Sciopera la Val di Cornia (Livorno) L'acciaieria di Piombino non deve chiudere Mobilitazione di tutta la Val di Cornia (la parte sud della provincia di Livorno) per scongiurare la chiusura delle acciaierie Lucchini di Piombino, attualmente guidate dal commissario straordinario nominato dal governo, Piero Nardi. La chiusura dell'altoforno, più volte programmata e poi rinviata al 20 novembre, porterebbe alla perdita di 5.000 posti di lavoro tra i 2.200 dipendenti dell'azienda e quelli dell'indotto. Giovedì 3 ottobre in quasi 15 mila hanno gridato "Piombino non deve chiudere", dando vita a una delle più grandi manifestazioni mai viste in città. Lo sciopero generale di 4 ore di tutte le categorie ha visto l'adesione compatta di tutta la Val di Cornia a partire dai lavoratori, primi tra tutti quelli della Magona e Dalmine che fanno parte dello stesso polo siderurgico toscano e anch'esse in crisi. Alla manifestazione hanno partecipato in massa gli studenti mentre i commercianti, in solidarietà, hanno abbassato tutte le saracinesche dei negozi. C'erano anche delegazioni degli operai di Terni, Lecco, Novi Ligure, dell'Ilva di Taranto, tanti lavoratori pubblici e pensionati, tutti uniti in difesa delle acciaierie e della siderurgia italiana che rischia di scomparire assieme a migliaia di posti di lavoro. Oltre al sindaco di Piombino alla manifestazione erano presenti il governatore PD della Toscana, Enrico Rossi e i segretari dei sindacati confederali Camusso, Bonanni e Angeletti. Presenze che fanno capire la gravità della situazione e come questa sia una vertenza nazionale. Il polo siderurgico piombinese è il secondo in Italia dopo Taranto e produce buona parte del Pil della Val di Cornia e dà lavoro anche alle attività portuali. Certo le istituzioni si sono mosse con molto ritardo e per lungo tempo hanno favorito la deindustrializzazione del territorio. Prima, smembrando negli anni '90 l'ILVA, allora controllata dallo Stato, svendendo lo stabilimento toscano alla famiglia Lucchini, in seguito acquisito dal gruppo Sevestal del magnate russo Mordashov che adesso se ne vuole disfare. Dopo, per non aver affrontato il problema dell'inquinamento legato all'altoforno illudendosi che un eventuale chiusura delle acciaierie sarebbe stata compensata dallo sviluppo del turismo. Una seria politica industriale è invece quella che chiedono i lavoratori e i sindacati che accusano tutti gli ultimi governi di aver abbandonato il settore siderurgico italiano. È stato calcolato che pagare la cassa integrazione ai dipendenti della Lucchini costerebbe più che sostituire il vecchio impianto ormai giunto ad esaurimento con uno nuovo, magari con tecnologia Corex alimentata a gas, con impatto ambientale di gran lunga minore rispetto all'attuale altoforno alimentato a carbon coke. Si trovano soldi per gli aerei da guerra F-35, per riempire le casse del Monte dei Paschi svuotate dai suoi manager ma quando si tratta di salvare fabbriche che danno lavoro a migliaia di operai vige il comandamento liberista che vieta l'intervento pubblico nell'industria. Invece, la nazionalizzazione della Lucchini appare come l'unica soluzione per salvaguardare posti di lavoro e ambiente anche perché, all'orizzonte, non ci sono privati che abbiano intenzione di ammodernare e rilanciare le acciaierie di Piombino, mentre costoro sono in prima fila quando c'è da mettere le mani su proprietà e aziende pubbliche svendute dallo Stato a prezzi stracciati. 9 ottobre 2013 |