Secondo il furbetto liberale ex fascista fondatore de "La Repubblica" Scalfari: Marx va bene ma il socialismo no "La vulgata sostiene che con Marx, come con tutti i profeti e i predicatori, non ci possono essere vie di mezzo: o si sta con lui o contro di lui indipendentemente dalla statura intellettuale degli interlocutori. Ma non è vero, le cose non stanno in questo modo né in generale nei confronti dei profeti e dei predicatori ma tanto meno nei confronti di Marx, nel quale allo spirito profetico che indubbiamente gli spirò dentro con soffio vigoroso, si accompagnò uno studioso attento, munito d'un intelletto eccezionale e d'una capacità intuitiva fuori dalla norma". È questa la premessa con cui Eugenio Scalfari apre il capitolo dedicato a Marx nel suo ultimo libro, Per l'alto mare aperto, in cui parla anche dei libri e degli autori che hanno contato nella sua vita e nella sua formazione intellettuale. Una premessa che gli serve per dimostrare una tesi tanto impossibile quanto furbetta: che si può accettare del pensiero di Marx il suo metodo scientifico di indagine della storia e la sua analisi della società capitalistica, ma solo come pure categorie astratte, rifiutandone le conseguenze pratiche che sono la lotta di classe come motore della storia, la rivoluzione proletaria, il socialismo come fase successiva e inevitabile alla società capitalistica. Giunto al termine della sua lunga carriera di intellettuale borghese, iniziata da giovane fascista dei Guf (Gruppi universitari fascisti), passata nel dopoguerra per tutte le varianti possibili del liberalismo "laico", azionista, liberale, radicale, socialdemocratico e repubblicano, fino ad approdare in questi ultimi anni a un antiberlusconismo di tipo costituzionalista e prodiano, il fondatore de La Repubblica sente il bisogno di fare i conti con il marxismo sapendo di non poterlo ignorare in questo che ha anche la pretesa di essere un "viaggio" nel pensiero occidentale moderno, da Diderot a Nietzsche: evidentemente il gigante Marx è troppo ingombrante da saltare a pié pari, ed ecco perché egli tenta di aggirarlo riconoscendone sì la grandezza come filosofo ed economista, ma negandogliela come padre del socialismo scientifico e grande maestro del proletariato internazionale. Non a caso Scalfari parla di Marx senza mai nominare Engels, cosa che gli avrebbe reso più difficoltoso separare il teorico dall'uomo di azione immerso nella storia del suo tempo, dedito insieme al suo stretto compagno di pensiero e di lotta non solo a costruire il grandioso edificio teorico del materialismo dialettico e del socialismo scientifico ma anche a gettare le fondamenta del movimento di classe e del partito politico (allora era il partito comunista, oggi dovremmo dire marxista-leninista) che avrebbero dovuto condurre il proletariato all'abbattimento della società capitalistica e all'instaurazione del socialismo. E sempre non a caso Scalfari usa per questo secondo aspetto della figura di Marx, impossibile da scindere dal primo, i termini (dispregiativi in questo contesto) di "predicatore" e di "profeta"; tentando con questa scissione artificiosa e del tutto arbitraria di annettere il Marx filosofo al filone "nobile" del pensiero borghese occidentale e di svilire invece il Marx rivoluzionario al rango "plebeo" di utopista visionario. Questo tentativo furbesco viene allo scoperto allorquando Scalfari, forzando la verità storica e il buon senso, tenta di spacciare un'improbabile "empatia intellettuale e congenialità di pensiero" di Marx con uno dei padri del pensiero liberale borghese, Alexis De Toqueville, nonché addirittura con Napoleone. Come se il fatto che Marx si sia servito ampiamente dei pensatori borghesi della sua epoca, anche quelli reazionari a partire da Hegel, per elaborare le sue analisi rivoluzionarie, significasse che della sua opera sopravvive oggi solo quel che è legato a quel pensiero borghese, mentre tutto ciò che se ne discosta si è dimostrato caduco ed è stato condannato dalla storia. La teoria dei "due Marx" di bertinottiana memoria tipica di tutti i trotzkisti, insomma. Vale a dire il presunto Marx "libertario" da contrapporre al Marx rivoluzionario che ha aperto la strada alle dittature proletarie in Russia e in Cina che rappresenterebbero per tutti costoro una "degenerazione autoritaria" del marxismo. E qui l'intellettuale liberale della "sinistra" borghese lascia il campo al borghese e basta, con l'atavico e istintivo anticomunismo che gli antenati della sua classe provarono già all'apparire del Manifesto di Marx ed Engels del 1848, e che gli fa abbandonare la flemma professorale per sbottare in questa filippica degna del più scontato repertorio berlusconiano: "Il suo guaio (di Marx, ndr) è stato l'attuazione d'un comunismo che non somigliava in nulla alle sue indicazioni teoriche né alle sue speranze e ai suoi ideali. Settant'anni di dittatura, di tirannia, di stragi di massa, di crimini, di incubo, di disumanizzazione devastante, molte delle cui vittime (e anche dei suoi responsabili) sono ancora tra di noi". Gli rimane però un dubbio, che a ben vedere è l'origine vera di tutto il suo vano cimentarsi con la figura di Marx, ed è quello che emerge da questa sua ulteriore e significativa riflessione: "Adesso la sua profezia è andata in pezzi, ma gli ideali e i bisogni che l'hanno alimentata non sono stati affatto soddisfatti e restano un tema aperto e più che mai scottante. L'incendio è sopito, ma le sue braci non sono spente. Avverrà in altri modi, su altri terreni; ma il tema dell'uguaglianza, dello sfruttamento, dei bisogni, delle società inclusive, della democrazia e dello Stato: non sarà il comunismo la panacea di questi mali, i mali restano, resi ancor più urticanti nel mondo delle comunicazioni globali". Il liberale Scalfari è costretto così ad ammettere che lo sfruttamento capitalista, l'ingiustizia sociale, la lotta di classe e l'aspirazione ad una nuova società di liberi ed uguali, in altre parole i temi che sono alla base del pensiero e delle teorie di Marx, sono ancora tutti lì sul tappeto e attendono una risposta. Ma non è il socialismo, sentenzia il fondatore de La Repubblica. Anche se non sa indicare una possibile alternativa, visto che il suo liberalismo ha già fallito storicamente e politicamente e che oggi più che mai, sotto il regime neofascista del nuovo Mussolini, Berlusconi, l'alternativa è tra la terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista, interventista, razzista e xenofoba e l'Italia unita, rossa e socialista. 19 maggio 2010 |