Palermo, a 18 anni dalla strage di via D'Amelio Schifani e Fini fischiati dai manifestanti che ricordano Borsellino Alla vigilia della ricorrenza la mafia abbatte la statua di Falcone e Borsellino. Contestati anche la Moratti e La Russa a Milano È stata una commemorazione carica di tensione politica quella che si è svolta a Palermo in occasione del diciottesimo anniversario della strage di via D'Amelio. Alla consapevolezza ormai diffusa a livello di masse popolari antimafiose che le stragi del '92 e '93 sono state frutto di convergenze di interessi tra golpisti e mafia, si sono aggiunte le dichiarazioni dei magistrati: "Che la strage di via D'Amelio non fu solo responsabilità della mafia lo sapevamo da anni - ha affermato Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia - E' un'intuizione vecchia. Ora il problema è trovare gli elementi processuali che accertino questa verità". Ma, il trovare i mandanti delle stragi del '92 e '93 rischia di diventare un problema insormontabile, in un regime neofascista dove le istituzioni borghesi mirano ad imbavagliare magistrati e giornalisti e ad imporre l'omertà come legge dello Stato, attraverso una serie di leggi di controriforma che impediscono indagini penali e inchieste giornalistiche, rafforzando così la mafia che fa affari, ingrassa e si permette di abbattere in pieno giorno le statue poste nella centralissima via Libertà di Palermo a ricordo di Falcone e Borsellino, così come alla vigilia della commemorazione del 23 maggio aveva oltraggiato l'albero di Falcone. In un contesto di depistaggi, insabbiamenti, favoritismi istituzionali alla criminalità organizzata suona quanto mai stonato l'appello di Napolitano affinché "i risultati conseguiti grazie all'impegno di magistrati e forze dell'ordine" siano "integrati da uno sforzo costante e coerente della società civile" (sic!). Ma se sono proprio le masse antimafiose, come preferiamo chiamarle noi, le uniche ad avere appoggiato il lavoro della magistratura, le uniche ad aver prodotto uno sforzo costante di lotta alla mafia senza il quale oggi non saremmo a discutere dei depistaggi operati a livello istituzionale sulle stragi. Lo sanno bene le istituzioni borghesi che in mala fede e terrorizzate dalle contestazioni delle masse antimafiose hanno preferito disertare la commemorazione, tenersi lontane dalla città o rifugiarsi a commemorare entro le mura sicure delle caserme, delle chiese, dei ministeri. La frattura si è giustamente consumata, poiché non è possibile più nessuna ipocrisia quando l'evidenza del coinvolgimento dei politicanti neofascisti nelle stragi del '92 e '93 è sotto gli occhi di tutti. Assenza che pesa quella di Napolitano, che ha preferito fare il superpartes tra antimafiosi siciliani e filomafiosi governativi. Assente nel capoluogo siciliano il neoduce e il ministro della Giustizia Angelino Alfano che, memore del siluramento durante la commemorazione di Falcone, si è rinchiuso dentro il ministero a Roma ad ascoltare una messa in suffragio di Borsellino. Il presidente del Senato Schifani, invece, ha deposto una corona di fiori all'interno del reparto scorte della caserma Lungaro di Palermo. Le iniziative commemorative sono starte varie. Sin dalla mattina un presidio si è tenuto nel luogo dell'eccidio, in via D'Amelio, con centinaia di manifestanti, con canti e balli e giochi per i bambini. Contestato e fischiato al suo arrivo su luogo della strage, il presidente della Commissione nazionale antimafia Beppe Pisanu: un gruppo di manifestanti gli ha gridato: "Fuori la mafia dallo Stato" e "Fuori Dell'Utri dallo Stato". Un minuto di silenzio e un lungo applauso per ricordare le vittime della strage di via D'Amelio nell'ora in cui sono state uccise, alle 16,58 del 19 luglio 1992. Nel momento del minuto di silenzio erano decine le mani alzate con una copia dell'agenda rossa di Borsellino, fatta sparire pochi minuti dopo l'esplosione dell'autobomba. Subito dopo è partito un corteo per raggiungere l'albero Falcone in via Notarbartolo. Durante il corteo da via D'Amelio all'albero di Falcone si era diffusa la voce dell'arrivo di Renato Schifani sul luogo della strage, allora diverse decine di manifestanti sono tornati indietro per impedire l'ingresso in via D'Amelio della seconda carica del parlamento borghese, che ha preferito non presentarsi. Ha sbagliato Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso, quando, cedendo alla nota debolezza di famiglia per la destra, ha consentito, a nome degli antimafiosi palermitani, al presidente della Camera Gianfranco Fini che glielo chiedeva di presentarsi in via D'Amelio. Qui, però, Fini è stato duramente contestato da un gruppo di manifestanti che gli ha gridato "vergogna", mentre i presenti esponevano un cartellone su cui c'era scritto: "Mangano e Dell'Utri a voi... Falcone e Borsellino i nostri eroi". Una bella lezione per il fascista in doppio petto che ama dissimularsi sotto un'apparenza democratica e una bella lezione anche per chi crede di trattare come "questione di famiglia" la storia antimafiosa italiana. Storia non solo palermitana o siciliana, ma italiana, come dimostra questo 19 luglio 2010. Come, infatti, l'omertà e la compenetrazione tra mafia e istituzioni borghesi è ormai un problema a diffusione nazionale, la cultura dell'antimafia è sempre stata patrimonio genetico delle masse popolari italiane. Lo dimostra la dura contestazione alla neopodestà Letizia Moratti e al ministro dell'interno La Russa, il 19 luglio, ben lontano da Palermo, a Milano, durante l'intitolazione di un giardino alla memoria di Falcone e Borsellino. Qui mentre Moratti parlava, un gruppo di manifestanti ha esposto lo striscione "Stragi di mafia e politica vogliamo verità". Secondo i manifestanti, la Moratti avrebbe dato seguito "ad una delibera vecchia di anni, che prevedeva l'intitolazione dei giardini ai due giudici uccisi nelle stragi del '92, guarda caso all'indomani della più grande retata di 'ndrangheta quando fino a ieri aveva sempre negato l'esistenza della mafia a Milano". Figura da filomafioso l'ha fatta anche Ignazio La Russa che, alla domanda di Francesco Lucianò dell'associazione Libera del perché si era negata l'esistenza della mafia a Milano e alla quale la neopodestà non dava risposta, ha risposto al giovane: "Cambiati la maglietta". Una maglietta rossa come, ha risposto questi, "il sangue delle vittime di mafia". 21 luglio 2010 |