Soldi a palate ai dirigenti mentre venivano licenziati 21.000 dipendenti In Scozia monta lo scandalo degli sperperi della Rbs La crisi finanziaria scaricata sui lavoratori e sulle masse popolari Dal corrispondente dell'Organizzazione di Aberdeen (Scozia) del PMLI In questi giorni i riflettori sono nuovamente puntati sui torbidi e macchinosi affari dei vertici della finanza della Royal Bank of Scotland (RBS), già nel mirino dei sindacati e dell'opinione pubblica per via degli altissimi bonus e remunerazioni pagati dalla banca scozzese ai suoi dirigenti che lo scorso anno avevano toccato i 14 miliardi di sterline, incuranti dell'ingente debito che i banchieri della RBS hanno nei confronti dei contribuenti inglesi. Grazie ad un'involontaria indiscrezione della Hays (società di lavoro interinale a cui si era rivolta la Royal Bank of Scotland) in un'e-mail, indirizzata ai vertici della banca ed erroneamente inviata a centinaia di dipendenti fissi, molti dei quali a rischio licenziamento, importanti informazioni sono state rese pubbliche circa i vertiginosi stipendi elargiti a dirigenti e quadri temporanei specializzati che guadagnano fino a 2 mila sterline al giorno - pari a 500.000 sterline annue. Tutto ciò in netta contraddizione con i tagli di 28.000 posti di lavoro ai danni di dipendenti con contratto a tempo indeterminato dall'inizio della crisi economica e le altre centinaia di ulteriori tagli annunciati proprio di recente. La RBS, la più importante banca scozzese e la seconda nel Regno Unito, si era trovata nel 2007 ad un passo dal fallimento a causa delle clamorose perdite seguite all'acquisizione della banca olandese ABN AMRO e da varie operazioni finanziarie fallimentari, in primis i rischi assunti sui mutui subprime americani, concludendo il bilancio nel 2008 con perdite di decine di miliardi di sterline. Nel 2008 il governo inglese per evitare il fallimento della banca ne è diventato azionista di maggioranza, arrivando a controllarne ad oggi l'84% dell'intero pacchetto azionario mediante una ricetta anticrisi che ovviamente non scalfisce in alcun modo il carattere capitalistico della proprietà bensì getta i costi della speculazione e del parassitismo insiti alla finanza imperialista sulle spalle dei lavoratori. La reazione dei sindacati è stata netta e altamente critica. Già lo scorso febbraio Len McClusky, segretario generale del sindacato Unite, denunciava: "I contribuenti sono sconcertati dal sapere che mentre possediamo l'84% (di RBS), la banca continua tranquillamente a premiare i suoi investment bankers. Parlo di un'istituzione dove più di 21.000 lavoratori al pubblico e di servizio sono stati licenziati. RBS però continua a rifiutare di prestare i soldi necessari per le piccole attività commerciali, mentre i suoi bonus sono pagati senza problemi. È solo grazie ai soldi dei cittadini che la banca sta gradualmente emergendo dal disastro provocato dall'avidità dei banchieri. Eppure il Ministro dell'Economia continua a tollerare questo premio di 950 milioni che vanno agli stessi colpevoli di quel disastro". David Flaming, dirigente del sindacato Unite, ha recentemente dichiarato: "È del tutto inappropriato che RBS, sostenuta dai contribuenti, elargisca queste cifre a migliaia di imprenditori. Il sindacato Unite nutre seri dubbi circa l'impiego di questo personale altamente pagato mentre continuano i tagli ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato". Questa gravissima crisi economica capitalista si nutre delle preziose risorse economiche statali al fine di evitare il fallimento, gravando sulle spalle delle masse popolari mediante tassazione indiretta e diretta mentre i vertici dell'alta finanza non rinunciano ai propri privilegi ma ne rivendicano di nuovi. Come sottolinea il compagno Giovanni Scuderi, nel Rapporto al 5° Congresso nazionale del PMLI: "Quando le banche e le industrie sono in forte crisi e sull'orlo del fallimento è normale che intervenga lo Stato borghese, che è il capitalista collettivo, per salvarle, con i soldi pubblici, cioè del popolo. (...) I governanti borghesi a volte lasciano completo campo libero ai capitalisti e ai finanzieri, a volte ricorrono all'intervento dello Stato tramite le nazionalizzazioni per salvare le banche e le imprese che rischiano il fallimento, per poi riprivatizzarle quando sono state riassestate". La parziale nazionalizzazione della RBS dunque non ha nulla di socialista ma è gravida di tutte le contraddizioni insite al sistema capitalistico, come dice Stalin: "Per eliminare le crisi occorre eliminare il capitalismo". 21 settembre 2011 |