Importante conferma del nuovo procuratore generale a Caltanissetta, Roberto Scarpinato "C'era un piano politico eversivo dietro le stragi del '92-'93" Chiara allusione a Berlusconi e a Forza Italia Dopo le dichiarazioni esplosive del procuratore nazionale antimafia Grasso, un'altra voce autorevole si è levata a confermare che le stragi del 1992-93 avevano dei mandanti politici e obbedivano ad un unico disegno eversivo volto ad aprire la strada ad un "nuovo soggetto politico". Soggetto che non è difficile identificare con Forza Italia di Berlusconi e Dell'Utri. La nuova conferma, contenuta in una lunga intervista rilasciata al giornalista Marco Travaglio per Il Fatto Quotidiano del 24 luglio scorso, è del nuovo procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, che come capo della procura che si occupa specificamente della strage di Capaci in cui fu assassinato il giudice Falcone (di quella di via D'Amelio in cui fu ucciso il giudice Borsellino si occupa la procura di Palermo, contestualmente alla trattativa segreta Stato-mafia che si svolse proprio in quel periodo, mentre dell'inchiesta sulle stragi del '93, tra cui quella sanguinosissima dei Georgofili si occupa la procura di Firenze che l'ha riaperta di recente), è a conoscenza di molti elementi che avvalorano in maniera inoppugnabile la tesi della strategia politica dietro quella oscura stagione di sangue. Pur non entrando nel merito di indagini ancora coperte dal segreto istruttorio, Scarpinato traccia un quadro assai completo e illuminante delle conoscenze ormai solidamente acquisite su questa vicenda, quadro che lo induce a ritenere "che i segreti del multiforme sistema criminale che pianificò e realizzò la strategia terroristico-mafiosa del 1992-93 siano a conoscenza, in tutto o in parte, di circa un centinaio di persone. E tutte, dalla prima all'ultima, continuano a custodirli dietro una cortina impenetrabile". Di questa cerchia, secondo il procuratore, fanno parte ovviamente i principali boss mafiosi dell'epoca, come i vari Riina, Provenzano, i fratelli Graviano, Messina Denaro, Bagarella, Agate, i Madonia di Palermo e quelli di Caltanissetta e tutti gli altri della "commissione regionale" di Cosa Nostra che si riunirono a fine '91 in un casale di campagna della provincia di Enna per progettare il piano eversivo stragista. In tutto una trentina di boss che a loro volta riferirono le decisioni ai loro uomini di fiducia, altre decine di persone. A cui vanno poi aggiunti i vertici della 'ndrangheta che nello stesso periodo tennero una riunione analoga nel santuario di Polsi. Una strategia annunciata Vi è poi una seconda cerchia di personaggi, parallela alla prima, che ha dimostrato in vari modi di essere a conoscenza della strategia terroristico-mafiosa, arrivando ad anticipare con rivelazioni in chiaro o cifrate gli avvenimenti di quel periodo. Scarpinato cita ad esempio l'agenzia di stampa "Repubblica" vicina all'andreottiano Sbardella, che 24 ore prima della strage di Capaci annunciò che vi sarebbe stato "un bel botto" preparato da chi voleva sventare l'elezione di Andreotti a presidente della Repubblica, circostanza confermata anni dopo dal pentito Giovanni Brusca, uno degli autori della strage. Pochi mesi prima, subito dopo l'assassinio dell'andreottiano Salvo Lima, la stessa agenzia scriveva che quell'omicidio era parte di una complessa strategia della tensione "all'interno di una logica separatista e autonomista" volta a consegnare il Sud nelle mani della mafia per farne una sorta di porto franco per tutta la criminalità organizzata. Obiettivo del tutto funzionale e complementare al separatismo leghista del Nord, come teorizzato non a caso dal professore Gianfranco Miglio in un'intervista del 1999 in cui auspicava una istituzionalizzazione della mafia e della 'ndrangheta per dotare il Sud di una "personalità del comando". Altri esempi inquietanti ma significativi di personaggi appartenenti a questa seconda cerchia riguardano le rivelazioni "premonitrici" del neofascista Elio Ciolini (coinvolto nella strage di Bologna), fatte il 4 marzo 1992, secondo cui "nel periodo marzo-luglio" (proprio cioè tra l'assassinio di Lima e quello di Borsellino, con in mezzo la strage di Capaci) si sarebbero verificati fatti per destabilizzare l'ordine pubblico, con attentati politici ed esplosioni dinamitarde, secondo un piano di matrice massonico-politico-mafiosa. Così come le operazioni della fantomatica "Falange armata", di cui emergono evidenti legami sia con Cosa Nostra che con i servizi segreti; a cui si possono aggiungere gli autori del depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio e quelli che hanno partecipato alla famosa trattativa Stato-mafia di cui parlano anche Spatuzza e Ciancimino. Si tratta insomma per Scarpinato di un sistema criminale "composto da esponenti di mondi diversi, tutti rimasti orfani dopo la caduta del muro di Berlino delle passate protezioni". Tra questi anche la mafia militare, "sino ad allora tollerata come anticorpo contro il pericolo comunista", e questi mondi diversi, scandisce il procuratore nisseno, erano tutti accomunati da uno stesso interesse: "destabilizzare il sistema agonizzante della Prima Repubblica e impedire un ricambio politico radicale ai vertici del Paese con l'avvento delle sinistre al potere (la 'gioiosa macchina da guerra'). Ciò doveva avvenire mediante la creazione di un nuovo soggetto politico che avrebbe dovuto conquistare il potere mediante un'articolata strategia che si snodava contemporaneamente sul piano militare e politico".
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