Relazione di Emanuele Sala alla Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI
(Messaggio di salutio di Giovanni
Scuderi) Applichiamo al meglio la linea sindacale del 5° Congresso nazionale del PMLI nei luoghi di lavoro e nella Cgil Pubblichiamo qui di seguito la seconda parte della relazione che il compagno Emanuele Sala ha tenuto alla riunione della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI che si è svolta il 14 marzo a Firenze. Cari compagni, siamo partiti bene. In questo ci metto anche la riunione odierna che serve a collettivizzare il nostro lavoro e ad organizzarci per fare squadra e così usufruire del contributo di tutti. Io credo che mantenere nel breve-medio periodo questo livello di attività sia in quantità che in qualità non sarebbe male. Anche se, ovviamente, la tendenza deve essere sempre orientata a migliorare. C'è bisogno di una Commissione di massa attiva e propositiva all'altezza della situazione, che risponda in pieno agli obiettivi posti dal 5° Congresso, nel settore operaio e sindacale per quanto ci compete. Ciò in relazione alla crisi finanziaria, economica e sociale che che riguarda il capitalismo mondiale Usa in testa e dunque anche quello italiano, la più grave degli ultimi 80 anni, con le devastanti conseguenze per le condizioni di vita e di lavoro della larghe masse lavoratrici, giovanili e popolari; ciò in relazione alle politiche del governo del neoduce Berlusconi e della Confindustria guidata da Marcegaglia che si traducono in un'offensiva liberticida micidiale nei confronti di fondamentali diritti sindacali e contrattuali delle lavoratrici e dei lavoratori; ciò in relazione agli eventi e alle evoluzioni che hanno investito il movimento sindacale in Italia: la rottura dell'unità tra Cisl e Uil da un lato, con l'aggiunta dell'ex Cisnal oggi Ugl che con il governo Berlusconi sta acquistando uno spazio una volta impensabile, e la Cgil dall'altro; il tentativo di creare un patto di consultazione e di azione permanente tra i sindacati non confederali (Cobas, Cub e SdL). La crisi del capitalismo Già la crisi economica e sociale, la recessione produttiva, la chiusura di fabbriche, i licenziamenti di massa, l'impoverimento di milioni di persone: non si può non partire dalla crisi in atto e in sviluppo, all'interno della quale si colloca la politica del governo, l'atteggiamento di Confindustria, l'azione dei sindacati. Il bilancio del 2008 è stato pessimo, il prodotto interno lordo è diminuito dell'1%, non succedeva da 30 anni a questa parte. Vuoi a causa della recessione, vuoi per l'evasione fiscale che ha ripreso a correre con il governo Berlusconi, le entrate fiscali dello Stato hanno subito una sensibile flessione. Le prospettive per il 2009 e 2010 sono considerate un po' da tutti disastrose. Lo ha detto di recente anche il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, mica un rivoluzionario, mica un antagonista del capitalismo: senza misure adeguate da parte del governo e delle aziende, entro quest'anno si perderanno almeno 2 milioni e 400 mila posti di lavoro. In larghissima parte si tratta di lavoratori precari, atipici, contratti a termini che non saranno rinnovati. Già 400 mila di questi contratti scaduti nel 2008 non sono stati rinnovati. Molti sono nel pubblico impiego e nella scuola. Il tasso di disoccupazione è previsto che salga dal 6,7% all'8,2%. I precari, in maggioranza giovani e di sesso femminile, sono le prime vittime della crisi. ma rischiano e tanto anche i lavoratori con contratto tempo indeterminato dell'industria, dell'agricoltura e del commercio. I dati della cassa integrazione sono più che allarmanti, catastrofici. Secondo l'Inps essa è cresciuta a febbraio 2009 del 553%. Tra gestione industria (ordinaria e straordinaria) ed edilizia nel febbraio 2009 - specifica l'Inps - le ore autorizzate sono state 42,5 milioni, cioè il 169,7% in più rispetto al febbraio 2008. Nel confronto tra il primo bimestre 2009 con l'omologo periodo dell'anno scorso l'incremento di ore autorizzate è stato del 131,7%. Se il riferimento è solo alla cassa integrazione ordinaria del mese di febbraio appena passato (pari a 25,9 milioni di ore) col dato dello stesso mese dell'anno scorso (3,9 milioni di ore) l'incremento è, appunto, del 553%. Anche la Fiom riferisce di un'impennata della cassa integrazione nel settore metalmeccanico: 23 milioni di ore autorizzate per il mese di febbraio con un incremento del 430% sullo stesso periodo dello scorso anno; che rappresentano più del 60% della cassa integrazione concessa nell'industria, pari all'assenza dal lavoro per l'intero mese di 150 mila lavoratori. Le regioni più colpite sono la Lombardia e il Piemonte dove si trova il grosso della grande industria. Nel settore chimico la situazione non è migliore. Idem nel settore tessile ed edile. Pesantissima la crisi nei comparti dell'auto e degli elettrodomestici. La Fiat è tornata in caduta libera e si teme per gli stabilimenti di Pomigliano e di Termini Imerese. La Merloni è a un passo dal fallimento, l'Indesit vorrebbe delocalizzare lo stabilimento di None in Polonia. Solo per citare casi noti di un certo rilievo. I dati Istat, sulla distribuzione del reddito e le condizioni di vita in Italia, resi pubblici nel dicembre 2008 confermano la drammaticità della crisi: un milione di famiglie non arriva alla fine del mese, mancano soldi per alimenti, per spese mediche, per i vestiti necessari, per pagare le bollette, per riscaldare la casa. E questi sono dati relativi al 2007. Il che vuol dire che la realtà odierna è persino peggiore. La perdita di lavoro, i salari da fame, specie quelli dei precari, gli stipendi tagliati per coloro che sono in cassa integrazione, in generale la caduta del potere d'acquisto di salari e pensioni hanno influito e incidono tuttora nel processo di impoverimento che ha investito le masse popolari del nostro Paese. In testa il Mezzogiorno dove le contraddizioni sociali sono più ampie ed elevate almeno il doppio. Il governo Berlusconi C'entra il sistema capitalistico che, in tempo di "globalizzazione" imperialista, ha confermato vieppiù i suoi limiti, le sue contraddizioni insanabili, la sua natura profondamente ingiusta e disumana. C'entra il neoliberismo economico che per quasi 30 anni ha imperato un po' dovunque, e che è una causa non secondaria dello sconquasso finanziario che si è abbattuto nei paesi imperialistici. Per quanto concerne il nostro Paese, c'entra il governo del neoduce Berlusconi il quale prima ha perseguito una politica economica di tipo recessivo; vedi a questo proposito la legge finanziaria del 2008 composta principalmente di tagli alla spesa pubblica e di misure finalizzate alla riduzione dei posti di lavoro nella pubblica amministrazione. Poi ha negato recisamente l'avanzare della crisi, la quale sarebbe stata un'invenzione dei mass-media. Ancora oggi tende a minimizzare, limitandosi a invitare gli italiani a non perdere l'ottimismo e a non cambiare gli "stili di vita" per tenere alti i consumi e di riflesso la produzione delle merci e dei servizi. È una presa di giro, un'offesa per coloro, e sono tanti, che non hanno i soldi nemmeno per comprare l'essenziale! In Italia, rispetto agli altri paesi europei, i senza lavoro e i meno abbienti in genere ricevono sostegni peggiori, scarsi e insufficienti da parte del governo e dello Stato. A questo proposito c'è un'affermazione significativa della "commissione sulla esclusione sociale". Nel nostro Paese "il tasso di povertà relativa - dice - prima dei trasferimenti è sostanzialmente in linea con la media comunitaria; mentre balza a livelli limite rispetto ai principali partner comunitari se misurato dopo i trasferimenti monetari specificatamente finalizzati al contrasto alla povertà". Tremonti continua a dire che nelle casse dello Stato non c'è un euro. Ma per svendere l'Alitalia alla cordata degli imprenditori amici di Berlusconi, accollando alla collettività i debiti, i soldi si sono trovati; per coprire i buchi delle banche i soldi si sono trovati. Per incentivare l'acquisto delle auto, leggi sovvenzioni alla Fiat, gli stanziamenti sono stati trovati. Mentre per il sostegno ai redditi da lavoro e pensione, per adeguare l'indennità di disoccupazione il governo non ha fatto quasi niente. Se si esclude l'elemosina elargita con la "social card" e il "bonus familiare": pochi euro per pochi "fortunati". Avrebbe potuto per esempio ridurre le tasse ai lavoratori dipendenti, rendere loro il fiscal drag, invece niente! Così come non ha fatto quasi niente per ampliare gli "ammortizzatori sociali" per coloro che per legge attualmente ne sono esclusi. Berlusconi ha rifiutato sprezzatamente anche le modeste richieste avanzate, in tempi differenti, da Epifani e da Franceschini di mettere una piccola tassa per uno o due anni sui redditi oltre i 120 mila euro a favore dei poveri. Ridicola la proposta del ministro Sacconi di aumentare l'indennità di disoccupazione dal 10 al 20% ai collaboratori a progetto e con tanti vincoli per averne diritto. Riguarda infatti solo 10 mila su 800 mila di questi precari e la cifra è irrisoria, non va oltre gli 83 euro al mese. Come giudicare allora il "piano anti-crisi" varato dal consiglio dei ministri il 6 marzo scorso per uno stanziamento di 17,8 miliardi di euro? Anzitutto va detto che questi sono gli stessi soldi stanziati dal precedente governo Prodi, quindi non ci sono misure straordinarie dettate dalla situazione di crisi. Poi va sottolineato l'impiego speculativo: andranno infatti per il Ponte di Messina e a seguire autostrade. Infine l'efficacia per il rilancio dell'economia è del tutto effimera. Per quanto riguarda l'annunciato piano casa, siamo al ridicolo, con i soldi previsti saranno costruite non più di 5 mila case popolari, quando le necessità sono almeno 100 volte in più. Ma non è tutto. Con questo piano si dà il via a una cementificazione selvaggia per ampliare ville e villette, senza regole e senza permessi e all'ennesimo condono edilizio. Il colmo è che quei pochi soldi che il governo intenderebbe mettere negli "ammortizzatori sociali" li vorrebbe prendere alzando l'età pensionabile da 60 a 65 anni alle donne. Innalzamento che finirebbe per essere solo l'ultimo di una lunga serie di provvedimenti assunti in questi mesi contro le donne: si va dalla detassazione dello straordinario, finanziata per giunta con i fondi destinati ai progetti e ai centri contro la violenza sulle donne, alla cancellazione della legge contro le dimissioni in bianco, alla eliminazione della norma che impedisce il lavoro notturno delle donne in gravidanza e durante il primo anno di vita dei figli. I tagli e le privatizzazioni nei servizi essenziali, nella scuola, nella ricerca, nell'università, nella sanità, nella pubblica amministrazione colpiscono in primo luogo e in larga maggioranza i posti di lavoro femminili. È di questi giorni la notizia secondo cui il ministro Brunetta è in procinto di assumere un provvedimento (non è ancora chiaro se sarà un decreto legge o un disegno di legge) per cancellare il percorso di stabilizzazione dei precari nel pubblico impiego. Il che vuol dire: il licenziamento per 50 mila dipendenti dal 1° luglio 2009 e l'allontanamento per altri 200 mila dipendenti entro il 2010. E anche qui saranno le donne a pagare di più. Il governo Berlusconi, lo si può dire senza possibilità di smentita, è un nemico giurato dei lavoratori pubblici e privati e dei migranti. Abbiamo già accennato alla "riforma" Brunetta della pubblica amministrazione all'insegna della terza repubblica, alla legge fascista e piduista che sopprime il diritto di sciopero e altre forme di lotta come i blocchi stradali, ferroviari e aeroportuali. E qui bisogna aggiungere che la legge antisciopero è stata anticipata dall'uso sempre più frequente delle "forze dell'ordine" di Maroni per reprimere manifestazioni operaie, come è accaduto con i lavoratori della Fiat di Pomigliano d'Arco e della Innse di Milano. Abbiamo inoltre ricordato la cancellazione di una serie di norme che in qualche modo tendevano a contrastare il lavoro nero e gli infortuni sul lavoro. E qui bisogna aggiungere provvedimenti di legge finalizzati a colpire l'art.18 dello Statuto dei lavoratori per rendere più facile il licenziamento anche senza "giusta causa" e a peggiorare le tutele per i lavoratori nel processo sui conflitti di lavoro. E che dire della legge razzista e xenofoba che introduce il reato di immigrazione clandestina e altre porcherie simili? All'inizio della relazione ho ricordato la nostra denuncia dell'accordo separato, con l'esclusione della Cgil, sul nuovo modello contrattuale che: distrugge il contratto nazionale; programma la riduzione dei salari; limita il diritto di sciopero; cambia le relazioni sindacali e il sindacato in senso filopadronale e corporativo. Il tutto fa parte di un piano del governo Berlusconi che sta scritto nel "Libro verde" del ministro Sacconi, il quale si ispira a sua volta al piano della P2 e alla "Carta del lavoro" del 1927 di mussoliniana memoria. Ciò nell'ambito della terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista che il governo sta portando avanti a testa bassa e senza una reale opposizione in parlamento. A proposito del parlamento, il neoduce è arrivato a proporre che a votare i provvedimenti di legge siano solo i capigruppo. E perché non chiedere, già che ci siamo, lo scioglimento del parlamento per sostituirlo con lo Stato corporativo e presidenzialista e con una "camera dei fasci"? I sindacati confederali Tralascio le posizioni del PD e le vicende che hanno portato alle dimissioni di Veltroni e alla nomina di Franceschini come segretario, perché non è questa la sede e parlarne mi porterebbe lontano. Lo stesso vale per i partiti falsi comunisti, il PRC di Ferrero e il PdCI di Diliberto. Voglio invece soffermarmi sull'atteggiamento assunto dai sindacati confederali e non. La situazione sindacale è indubbiamente cambiata rispetto a quella che si era venuta a determinare con il governo Prodi. Ed è importante cogliere e analizzare questi mutamenti. In teoria, sarebbe stato logico aspettarsi, di fronte a un governo come quello di Berlusconi sfacciatamente dalla parte del grande padronato, della speculazione, degli evasori, dei corruttori e, di riflesso, della criminalità organizzata, di fronte alla sua offensiva globale portata avanti di concerto con la Confindustria contro i diritti fondamentali dei lavoratori e dei pensionati, delle donne, dei giovani, delle masse popolari in genere un'opposizione forte e compatta, una mobilitazione unitaria e generalizzata delle tre confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. In pratica invece questo non è successo. Perseguita tenacemente da Berlusconi e dai suoi ministri Tremonti, Sacconi, Brunetta si è verificata una pesante e deleteria rottura sindacale: da un lato la Cisl di Bonanni, la Uil di Angeletti alle quali si è aggiunta ormai in forma stabile la Ugl della Polverini, in appoggio agli accordi proposti da governo e padronato, dall'altro la Cgil di Epifani che si è rifiutata di firmare tali accordi e, da sola, ha promosso a livello delle categorie e a livello interconfederale scioperi e manifestazioni anche generali e nazionali. È questa la storia almeno degli ultimi sei mesi a cui si é assistito. In occasione del rinnovo dei contratti nazionali del commercio, della scuola, del pubblico impiego, in occasione dei provvedimenti assunti dal ministro Brunetta per la pubblica amministrazione, in occasione del più volte citato accordo per il nuovo modello contrattuale sia per l'industria che per le piccole imprese, fino ad arrivare al ddl sul diritto di sciopero dove Cisl e Uil si sono dette addirittura disponibili a un'intesa mentre la Cgil giustamente, lo ha bocciato. È la storia che abbiamo visto nella proclamazione degli scioperi indetti dalla sola Cgil, quello generale di tutte le categorie di 4 ore del 12 dicembre 2008, quello dei metalmeccanici e del lavoratori pubblici di 8 ore con manifestazione nazionale a Roma del 13 febbraio scorso per citare come esempio solo gli ultimi due molto partecipati, va detto, ben oltre gli iscritti della Cgil. Stesso discorso per la manifestazione nazionale dei pensionati del 5 marzo. Ed è ancora la storia dei referendum che si sono tenuti e si stanno tenendo, nei luoghi di lavoro promossi dalla sola Cgil perché gli altri si sono rifiutati, con una partecipazione elevata e risultati schiaccianti contro i vari accordi separati suddetti. È pericoloso, molto pericoloso, è negativo, molto negativo per i lavoratori il progetto perseguito dal governo Berlusconi in campo sindacale e del lavoro. Forte della schiacciante maggioranza parlamentare di cui gode, forte di una sostanziale assenza dell'opposizione parlamentare, con la complicità sciagurata di Cisl, Uil e Ugl sta provando con una brutalità sconosciuta dal dopoguerra ad isolare e piegare la Cgil per far passare una modifica complessiva della legislazione del lavoro, ma soprattutto per ridimensionare il potere contrattuale, la funzione e il ruolo dei sindacati in Italia, per cambiarne la natura e trasformarli in collaboratori della produzione e delle imprese, strumenti di "pace sociale" con la messa al bando della lotta di classe. C'è qui una concezione dei rapporti sociali e sindacali di stampo corporativo e fascista che vanno oltre la concertazione e la cogestione di stampo riformistico socialdemocratico. In luogo del sindacato unitario della seconda repubblica che faceva perno su Cisl, Uil e la Cgil, sta nascendo il sindacato della terza repubblica attorno a Cisl, Uil e Ugl. La Cgil E la Cgil? A ben vedere è stata costretta dall'arroganza e dalla brutalità del governo Berlusconi a non firmare gli accordi capestro e a prendere le distanze dagli altri sindacati che invece quegli accordi li hanno siglati, non gli è stato concesso nessun margine di trattativa e di compromesso e perciò ha dovuto prendere suo malgrado la strada della mobilitazione. Diciamo questo perché conosciamo la natura riformista del vertice guidato da Epifani e perché, va ricordato, la Cgil, con Cisl e Uil aveva firmato nel novembre del 2007 il protocollo del governo Prodi sul welfare, prima che cadesse, e successivamente, aveva concordato una proposta di "riforma" del contratto nazionale che conteneva aspetti negativi poi ripresi nell'accordo separato del 22 gennaio 2009 promosso dal governo Berlusconi sullo stesso argomento. Data questa situazione nella Cgil, di fatto, si è verificato un compattamento al suo interno. Le frizioni tra il vertice confederale e la segreteria Fiom di Rinaldini si sono molto attenuate, se non proprio scomparse. E anche con le componenti della sinistra della Cgil, in particolare "Rete 28 Aprile" ("Lavoro e società" ha molto attenuato la sua visibilità), si è creata una sorta di unità d'azione. La domanda da porsi è se il vertice della Cgil reggerà le posizioni e porterà fino in fondo la battaglia intrapresa, oppure strada facendo, magari acquisendo qualche piccola concessione "torni all'ovile". La domanda è legittima visto che al suo interno sono apparse delle crepe, come è successo nel caso del contratto degli alimentaristi dove è stata messa a punto una piattaforma rivendicativa unitaria che recepisce in parte i contenuti del nuovo modello contrattuale; e considerate le pressioni che provengono da parte di esponenti di primo piano del PD perché si ricomponga la frattura con Cisl e Uil. Per l'immediato è in programma la manifestazione nazionale del 4 aprile a Roma dei lavoratori di tutte le categorie e dei pensionati promossa dalla Cgil, una manifestazione che si svolgerà nel segno del conflitto col governo e di contestazione degli accordi sottoscritti dagli altri sindacati. A questa manifestazione il Partito sarà presente con un'importante delegazione per lanciare un forte messaggio alla classe operaia e alle masse popolari per incitarle alla lotta senza quartiere per l'abbattimento del governo del nuovo Mussolini e della terza repubblica che esso incarna. Dopo questo appuntamento che, si prevede molto partecipato e combattivo, sarà difficile per Epifani rimangiarsi le posizioni anche perché Berlusconi non vuole il compromesso ma lo scontro e la sconfitta della Cgil. Se questa ipotesi si confermerà giusta allora il prossimo passo del vertice della Cgil non potrà che essere lo sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie. Staremo a vedere. Noi comunque dobbiamo continuare a sottolinearne l'esigenza e a chiederlo nei luoghi di lavoro e nel sindacato. Nell'autunno di quest'anno dovrebbe iniziare il percorso per lo svolgimento del XVI Congresso nazionale della Cgil, con i congressi di categoria ai vari livelli territoriali, di Camera del lavoro e regionali intercategoriali per arrivare a quello nazionale confederale che si dovrebbe tenere nella primavera del 2010. Quella sarà la sede giusta per verificare dove si collocherà la Cgil nella attuale contingenza politica ed economica e con quale linea. I sindacati non confederali Un capitolo a parte merita il sindacalismo non confederale. In particolare mi pare utile soffermarmi sulle seguenti sigle: Cub (Confederazione Unitaria di Base), Cobas (Confederazione dei Comitati di Base) e SdL (Sindacato dei lavoratori Intercategoriale). Perché qui ci sono delle novità da evidenziare. Allo scopo di contrastare l'egemonia e lo strapotere di Cgil, Cisl e Uil, questi sindacati hanno iniziato un processo unitario che ha prodotto una serie di risultati a partire dalla definizione di una "piattaforma rivendicativa in 9 punti contro la crisi" e dallo sciopero generale del 17 ottobre 2008 con manifestazione a Roma che, come ricorderete, ebbe un successo superiore alle aspettative. Il 7 febbraio scorso Cub, Cobas e SdL hanno organizzato in comune un'Assemblea nazionale (la seconda del genere) dove hanno concordato di passare dal Patto di Consultazione al "Patto di Base" che comporta un lavoro di coordinamento per stabilire unitariamente prese di posizioni e iniziative di lotta. Ed infatti, nella stessa assemblea nazionale sono state assunte le seguenti decisioni: una manifestazione nazionale a Roma per il 28 marzo sui temi della crisi "che non deve essere pagata dai lavoratori dai pensionati, dai giovani, dai ceti popolari"; uno sciopero generale con manifestazioni regionali, fissato per il 23 aprile prossimo a sostegno di detta piattaforma. Questo "Patto di Base" per ora regge e si riflette in prese di posizione unitarie ad esempio contro l'accordo separato sul nuovo modello contrattuale, contro la legge antisciopero e altro. Ma si tratta di un patto molto fragile e pieno di contraddizioni. Tra queste una è centrale, di carattere strategico. La apprendiamo direttamente dal documento conclusivo dell'Assemblea nazionale dei Cobas tenutasi il 21-22 febbraio. A proposito dell'alleanza stabilita tra Cub, Cobas e SdL in esso si legge: "Tutto ciò non ha mai messo in conto un'unificazione in un unico sindacato come orizzonte dell'oggi ... noi non riteniamo che con una forzatura organizzativa si diventi oggi davvero più forti, tenendo anche conto dei numeri complessivamente rispetto al sindacalismo concertativo e del fatto che nessun salto di qualità sul piano del recupero dei diritti negati ce ne verrebbe. Ma ancor prima di ciò - prosegue il documento - viene la constatazione delle profonde differenze strutturali che permangono tra le tre organizzazioni, in particolare quelle riguardanti il fatto che i Cobas svolgono attività sindacale, politica e sociale, non delegando la politica ai partiti o gruppi esterni, con un'unica identità sindacal-politica-sociale mentre per gli altri due partner del Patto la distinzione tra attività sindacale e politica rimane netta". Piero Bernocchi, che in questo appuntamento ha tenuto la relazione, auspica che il Patto diventi il "pilastro di una più vasta alleanza antagonista e anticapitalista", una sorta di "patto sociale" che raccolga "tutta la conflittualità di movimenti e associazioni per la trasformazione dell'esistente". Come si è constatato altre volte esaminando le posizioni di questi sindacati non confederali, finché si tratta della piattaforma rivendicativa troviamo cose condivisibili, ma quando andiamo a vedere la loro strategia che comprende anche la concezione della lotta sindacale e del sindacato, emerge un abisso con le nostre posizioni. Il fatto è che questi sindacati non confederali, soprattutto i Cobas di Bernocchi, più che come sindacati si muovono come partiti, rivelando la loro natura anarco-sindacalista, movimentista, trotzkisteggiante. Il patto d'azione tra Cub, Cobas e SdL evidenzia una situazione in movimento differente dal passato. Che fa il paio con quanto sta accadendo tra i sindacati confederali che vede Cisl, Uil e Ugl fare sempre più asse tra loro e la Cgil in una posizione di dissenso. Le bocce non sono ferme e non è facile prevedere gli sviluppi e gli epiloghi. La linea sindacale del PMLI Sulla base dell'analisi fatta, la linea sindacale e la proposta sindacale del 5° Congresso nazionale del Partito, sintetizzate nel Rapporto del compagno Scuderi, a nome dell'Ufficio politico, e nelle Tesi congressuali, ne escono confermate e rafforzate. In questo contesto così stimolante diventa più che mai essenziale rilanciare il lavoro sindacale del Partito "per migliorare le condizioni - ci insegna Scuderi - della classe operaia, dei lavoratori e dei pensionati, per sviluppare la lotta di classe, per spostare a sinistra la lotta sindacale, la Cgil e il movimento sindacale; per unire tutta la sinistra sindacale dentro e fuori la Cgil per realizzare il sindacato delle lavoratrici e di lavoratori; per combattere governo e padronato; per costruire un forte e radicato PMLI". Tutto il nostro lavoro sindacale strategicamente è finalizzato a costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori (SLL), fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle assemblee generali dei lavoratori. Il modello di sindacato che il PMLI propone si basa anche su un sistema di elezione dei delegati di fabbrica e di luoghi di lavoro su scheda bianca e sul principio: tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori sono elettori ed eleggibili; i delegati agiscono su mandato dei lavoratori e da questi possono essere revocati in ogni momento; opera in modo indipendente e autonomo dai governi, dal padronato e dai partiti; poggia la sua azione sulla lotta di classe; rifiuta perciò per principio la concertazione, la cogestione, il "patto sociale", il neocorporativismo, le compatibilità economiche capitalistiche, la subordinazione dei salari ai profitti e degli interessi generali delle masse alle esigenze dello Stato borghese. È questa la proposta sindacale strategica del Partito. Una proposta di lungo periodo e di non facile realizzazione. Tuttavia dobbiamo continuare a spiegarla e a propagandarla con rinnovata forza tra i lavoratori e nelle sedi sindacali dove operiamo, facendo leva in particolare sull'importanza dell'assemblea generale e rivendicando per le lavoratrici e i lavoratori il diritto a decidere le piattaforme e gli accordi contrattuali e sindacali, il cui esito deve essere vincolante e di eleggere liberamente, senza prerogative per le sigle sindacali "maggiormente rappresentative". Attraverso la proposta della democrazia diretta e della richiesta incessante di realizzarla nel sindacato e nei luoghi di lavoro, noi possiamo far maturare gradualmente la coscienza delle lavoratrici e dei lavoratori dell'unità sindacale che vada al di là dell'unità d'azione dei vari sindacati e porti all'unità di tutte le lavoratrici e dei lavoratori in un unico grande sindacato di cui essi siano completamente padroni. Stiamo vivendo un periodo dove i conflitti sociali tenderanno inevitabilmente a crescere. Bisogna comprendere a pieno questo momento favorevole allo sviluppo della lotta di classe per parteciparvi attivamente con posizioni d avanguardia, per orientare e sostenere i lavoratori anche sul piano rivendicativo. Il PMLI deve stimolare e sostenere le lotte dei lavoratori, dei precari e dei pensionati con comunicati stampa, volantini, manifesti, articoli su "Il Bolscevico", partecipando agli scioperi e alle manifestazioni, andando nelle fabbriche a portare le nostre solidarietà militanti. Ma il lavoro più efficace ed incisivo passa dall'attività sindacale che possono e devono svolgere i lavoratori, i disoccupati, i pensionati marxisti-leninisti all'interno delle fabbriche, in ogni luogo di lavoro, dentro la Cgil e il movimento sindacale. Sono loro che in particolare devono impadronirsi della linea di massa, di fronte unito e sindacale del PMLI per saperla applicare al meglio nella realtà concreta in cui vivono, devono diventare gli esperti rossi del settore. Da essi ci aspettiamo contributi, esperienze e competenze per alimentare e sviluppare la linea sindacale del Partito. Ciò al di là degli attuali rapporti di forza ancora oggi a noi sfavorevoli rispetto alle altre correnti sindacali dentro e fuori la Cgil; e che saranno modificati e superati gradualmente nel tempo con lo sviluppo organizzativo del Partito e la crescita dei consensi tra gli operai e le masse. Noi non rifiutiamo un rapporto positivo con i sindacati non confederali, specie con finalità a lotte di fronte unito. Ma il nostro lavoro sindacale proseguiamo a farlo principalmente nella Cgil e, al suo interno, nella "Rete 28 Aprile". La nostra presenza in questa area della sinistra sindacale deve essere più costante, visibile e riconoscibile. Si tratta però di una scelta tattica temporanea giacché il nostro strumento organizzativo per fare lavoro sindacale è la Corrente sindacale di classe. La sua costruzione, il suo sviluppo, se non il più importante è uno dei compiti principali in questo campo da portare avanti con cura e in modo sistematico. È qui che il Partito deve fare un salto di qualità nei prossimi mesi, nei prossimi anni. Dobbiamo mettere a frutto le esperienze passate per superare le carenze, per imparare dagli errori, per migliorare complessivamente il lavoro sindacale del Partito. Che va fatto in modo organizzato e centralizzato. Questo significa che, nei loro programmi politici e organizzativi, le istanze intermedie e di base devono dare il posto che merita al lavoro operaio e sindacale. Gli impegni della Commissione L'impegno della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI non può non svolgersi che all'interno di questo contesto che a grandi linee mi sono sforzato di delineare. Più in concreto e nel dettaglio. Dovremo dare il nostro contributo per contrastare e sconfiggere la politica economica, sociale e del lavoro del governo del neoduce Berlusconi, la controriforma del pubblico impiego, l'accordo separato padronale e corporativo sul modello contrattuale. Per contrastare e sconfiggere l'attacco al diritto di sciopero e alle pensioni per le donne. Per contrastare e sconfiggere provvedimenti che rendono ulteriormente flessibile il "mercato del lavoro" e meno sicuri i luoghi di lavoro. Per contrastare e sconfiggere la politica delle privatizzazioni di scuola, Università e servizi pubblici e sociali. Per battere le politiche razziste e xenofobe varate dal governo contro i migranti. Come Commissione dovremo fare la nostra parte per sostenere le lotte dei lavoratori pubblici e privati, a partire dalle prossime scadenze in programma: lo sciopero generale della scuola del 18 marzo e la grande manifestazione nazionale promossa dalla Cgil per il 4 aprile a Roma. In collegamento a ciò dovremo dare il nostro contributo per rilanciare e articolare le rivendicazioni legate a questo momento di crisi già indicate nel Rapporto di Scuderi legate a salari e pensioni, fisco, tariffe, riduzione degli orari di lavoro, "ammortizzatori sociali", opposizione ai licenziamenti, stabilizzazione dei precari, indennità di disoccupazione, servizi sociali, interventi per il Mezzogiorno, nazionalizzazione delle banche e delle grandi imprese d'importanza nazionale. Tra questi temi che ho citato merita una particolare attenzione quello dei precari divenuto nel tempo un problema enorme che interessa milioni di persone. Il compagno Scuderi ha chiesto che su ciò venga fatto un approfondimento che è allo studio e che spero di realizzare in tempi brevi. Un altro impegno della Commissione, non per l'immediato ma per i prossimi mesi, sarà quello incentrato sul congresso della Cgil. In quella circostanza, dopo che saranno varati i documenti per la discussione congressuale, potrebbe valere la pena riunire la nostra Commissione per decidere il da farsi. 18 marzo 2009 |