50 mila in corteo a Cagliari La Sardegna si ferma per l'Alcoa Si tratta del primo sciopero generale in tutta l'isola da 8 anni. "Lavoro, lavoro, non ci fermeremo mai", gridano i lavoratori in corteo. Protesta degli operai Alcoa davanti a Montecitorio e Palazzo Chigi durante la trattativa del 2 febbraio La Sardegna si è alzata in piedi: due chilometri di corteo, 50 mila i manifestanti che il 5 febbraio hanno marciato agguerriti, combattivi e determinati per le vie di Cagliari allo sciopero generale regionale, il primo da 8 anni, per dire "Lavoro, lavoro. Non ci fermeremo mai!", a combattere una battaglia "per la vita (lavoro) o per la morte (disoccupazione)", a sostenere la lotta dei lavoratori dell'Alcoa di Portovesme. Emblematico lo striscione di testa "lavoro, sviluppo, autogoverno; dalla crisi alle opportunità" che portavano i lavoratori dell'Alcoa, primi della lunga lista di aziende e settori in crisi del Sulcis, del nuorese e del sassarese, qui rappresentati da folte delegazioni: i chimici della Vinylis di Portotorres e della Equipolymers di Ottana, i minatori della Rockwool di Iglesias, della Sardinia Gold Mining, i lavoratori dell'agroindustria della pianura del Campidano, i metalmeccanici dell'Intermare Sarda di Arbatax, gli edili, i lavoratori dell'indotto, i precari del call center di Cagliari e della scuola. Ma anche tantissimi pensionati e famiglie con bambini piccoli, studenti, insegnanti, commercianti, artigiani, allevatori. Tanta gente arrivata a Cagliari con centinaia di pullman, o con mezzi propri dalle altre città e dai paesi della Sardegna tutta. Un popolo intero per rivendicare un diritto prioritario: il lavoro. "Governo e regione - ha detto Susanna Camusso, della segreteria nazionale della Cgil al comizio finale - guardino questa piazza, guardino la rabbia e le speranze dei lavoratori. L'Alcoa non deve andarsene da questo paese. E ai ministri diciamo che non ci bastano bellicose dichiarazioni in televisione". "Alla regione e al governo - ha affermato il segretario della Cisl regionale Mario Medde - chiediamo di riaprire il confronto su un nuovo piano di rinascita". Certo è che in Sardegna la situazione è drammatica: oltre 600 le aziende in crisi, 5mila i posti a rischio, 11mila i lavoratori che utilizzano ammortizzatori sociali in deroga (con la cig straordinaria si arriva a 20mila), 200mila i disoccupati, 350mila i sardi che vivono al di sotto della soglia di povertà. Cifre sconvolgenti se si considera che in Sardegna la popolazione non arriva a 1.700.000. La determinazione e la forza dei lavoratori compatti per il momento hanno indotto la dirigenza dell'Alcoa a un nuovo rinvio dell'incontro con il governo e le parti sociali a giovedì 11 febbraio. Quello dell'8 febbraio era l'ultimatum lanciato dall'arrogante multinazionale americana nella trattativa notturna fra il 2 e il 3 a Palazzo Chigi, ancora insoddisfatta dalle rassicurazioni del governo (Berlusconi ha chiamato il presidente della Commissione Ue Barroso, che si sarebbe impegnato a dare "priorità assoluta" il 10 febbraio alla questione, quando si riunirà la nuova Commissione). Al termine del summit il sottosegretario allo sviluppo economico Stefano Saglia, ha fatto sapere che: "Letta ha detto con chiarezza ai manager Alcoa che la situazione deve essere risolta e che, a fronte di una serie di impegni presi in sede europea, non c'è alcuna ragione perché l'azienda sabato chiuda gli impianti". Ma a che gioco sta giocando l'Alcoa? In piazza è diffusa la convinzione che il problema non siano i costi dell'energia, ma che Alcoa voglia andarsene comunque. Tra tre anni dovrebbe essere a regime l'impianto in costruzione negli Emirati arabi, "e guarda caso sono proprio i tre anni di produzione che, a tariffe agevolate, la multinazionale è disposta a garantire", dicono gli operai che sbarcati a Civitavecchia e raggiunto con pullman Roma, hanno passato il pomeriggio e la notte del 2 febbraio a "vegliare" la trattativa davanti al parlamento. Sedici ore di viaggio, dall'isola al "continente". "La multinazionale Usa ha avuto gli stabilimenti praticamente gratis, ci ha spremuto senza spendere una lira, ha inquinato a più non posso e ora cosa fa? Vuole spostare la produzione negli Emirati arabi, chiudere baracca senza neppure lasciare il marchio ad altri possibili acquirenti, tanti saluti e grazie" dicono non smettendo di battere i caschi per terra per far sentire che sono ancora lì e che non mollano. Le multinazionali oramai la fanno da padrone nell'isola: dall'americana Alcoa alla russa Rusal, padrona di Eurallumina, che dopo aver sfruttato impianti, lavoratori e territorio non sono intenzionati a nuovi investimenti, nonostante le rassicurazioni del governo e, ancor prima, alle promesse elettorali di Berlusconi (100mila posti di lavoro...) che servirono a portare Cappellacci (Pdl) sulla poltrona di governatore dell'isola che, al pari del suo mentore, non fa altro che fumose promesse. Le segreterie nazionali di Fim, Fiom, Uilm hanno lanciato un appello unitario: "Alcoa non deve chiudere. Sono ore decisive, occorrono strumenti e interventi di carattere straordinario per impedirlo. Entro pochi giorni gli impianti nei due stabilimenti di Portovesme e di Fusina potrebbero essere spenti e così l'intera attività produttiva messa in discussione. 2.000 persone rischiano di trovarsi in mezzo a una strada. L'incontro a Roma ha registrato, per l'ennesima volta, l'arroganza della multinazionale che, nonostante assicurazioni e provvedimenti sul piano energetico messo in atto dal governo, non ha accettato di garantire l'attività produttiva e si è anzi riservata la chiusura". I sindacati arrivano a chiedere all'esecutivo di utilizzare tutti i mezzi a tutela degli addetti italiani del gruppo Alcoa, fino ad arrivare al sequestro dei siti dell'azienda sul territorio nazionale e alla nomina di un commissario. Intanto gli operai continuano a presidiare i cancelli per essere sicuri che in questi giorni non si fermi la produzione perché significherebbe la chiusura degli stabilimenti. Tanto per capire la natura dell'arrogante dirigenza, anche quella italiana, la mattina del 3 febbraio il picchetto degli operai davanti alla fabbrica, appena tornati dalla trattativa della lunga notte romana, è stato forzato dall'auto del direttore dello stabilimento che ha investito un dirigente sindacale e tre operai, medicati al pronto soccorso. Gli operai inferociti hanno reagito danneggiando l'auto. 10 febbraio 2010 |