti di lavoro persi dal 2009, ci sono fabbriche fondamentali per il territorio dove sono collocate, come Fiat di Termini Imerese in Sicilia, l'Alcoa in Sardegna che rischiano la chiusura. Di queste situazioni ce ne sono a centinaia in ogni parte del Paese; vedi il caso recente dell'Omsa di Faenza dove i dipendenti, quasi tutte donne, rischiano il licenziamento. Ma anche la grave crisi in cui versa la Merloni di Fabriano sull'orlo del fallimento, con 1.200 lavoratori in cassa integrazione e un indotto di migliaia di lavoratori senza commesse. Ci vuole lo sciopero generale perché l'esigenza di alleggerire in modo consistente le tasse sui lavoratori e sui pensionati, di eliminare gli effetti del fiscal-drag su salari e pensioni, di aumentare la pressione fiscale su rendite e patrimoni non è più rinviabile. Perché, dopo i fatti vergognosi avvenuti a Rosarno la lotta contro il supersfruttamento dei migranti e la conquista di pari diritti ha assunto importanza primaria.
Comunque, si è visto, nei mesi successivi, quanto questo nostro appello a scendere in piazza per buttare giù il nuovo Mussolini fosse fondato e necessario. Si è infatti assistito a un Berlusconi scatenato e senza freni buttarsi all'attacco per demolire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, in modo da renderla inoffensiva e assoggettarla all'esecutivo, per controriformare la Costituzione in senso piduista e presidenzialista. Ciò anche a seguito della bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale e della ripresa dei processi che lo chiamano pesantemente in causa. Senza farsi condizionare più di tanto dalla fronda opportunista che da qualche tempo ha sviluppato il presidente della Camera ed ex leader di AN, Gianfranco Fini, che si propone come punto di riferimento della destra per un dopo Berlusconi.
Non va dimenticato il comizio dell'11 ottobre 2009 alla festa del PDL di Benevento, dove il neoduce ha attaccato a testa a bassa la magistratura, la Consulta e la stampa (quella che si permette di criticarlo), e ha rilanciato la controriforma costituzionale che gli garantisca, oltre all'impunità, il potere assoluto e insindacabile e lo incoroni come il padre storico della terza repubblica. Nemmeno va dimenticato il suo clamoroso e violentissimo intervento golpista tenuto l'11 dicembre dello scorso anno al Congresso del PPE a Bonn, nel corso del quale ha attaccato il "partito dei giudici" che avrebbe sostituito la "sovranità popolare", la Corte costituzionale che si sarebbe trasformato in un "organo politico" dominato dalla sinistra per arrivare a dire che "ha le palle" per far piazza pulita della Costituzione. "Tutto questo cambierà", "cambieremo la Carta", disse minacciosamente in quella circostanza.
Come non sottolineare, in quest'ambito, il golpe istituzionale della maggioranza governativa rappresentata dal PDL e dalla Lega Nord per far approvare il cosiddetto "processo breve" con aspetti evidenti di anticostituzionalità che, una volta varato definitivamente, oltre a mettere al riparo il cavaliere piduista di Arcore dai suoi guai giudiziari pendenti (i processi Mills, Diritti Tv, Mediatrade, Saccà, per non dire di quello sui mandanti delle stragi mafiose del '92 e '93 messe in atto dai corleonesi di Totò Riina) rischia di far saltare per prescrizione migliaia e migliaia di processi per reati finanziari, di mafia, delitti sul lavoro, ecc.; come quelli Cirio, Parmalat, Thyssen-Krupp, terremoto a L'Aquila, devastazione e strage nella stazione di Viareggio, per citare i più conosciuti. Si vuole garantire l'impunità futura alla criminalità organizzata, ai "colletti bianchi" collusi con la mafia e ai politici corrotti. Si paventa insomma la possibilità di un'amnistia mascherata.
Intanto alla Camera è passata la legge sul cosiddetto "legittimo impedimento", voluta da Berlusconi, che permette al presidente del consiglio e ai ministri di non presentarsi alle udienze dei processi che li riguardano, essendo occupati in "doveri istituzionali".
La stessa "riforma" della scuola superiore che si rifà a quella di Gentile, dividendo l'istruzione in serie A e in serie B, conferma la natura di destra e antipopolare di questo governo.
Dobbiamo insistere affinché le masse lavoratrici e popolari, i democratici e gli antifascisti prendano coscienza sulla natura e sugli obiettivi del governo Berlusconi. Una presa di coscienza che ancora non c'è in modo sufficiente, chiaro e conseguente. Tuttavia qualcosa di nuovo e importante si è mosso. Mi riferisco alla manifestazione nazionale NoBDay, organizzata via internet e tenutasi il 5 dicembre a Roma, con la partecipazione straordinaria di 1.500.000 manifestanti, in prevalenza giovani e giovanissimi. In pratica è nato un movimento di massa che ha preso il nome di "Popolo Viola" i cui protagonisti sono una nuova generazione di antifascisti e antimafiosi, anche se non ancora anticapitalisti conseguenti e fautori del socialismo. Antifascisti perché in base alla loro esperienza diretta hanno capito che Berlusconi è un nuovo Mussolini ammanigliato con le mafie. "Una buona base di partenza - si legge nella lettera di ringraziamento del responsabile della Commissione per il lavoro di organizzazione del CC del PMLI ai militanti e ai simpatizzanti del Partito che hanno partecipato alla suddetta manifestazione - sulla quale noi possiamo lavorare per far maturare la coscienza anticapitalista e fautrice del socialismo". Come ha indicato il compagno Scuderi, noi dobbiamo lavorare dentro questo movimento di lotta attivamente e con un leale spirito di fronte unito per raggiungere l'obiettivo comune delle dimissioni di Berlusconi; senza però nascondere la nostra posizione sulla Costituzione, su Napolitano e sul partecipazionismo elettorale, parlamentare, governativo. Come abbiamo fatto in diverse città in occasione dei sit-in del "Popolo Viola" del 30 gennaio in cui abbiamo fatto una meritoria opera di chiarificazione sulla erroneità della parola d'ordine "per la difesa della Costituzione".

Presidenzialismo e federalismo
Le elezioni regionali offrono un ampio spazio per denunciare duramente sia il presidenzialismo, sia il federalismo che sono due pilastri strettamente collegati tra loro della terza repubblica. Il presidenzialismo nel nostro Paese è stato introdotto anzitutto a livello regionale con legge costituzionale n.1 del 22 novembre 1999 che prevede l'elezione diretta del presidente della giunta regionale col sistema maggioritario, cioè vince chi arriva primo dei candidati, anche se i suoi consensi rappresentano una minoranza dell'elettorato e gli assegna, in nome della governabilità, un potere smisurato. Come quello di nomina e revoca dei componenti della sua giunta.
Il potere dei governatori regionali è cresciuto enormemente mano a mano che è andato avanti il processo di trasformazione dello Stato borghese da unitario a federalista. Il federalismo, da sempre cavallo di battaglia della Lega Nord razzista, xenofoba, separatista e neofascista di Bossi. è diventata gradualmente anche la bandiera prima dei DS e dell'Ulivo, oggi del PD, non disdegnato neppure dai partiti falsi comunisti. Tanto è vero che fu il governo di "centro-sinistra" a varare nel 2001 la controriforma del titolo V della Costituzione che ha aperto la strada della cancellazione dello Stato unico e indivisibile e la creazione di 20 staterelli, pari a quanto sono le regioni nel nostro Paese.
Questo processo di divisione dell'Italia ha fatto un ulteriore e grave passo in avanti il 29 aprile 2009 con l'approvazione in parlamento del federalismo fiscale che rafforza la devolution di ampie materie di politica economica sociale e amministrativa a favore delle regioni, fornendo ad essa una base finanziaria. Le conseguenze negative per le masse popolari, in primis quelle del Mezzogiorno, si sono già fatte sentire, conseguenze che si aggraveranno negli anni. Le diseguaglianze, non solo di reddito ma complessivamente territoriali (struttura industriale, infrastrutture, occupazione, scuola, sanità, servizi pubblici e sociali) sono tornate ad aumentare. Di questo processo federalista infatti ne traggono vantaggio le regioni ricche a danno di quelle più povere e meno sviluppate, le regioni del Nord e a seguire quelle del Centro, mentre per quelle meridionali e le isole si amplia il divario. Ciò specialmente in un periodo di grave crisi economica come quella odierna, ancora in atto, che ha investito pesantemente l'Italia e non solo. I dati Svimez stimano che a causa del federalismo fiscale ci sarà uno spostamento di risorse per un miliardo di euro dal Sud al Nord del Paese.
Noi del PMLI abbiamo sempre considerato questa controriforma federalista una jattura per le larghe masse popolari, un nemico della classe operaia italiana del Nord, del Centro e Sud, in quanto rompe la solidarietà e l'unità di classe, mette lavoratori contro lavoratori, né indebolisce la forza contrattuale, ideologica e politica e li lega ai vari carri delle singole borghesie locali in feroce concorrenza tra di loro. Questo spiega, in parte, come sia stato possibile che alcuni operai del Nord abbiamo potuto votare la Lega. Non è un caso che il caporione leghista Bossi abbia insistito tanto sui salari differenziati, sulla "gabbie salariali", sul federalismo contrattuale, ovvero sui contratti di lavoro regionali al posto di quelli nazionali.
Nel condurre la nostra campagna elettorale a sostegno dell'astensionismo elettorale contro i partiti della destra e della "sinistra" borghese, contro il nuovo Mussolini e il suo governo, contro la terza repubblica per l'Italia unita rossa e socialista non possiamo e non dobbiamo limitarci a fare un discorso di carattere generale che pure è importante e va fatto. Così non saremmo compresi dalla maggioranza dell'elettorato che non possiede né una sufficiente coscienza politica né adeguati strumenti culturali. Bisogna invece andare sul concreto, calare la nostra analisi, la nostra denuncia, la nostra proposta politica e strategica a livello locale, a livello regionale. Trattando di persone, cose e fatti che gli elettori conoscono bene perché fanno parte dell'ambiente in cui vivono, perché sono esperienze che hanno subito sulla loro pelle.
In ogni regione dove si svolgono le elezioni e dove il Partito è presente e opera dobbiamo fare un bilancio della giunta regionale uscente, evidenziando le cose fatte e non fatte, mettendo in rilievo in particolare quei provvedimenti in campo economico, sociale, del lavoro e amministrativo che più degli altri hanno danneggiato gli interessi e i bisogni delle masse, sottolineando i problemi più importanti e urgenti che sono rimasti senza risposta, denunciando gli atti di corruzione e di malaffare che l'hanno contraddistinta. Dobbiamo passare al pettine le biografie dei candidati a presidente della regione e dei principali candidati ai consigli regionali. Dobbiamo sottoporre ad analisi critica, con una visione di classe proletaria rivoluzionaria, i programmi elettorali dei partiti della destra e della"sinistra" borghese e delle relative coalizioni. Dobbiamo avanzare all'elettorato di sinistra nostre proposte rivendicative per la soluzione dei problemi delle masse. Quello del lavoro, non precario ma stabile a salario pieno, la chiusura delle fabbriche e i licenziamenti, i salari e le pensioni, gli infortuni sul lavoro, la casa e gli affitti, i servizi sociali, la sanità, i diritti ai migranti, le strutture per i giovani, la lotta alla povertà, e altro ancora. Senza dimenticare i cosiddetti beni comuni, l'acqua che per noi dev'essere pubblica, l'energia che per noi dev'essere prodotta essenzialmente con fonti naturali, pulite e rinnovabili, evitando di tornare al nucleare come vorrebbe fare il governo. Lo stesso dicasi per i rigassificatori la cui costruzione deve essere bloccata.
In questa direzione hanno incominciato a lavorare e molto bene i nostri compagni della Lombardia. Mi riferisco all'ottima relazione che porta il titolo significativo: "Stroncare coll'astensionismo la giunta Formigoni e il neofascista 'modello lombardo' - Non dare alcun credito al rinnegato Penati e alla complice 'sinistra' borghese", tenuta all'incontro regionale del PMLI il 9 dicembre scorso a Milano, pubblicata su Il Bolscevico n. 4/2010. Dove troviamo una conoscenza approfondita della realtà lombarda, una critica puntuale assai efficace alla giunta Formigoni additata come modello per tutto il "centro-destra", una denuncia forte del federalismo, della privatizzazione dei servizi sociali e sanitari e della sussidiarietà che in quella regione ha un'applicazione forte e diffusa. Una valida base di partenza questa, per proseguire un lavoro di approfondimento e formulare nostre proposte, per presentarci alle elettrici e agli elettori lombardi con una posizione forte e convincente.
Su questo piano i compagni della Campania, sotto la direzione del Responsabile regionale, compagno Franco Di Matteo, si erano già mossi, con un documento del 30 novembre scorso, pubblicato su Il Bolscevico n. 48/2009, che mette in luce il bilancio fallimentare della giunta Bassolino e illustra la proposta alternativa del PMLI. In esso c'è un'approfondita conoscenza della situazione economica, politica e sociale della Campania, sono denunciati i problemi più rilevanti che pesano sulle masse, la mancanza di lavoro anzitutto, l'elenco dei disastri combinati dalla giunta Bassolino, la copertura dei falsi comunisti, è spiegata la nostra proposta astensionista e delle istituzioni rappresentative delle masse. Un lavoro che deve proseguire. Come è stato fatto nell'articolo pubblicato sul nostro giornale di recente che denuncia lo smantellamento della sanità pubblica in Campania da parte di governo e Regione.
Anche i compagni della Toscana si sono portati avanti con il lavoro con l'ampio e brillante articolo, redatto dalla compagna Claudia Del Decennale, con il titolo: "La Toscana di Martini e Rossi, privatizzazioni e infrastrutture - Per la Toscana governata dal popolo e al servizio del popolo, per l'Italia unita, rossa e socialista, alle regionali occorre votare il PMLI astenendosi" pubblicato su Il Bolscevico n. 4/2010. Dove si trovano tutti gli elementi di denuncia riferiti sia all'operato della vecchia giunta regionale, sia al candidato di "centro-sinistra" a presidente regionale, per portare avanti la campagna elettorale. Che acquisteranno maggiore incisività se sapremo completarli con nostre proposte specifiche di carattere economico, sociale e amministrativo.
Questi compagni delle regioni che ho evidenziato, lodevolmente hanno aperto la strada. Si deve seguire il loro esempio anche nelle altre regioni dove siamo presenti e facciamo campagna elettorale. Penso all'Emilia-Romagna, principale roccaforte dei rinnegati del comunismo, penso al Piemonte, penso al Lazio, dove per conquistare la seggiola presidenziale si fronteggiano la candidata della destra, Renata Polverini, finiana e segretaria dell'UGL, e la candidata del "centro-sinistra", Emma Bonino, radicale e liberista. Due destre doc. Penso alla Puglia, dove è più difficile smascherare l'imbroglione trotzkista e liberale Nichi Vendola, che non può sottrarsi dal colossale scandalo sanitario che ha investito la sua precedente giunta.
A ben vedere, in sede di bilancio non si riscontrano differenze sostanziali tra le regioni governate dal "centro-destra" e quelle governate dal "centro-sinistra": malgoverno, scandali, collusioni con le mafie, privatizzazioni, disattenzione dei bisogni dei lavoratori, dei ceti popolari in genere e delle periferie urbane, provvedimenti razzisti contro gli immigrati, rom in testa, la fanno da padrone in ambedue i casi.

IL CONGRESSO DELLA CGIL

Care compagne e cari compagni,
ora dirò qualcosa sul secondo argomento di questa nostra riunione, ossia il XVI congresso nazionale della Cgil. Il cui iter è già in atto per quanto se ne senta parlare poco. Sono partite le assemblee congressuali di base e di Lega Spi, cui faranno seguito i congressi delle categorie territoriali, delle Camere del Lavoro territoriali e metropolitane e le categorie regionali; poi si svolgeranno i congressi regionali della Cgil, i congressi nazionali delle categorie, il congresso nazionale dello Spi e infine il congresso nazionale della Cgil previsto dal 5 all'8 maggio a Rimini.
Da quel poco che trapela si apprende che i sostenitori della prima mozione, quella di Epifani, stanno commettendo gravi e intollerabili scorrettezze nei confronti della seconda mozione congressuale impedendo così un leale confronto e una leale votazione dei documenti. Mimmo Moccia per "La Cgil che vogliamo" con una lettera del 20 gennaio ai segretari generali di categoria nazionali regionali e di Camera del Lavoro ha fatto notare loro che il regolamento non è correttamente applicato in relazione alla presentazione dei calendari, al cambio improvviso di date, alla estromissione della rappresentanti della seconda mozione nel momento del voto e dello scrutinio di esso. E ha chiesto che siano rimossi tutti gli ostacoli che impediscono il regolare svolgimento del congresso.
In molte assemblee congressuali viene presentata solo la mozione uno. C'è il rischio che i risultati dei congressi vengano manipolati e falsificati da parte dei sostenitori di Epifani. Lo hanno denunciato in modo clamoroso i membri del Comitato nazionale di garanzia per il XVI Congresso che fanno capo alla seconda mozione, autosospendendosi dall'incarico. Ciò a seguito di una interpretazione interessata e forzata del regolamento che, di fatto, altera il voto nel congressi dei pensionati e il peso di esso nei congressi confederali, ovviamente a sostegno della mozione Epifani. Pare che nel direttivo nazionale della Cgil del 2 febbraio ci sia stato un richiamo, sottoscritto all'unanimità, al rispetto rigoroso delle regole e al rispetto del voto individualmente espresso in tutte le platee congressuali a tutti i livelli. Si vedrà!
Da parte nostra, il Partito si è mobilitato per tempo per assumere una sua posizione, per fornire ai lavoratori e pensionati militanti e simpatizzanti del PMLI le indicazioni di linea e quelle tattiche per condurre la battaglia congressuale. In una circolare inviata nel dicembre scorso alle istanze di base e intermedie del Partito, a firma del responsabile della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI, abbiamo spiegato le scelta operata, i motivi di questa scelta e gli obiettivi da perseguire nel corso dello svolgimento dei congressi della Cgil. Ossia di sostenere il documento congressuale denominato: "La Cgil che vogliamo" proposto da Domenico Moccia (segretario generale della Cgil-bancari), Gianni Rinaldini (segretario generale della Fiom), Carlo Podda (segretario generale della Fp) e Giorgio Cremaschi (segretario nazionale della Fiom e leader di "Rete 28 aprile"), in alternativa a quello presentato dal segretario generale, Guglielmo Epifani denominato: "I diritti e il lavoro oltre la crisi". Appoggiato, quest'ultimo, da Nicola Nicolosi coordinatore nazionale dell'ex sinistra Cgil "Lavoro Società)", la quale ha ormai fatto il "salto della quaglia".

Il documento alternativo: "La Cgil che vogliamo"
Sia chiaro, noi non ci sentiamo pienamente rappresentati dal documento alternativo. Tuttavia, le posizioni che esso esprime sono da parte nostra più condivisibili, anche se vi sono aspetti criticabili e non accettabili; soprattutto, da un punto di vista strategico; il modello di sindacato proposto non è quello per cui noi ci battiamo. Inoltre, tra i due schieramenti che si fronteggiano al congresso, la stragrande maggioranza della sinistra della Cgil è dalla parte di questo documento e noi non possiamo non fare fronte unito con essa. Nell'articolo pubblicato sul n.44/2009 de Il Bolscevico con il titolo: "Iniziato il cammino verso il 16° Congresso della Cgil - Sosteniamo il documento alternativo 'La Cgil che vogliamo'. Ma il nostro modello di sindacato è diverso", ci sono nel dettaglio i motivi di questa scelta che in parte e in sintesi mi pare utile richiamare
Anzitutto le caratteristiche di fondo del documento alternativo che sono: una critica all'operato dell'attuale segreteria; una insoddisfazione e un dissenso sulle proposte congressuali di Epifani; la richiesta di svolgere un congresso vero, con una discussione vera, libera da conformismi e ordini di scuderia; l'esigenza di operare una radicale discontinuità con il passato, superando compatibilità imposte da altri e pratiche concertative fallimentari e di realizzare un cambiamento della linea della Cgil per adeguarla ai tempi che stiamo vivendo, per certi versi di tipo straordinario.

Le quattro priorità e i sette punti programmatici
Di seguito rammento le quattro priorità sintetizzate in questo documento che sono: la prima, una lotta decisa alla crescente diseguaglianza delle condizioni e delle opportunità, attraverso nuove politiche pubbliche, la redistribuzione della ricchezza in termini di politiche fiscali, accesso al welfare, difesa dei beni comuni, contrattazione. La seconda, una lotta al precariato e alla riduzione dei diritti del lavoro, attraverso l'unificazione del "mercato del lavoro" nel segno della qualità e della stabilità, condizione prima perché le nuove generazioni possano concepire e realizzare il proprio progetto di vita. La terza, una lotta per sconfiggere il modello contrattuale nato dall'accordo del 22 gennaio 2009 e per conquistare un nuovo sistema contrattuale. Lotta che affermi nella pratica rivendicativa un'autonomia negoziale della contrattazione confederale e categoriale a tutti i livelli, nel privato e nel pubblico, fondata sulle nostre scelte strategiche. La quarta priorità, infine, una lotta per conquistare una compiuta democrazia sindacale, strumento indispensabile per rafforzare la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici che è stato messo in crisi da Cisl e Uil.
Il documento alternativo propone sette punti programmatici che sintetizzano una piattaforma. Per prendere visione nel dettaglio di essi, rimando al n.48/2009 de Il Bolscevico dove è stato pubblicato il testo della mozione "La Cgil che vogliamo".

Il nostro modello di sindacato
Mai come in questo congresso si pone al centro del dibattito il tema quale modello di sindacato è più adatto a difendere gli interessi dei lavoratori (migranti compresi) e dei pensionati, dei precari e dei disoccupati di ambo i sessi Un tema che ha assunto importanza e attualità anche a seguito degli avvenimenti legati agli accordi separati del 22 gennaio e del 15 aprile 2009 sottoscritti da governo, Confindustria e sindacati complici Cisl e Uil, contro la volontà della Cgil che modificano regole contrattuali, relazioni sindacali e modello contrattuale in senso filopadronale e neocorporativo. A cui hanno fatto seguito gli accordi separati, ancora senza la firma della Cgil, sui rinnovi dei contratti di lavoro, con quello dei metalmeccanici in testa.
Nel documento alternativo che noi abbiamo scelto di appoggiare, c'è una proposta interessante di modello di sindacato, diverso e migliore da quello perseguito da Epifani. Ma l'obiettivo strategico che noi proponiamo è più ambizioso e, c'è da aggiungere, più consono alla nostra strategia politica per l'Italia unita, rossa e socialista: ed è quello di unificare dal basso, nel tempo e al di là delle tre confederazioni sindacali esistenti ma anche di quelli non confederali (più conosciuti come "sindacati di base"), tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori in un grande sindacato fondato sulla democrazia diretta e il potere sindacale contrattuale all'Assemblea generale de lavoratori. Questa proposta sindacale strategica coraggiosa e assolutamente innovativa nella storia del movimento sindacale italiano, il PMLI la lanciò per la prima volta il 6 febbraio 1993 con un documento dell'Ufficio politico del PMLI titolato: "È ora di costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori". Gli eventi sindacali che si sono succeduti da allora ad oggi non hanno indebolito ma rafforzato questa proposta sindacale che, non per caso, è stata ribadita in pieno e rilanciata in sede di 5° Congresso nazionale del PMLI.
Questi i pilastri su cui fonda il sindacato dei lavoratori e delle lavoratrici: totale autonomia e indipendenza dal governo, dai padroni e dai partiti; rifiuto a livello di principio delle compatibilità economiche capitalistiche, cosi come del "patto sociale" e delle pratiche concertative e neocorporative; la difesa strenua dei diritti e degli interessi dei lavoratori dei pensionati come unica finalità dell'azione sindacale; la centralità dell'assemblea generale come luogo di assunzione delle decisioni e dell'approvazione delle piattaforme rivendicative e degli accordi contrattuali; il vincolo del mandato dei lavoratori per le trattative e la chiusura delle vertenze sindacali; un sistema di rappresentanza sindacale che dal basso proceda verso l'alto, dal luogo di lavoro al territorio ai vari livelli comunale, provinciale, regionale e nazionale, basato sulla libera elezione dei delegati, secondo il principio che tutti lavoratori sono elettori ed eleggibili ma sono anche revocabili in ogni momento venendo a mancare la fiducia di chi rappresenta. Vale per le categorie e vale per il livello confederale
Noi operiamo "per spostare a sinistra la lotta sindacale, la Cgil e il movimento sindacale; per unire la sinistra sindacale dentro e fuori al Cgil; per costruire il sindacato delle lavoratori e dei lavoratori" ebbe a dire il compagno Scuderi in una importante riunione della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI. E aggiunse: "Il nostro strumento sindacale organizzativo è la Corrente sindacale di classe (CSC) composta dai militanti e dai simpatizzanti del Partito attraverso la quale dobbiamo tentare di riunire tutta la sinistra esistente dentro e fuori la Cgil che continua ad essere il nostro principale sindacato di riferimento su una piattaforma condivisa e di far maturare le condizioni per la creazione del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori".
Spetta ai lavoratori e pensionati militanti e simpatizzanti del PMLI sostenere questa proposta sindacale nei congressi della Cgil a cui parteciperanno con coraggio e determinazione, con intelligenza tattica e in modo dialettico. A partire dagli interventi in appoggio al documento alternativo "La Cgil che vogliamo", senza però rinunciare a caratterizzarli in base alla nostra analisi politica e, appunto, alla nostra proposta di modello sindacale. Là dove siamo presenti e dove ci sono le condizioni materiali dobbiamo stare in prima fila, essere attivi e propositivi, unirsi con tutta la sinistra, per fare esperienza ma anche per raccogliere risultati concreti in termini di autorevolezza, relazioni, posti di responsabilità.
Già sta avvenendo. Nostri compagni, anche membri del CC e dell'Ufficio politico, partecipando ai congressi di base, si sono battuti con coraggio a sostegno delle nostre posizioni sindacali, ricevendo non di rado gli applausi e i complimenti dei presenti.
Dal sito "La Cgil che vogliamo" si apprende che la mozione alternativa sta riscuotendo significativi successi in importanti fabbriche. Alla Bertone di Torino essa ha vinto su quella di Epifani con 717 voti a 2; alla Brembo di Curno (Bergamo) ha vinto 144 a 18; alla Same di Treviglio ha vinto con 248 voti a 8; alla Fincantieri di Porto Marghera il documento alternativo si è affermato con 334 consensi a 32; analogo risultato alla Fincantieri di Ancona dove ha prevalso con 354 voti a 2. La mozione di Epifani ha perso anche alla Piaggio di Pontedera dove ha raccolto solo 104 voti rispetto ai 229 sì alla mozione due; lo stesso è accaduto alla Fiat di Pomigliano d'Arco dove Epifani ha preso solo il 29% dei voti, e alla Ergom sempre di Pomigliano, dove la sconfitta è stata schiacciante, avendo ricevuto appena il 3% dei voti.
Detto questo, tuttavia è possibile che in molte realtà la seconda mozione si troverà in minoranza. Ma questo non ci deve spaventare, né indurre ad ammorbidire le nostre posizioni e a cambiare l'indirizzo di voto. Magari in cambio di una delega per il congresso successivo o di un posto nel direttivo. Noi il consenso delle lavoratrici e dei lavoratori lo dobbiamo conquistare sulla base della linea sindacale del Partito e delle relative scelte tattiche.
Prima di concludere ho da porre al Comitato centrale un quesito e una proposta. Quando a suo tempo formulammo la sigla del sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, si dette per inteso che esso comprendeva anche pensionati. Tuttavia di recente il Segretario generale ha posto il quesito se per evitare equivoci e in ogni caso per essere espliciti e completi non fosse il caso di aggiungerli. Da qui la proposta che sottopongo alla vostra attenzione di riformulare la suddetta sigla in Sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati.
Grazie per l'ascolto.
Viva la Seconda riunione plenaria del 5° CC del PMLI.
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!

10 febbraio 2010