Rapporto annuale Istat radiografa l'immiserimento crescente dei lavoratori Salari fermi da 20 anni In forte crescita la disoccupazione giovanile. S'allarga il divario Nord-Sud. Milioni di famiglie costrette a rinunciare a beni di prima necessità Salari fermi al 1993; redditi delle famiglie precipitati ai livelli di dieci anni fa; potere d'acquisto in picchiata di 5 punti percentuali rispetto al 2008; propensione al risparmio al minimo storico, mentre continuano inesorabilmente a crescere sia la disoccupazione che il divario Nord-Sud. È questa in sintesi l'amara realtà che vivono la stragrande maggioranza delle famiglie italiane e fotografata dall'Istat nel "Rapporto annuale 2012 sulla situazione del Paese". Il reddito disponibile delle famiglie italiane in termini reali "è diminuito nel 2011 (-0,6) per il quarto anno consecutivo, tornando sui livelli di dieci anni fa". È quanto ha detto il presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, durante la presentazione del rapporto. Il reddito procapite è inferiore del 4% a livello del 1992 e del 7% a quello del 2007. In 4 anni, ha aggiunto, la perdita in termini reali è stata pari a 1.300 euro a testa e la propensione al risparmio delle famiglie è scesa dal 12,6% all'8,8%. Non solo: "Quest'anno la spesa complessiva per i consumi calerà ancora del 2,1 per cento, anche a causa delle misure 'lacrime e sangue' messe in campo dal governo", ha affermato ancora Giovannini. Una situazione a dir poco drammatica che condanna milioni di famiglie operaie e popolari alla povertà, alla precarietà e a un'ulteriore compressione dei consumi non di beni superflui ma soprattutto di quelli di prima necessità come gli alimentari che, come afferma la Confederazione italiana agricoltori (Cia), si ridurranno ulteriormente anche nel corso del 2012. "Già in questi primi cinque mesi del 2012 - ha aggiunto la Cia - i comportamenti d'acquisto messi in atto dalle famiglie rispecchiano quella prudenza registrata anche nel 2011: gli italiani continuano a comprare poco e, quando lo fanno, passano per sconti e offerte della grande distribuzione o cercano il massimo risparmio nelle cattedrali del 'low-cost'. Oltre la metà delle famiglie afferma di aver dovuto modificare il menù quotidiano, il 35 per cento di limitare gli acquisti e quasi il 40 per cento di rivolgersi quasi esclusivamente a promozioni commerciali e discount. Significa che quasi 10 milioni di famiglie - continua la Cia - oggi riempiono di meno le buste della spesa, spesso perdendo anche in qualità del prodotto. Una tendenza molto più forte al Sud che al Nord, anche perché (come testimonia oggi l'Istat) la percentuale di famiglie che si trovano al di sotto della soglia minima di spesa per consumi è al 4,9 per cento nell'Italia settentrionale contro il 23 per cento nel meridione''. ''Insomma, si tratta di una situazione drammatica che il previsto nuovo aumento dell'Iva non potrà che peggiorare, costando agli italiani quasi un miliardo solo per le spese alimentari. Ma non c'è alcuna possibilità di ripresa economica - conclude la Cia - senza una parallela ripresa dei consumi domestici delle famiglie''. Tornando ai dati Istat, l'indagine mette in rilievo che sul fronte dei prezzi "il tasso di inflazione è quasi raddoppiato nel 2011 rispetto all'anno precedente" e l'aumento dei prezzi dei prodotti acquistati più frequentemente, il cosiddetto "carrello della spesa" composto ad esempio da alimentari e abbigliamento, è stato "particolarmente elevato". Tutto ciò si è tradotto in una "debolezza della spesa per consumi" causata soprattutto da una "progressiva riduzione del potere d'acquisto delle famiglie". Dunque, la minore spesa per acquisti non ha evitato una parallela "riduzione della propensione al risparmio". Dall'inizio della recente crisi capitalistica sul fronte economico e finanziario, cioè dal 2008, le famiglie hanno visto crescere del 2,1% il reddito disponibile in valori correnti, cui è corrisposta una riduzione del potere d'acquisto (cioè, in termini reali) di circa il 5%. Contemporaneamente, però, aumenta il carico fiscale a carico delle famiglie. Che dal '92 a oggi è aumentato di due punti. Nel periodo 1992-2011, infatti, si è registrato un progressivo aumento del carico fiscale corrente sulle famiglie, passato dal 13,2% degli anni 1992-1996 al 14,1% del periodo 2011-2007, per raggiungere il 15,1% nel 2011. Il risultato è che nel 2011, per compensare la diminuita capacità d'acquisto, le famiglie hanno dovuto ridurre drasticamente la propensione al risparmio (definita dal rapporto tra il risparmio lordo delle famiglie e il loro reddito disponibile), portandola all'8,8%, che è il valore più basso mai registrato dal 1990. A pagare il prezzo più alto sono ancora una volta la popolazione del Mezzogiorno. Al Sud infatti risultano povere 23 famiglie su 100, al Nord 4,9 (dati 2010). Il 67% delle famiglie e il 68,2% delle persone povere risiedono nel Mezzogiorno. Qui ad una più ampia diffusione del fenomeno si accompagna una maggiore gravità del disagio: l'intensità della povertà raggiunge, infatti, il 21,5%, contro il 18,4% osservato nel Nord. Particolarmente grave risulta la condizione della famiglie residenti in Basilicata, Sicilia e Calabria. È poi peggiorata la condizione delle famiglie più numerose: in condizione di povertà relativa vive il 29,9% delle famiglie con cinque o più componenti (+7% rispetto al 1997). Nelle famiglie con almeno un minore l'incidenza della povertà è del 15,9% e complessivamente vivono in condizioni di povertà relativa 1 milione e 876 mila minori. Diminuisce invece, dal 1997 al 2010, la povertà nelle famiglie con a capo un anziano: l'incidenza di povertà scende dal 16-17% al 12,2%. I separati e i divorziati, osserva l'istituto di statistica, sono più esposti al rischio povertà (20,1%), rispetto ai coniugati (15,6%). Le ex mogli sono più esposte (24%) rispetto agli ex mariti (15,3%). Di fronte a questo quadro a fosche tinte e con l' "ascensore sociale è sempre più lento", rivela ancora l'Istat, un dato preoccupa più di tutti: ed è la disoccupazione che nel 2012 salirà al 9,5% (era l'8,4% nel 2011, e già non era un bel dato). Ma la cosa peggiore è che secondo l'Istituto crescerà ancora fino a raggiungere il 9,6% nel 2013. I più colpiti sono i giovani e le donne: il 41,9% tra i 25 e i 34 anni vive ancora in famiglia contro il 33,2% del 1993-1994. Il 45% dichiara di restare in famiglia perché non ha un lavoro e non può mantenersi autonomamente. Un problema che coinvolge in maniera sempre più ampia anche il 7% dei 35-40enni che vive ancora in famiglia e il cui numero è addirittura raddoppiato negli ultimi anni. Mentre negli ultimi 20 anni si è dimezzata la quota di giovani che esce di casa per sposarsi. Non solo. I dati Istat certificano che il 33,7% delle donne tra i 25 e i 54 anni non percepisce redditi, contro il 19,8% nella media Ue a 27. Nel 2012, a due anni dalla nascita del figlio quasi una madre su quattro (il 22,7%) in precedenza occupata non ha più un lavoro. Solo il 77,3% delle neo mamme mantiene quindi il posto di lavoro a due anni dalla nascita del figlio, un dato in calo rispetto all'81,6% del 2006. Rispetto al 2002 le percentuali di licenziamento tra le cause di interruzioni del rapporto passano dal 6,9% al 23,8%. La probabilità di trovare lavoro per le madri rispetto ai padri è infatti 9 volte inferiore nel Nord, 10 nel Centro e ben 14 nel Mezzogiorno. Un dato che evidenzia come "le minori opportunità di occupazione e i guadagni più bassi delle donne, insieme alla instabilità del lavoro, sono fra le principali cause di disuguaglianza in Italia. E soprattutto tra i giovani che rischiano di essere "atipici a vita". 30 maggio 2012 |