Sciopero e cortei in Grecia contro l'ennesima stangata antipopolare L'11 maggio la Grecia si è fermata ancora una volta per uno sciopero generale indetto dai sindacati contro il piano di lacrime e sangue varato dal premier, il socialista Giorgio Papandreu, per far fronte alla crisi economica, alla voragine del conti pubblici lasciatagli in eredità dal precedente governo di destra e per rispondere ai diktat del Fondo monetario internazionale (Fmi), della Banca centrale europea (Bce) e dell'Unione europea (Ue) per avere accesso al prestito ottenuto lo scorso anno. Lo sciopero indetto dai tre maggiori sindacati, l'Adedy del settore pubblico, la Gsee del settore privato e il Pame è stato il decimo dall'11 marzo dell'anno scorso, da quando ha preso il via il piano di "austerità" del governo Papandreu. Molto partecipate le manifestazioni a Atene e a Salonicco, e in altri centri del paese, per chiedere l'abolizione dei tagli agli stipendi e rivendicare la restituzione della tredicesima e della quattordicesima mensilità agli impiegati statali. "Via governo e Fmi" gridavano lavoratori, disoccupati, migranti, pensionati e tantissimi giovani che respingevano la deregolamentazione dei rapporti di lavoro decisa dal governo e chiedevano all'esecutivo un sostegno agli enti previdenziali e ai servizi pubblici. Nel corteo di Atene che è sfilato fino alla piazza della Costituzione, molti gli slogan contro la privatizzazione delle società pubbliche e contro i licenziamenti di massa annunciati in vari settori. I tagli finora decisi dal governo non sono stati sufficienti a far ripartire l'economia del paese. Fmi, Bce e Ue si apprestano a stanziare altri 27 miliardi di euro per il 2012, altri 32 miliardi serviranno nel 2013. Gli ultimi dati sull'andamento dell'economia sono stati ancora negativi; nei primi quattro mesi del 2011 le entrate nelle casse dello Stato sono diminuite del 9,2% rispetto allo stesso periodo del 2010 mentre era stato invece previsto un aumento dell'8,5%. Il che rende impossibile per il governo Papandreu ridurre il deficit al 7,4% del prodotto interno lordo come concordato lo scorso anno anche se riuscisse a mettere in pratica una nuova stangata e la ventilata svendita di beni statali, pezzi di isole comprese, per rastrellare altri 3 miliardi di euro. Atene non può far ricorso nemmeno alla vendita dei titoli di Stato dopo che le principali famigerate agenzie di rating che decidono unilateralmente lo stato di affidabilità di un paese nel pagare i propri debiti hanno retrocesso la Grecia agli ultimi posti. I titoli di stato greci sono considerati titoli "spazzatura" e per essere venduti sui mercati dovrebbero assicurare un interesse del 15%. Come dire che Atene dovrebbe costruirsi da sola la forca per impiccarsi a un debito sempre più esplosivo e impagabile. Arriverà la seconda rata del prestito Fmi e Bce per una nuova boccata di ossigeno e certamente a pagare saranno lavoratori e pensionati. Che non ci stanno e sono tornati in piazza. 18 maggio 2011 |