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Discorso di Giovanni Scuderi, a nome del CC del PMLI, per il 30° anniversario della scomparsa di Mao
Applichiamo gli insegnamenti di Mao sulle classi e sul fronte unito
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Care compagne, cari compagni, care amiche, cari amici,
siamo qui riuniti su invito del Comitato centrale del PMLI, a nome del quale ho l'onore di parlare, per ricordare e onorare Mao grande maestro del proletariato internazionale, dei popoli e delle nazioni oppressi.
Ricordarlo per non dimenticarlo, per rinverdire e rafforzare il nostro legame con lui, per imparare ancora da lui, per trasmettere alle nuove generazioni di marxisti-leninisti e di rivoluzionari i suoi insegnamenti, per richiamare l'attenzione del proletariato italiano su dei temi che lo riguardano, e che Mao ha trattato con grande acume marxista-leninista.
Rendergli onore per il grande contributo che egli ha dato all'emancipazione dei popoli di tutto il mondo, a cominciare da quello cinese, ora sotto una dittatura fascista e revisionista.
Rendergli onore per gridare alto e forte ai nemici di classe che in Italia la lotta tra proletariato e borghesia, tra socialismo e capitalismo è ancora aperta, che i veri comunisti, ossia i marxisti-leninisti, sono ancora vivi e vegeti e fermamente intenzionati a fare quello che hanno fatto i comunisti russi e sovietici sotto la direzione di Lenin e Stalin e i comunisti cinesi sotto la direzione di Mao.
Noi siamo orgogliosi di essere i discepoli di un gigante del pensiero e dell'azione rivoluzionari che ha segnato indelebilmente il XX secolo e il cui pensiero vivrà nei secoli.
Il 9 settembre del 1976, quando scomparve Mao, fu un giorno molto triste per tutti i marxisti-leninisti del mondo, il proletariato internazionale, i popoli e le nazioni oppressi. Perché Mao, nel corso della sua lunga esperienza rivoluzionaria di 55 anni, unica al mondo per durata, complessità, arricchimenti teorici, avvenimenti internazionali, era divenuto il maestro e la guida amata e rispettata di tutti i marxisti-leninisti, gli sfruttati e gli oppressi del mondo.
Nessuno potrà mai toglierlo dal posto eminente in cui la storia di tutti i tempi l'ha collocato. Checché ne dica il rinnegato Federico Rampini, già membro della Fgci di D'Alema e attuale pennivendolo di "la Repubblica", secondo cui "Mao è candidato a finire in compagnia di Adolf Hitler e di Iosif Stalin, per formare insieme a loro la mostruosa Trinità nel Pantheon negativo dei più grandi criminali del XX secolo"(1).
Noi marxisti-leninisti italiani perdevamo colui che ci aveva aperto gli occhi sul revisionismo, cioè sull'ideologia borghese mascherata da comunista di cui si erano avvalsi prima Bordiga, poi Gramsci e Togliatti e i loro successori per deideologizzare e decomunistizzare la classe operaia e integrarla nel capitalismo.
Ne prendemmo coscienza nel 1967 grazie alla Grande rivoluzione culturale proletaria ideata, promossa e diretta da Mao per impedire ai revisionisti cinesi di restaurare il capitalismo in Cina, come era avvenuto in Urss dopo la morte di Stalin.
Per la terza volta nella storia del movimento comunista internazionale si chiariva la differenza che intercorre tra vero marxismo e falso marxismo, tra vero socialismo e falso socialismo, tra via rivoluzionaria e via riformista e parlamentarista.
La prima volta furono Marx ed Engels a smascherare i falsi comunisti e le loro teorie antirivoluzionarie, la seconda volta, Lenin e Stalin, la terza, Mao. Grazie a essi il proletariato internazionale e tutti i sinceri fautori del socialismo possiedono la cartina di tornasole per poter verificare la genuinità marxista-leninista di ogni elemento e di ogni partito che si definiscono comunisti.
Noi consideriamo il pensiero di Mao, che costituisce la continuità e lo sviluppo del marxismo-leninismo, una potente guida per l'azione dalla quale non possiamo assolutamente prescindere e fare a meno, ma non ne abbiamo una concezione dogmatica. Lo giudichiamo esattamente come Mao giudicava il pensiero dei maestri che l'hanno preceduto con queste parole: "La teoria di Marx, Engels, Lenin e Stalin è una teoria applicabile universalmente. Non dobbiamo considerarla come un dogma, ma come una guida per l'azione. Non bisogna limitarsi a imparare i termini e le espressioni del marxismo-leninismo, bisogna invece studiarlo come scienza della rivoluzione. Non si tratta soltanto di capire le leggi generali che Marx, Engels, Lenin e Stalin hanno tratto dal loro ampio studio della vita reale e dell'esperienza rivoluzionaria, ma anche di studiare la posizione e il metodo da essi assunti nell'esaminare e risolvere i problemi"(2).
Mao ci ha insegnato come si combattono l'imperialismo, il colonialismo, il nazismo, il fascismo, il razzismo, i governi borghesi e i falsi comunisti, come si trasforma il mondo e se stessi, come si fa e si vince la rivoluzione, come si costruisce un autentico Partito marxista-leninista. Senza i suoi insegnamenti, e quelli degli altri quattro grandi maestri che l'hanno preceduto, noi brancoleremmo nel buio e affonderemmo nel pantano del riformismo, dell'elettoralismo, del parlamentarismo e del pacifismo, la classe dominante borghese dormirebbe sonni tranquilli, i partiti falsi comunisti avrebbero completamente campo libero per turlupinare i fautori del socialismo, i rivoluzionari e le nuove generazioni, per sabotare la lotta di classe e impedire la rivoluzione socialista, infine non ci sarebbe alcuna possibilità e prospettiva per la conquista del potere politico da parte del proletariato e la realizzazione del socialismo in Italia.
Per tutto questo noi formiamo un corpo unico con Mao. Chi tocca lui è come se toccasse ciascun militante del PMLI. Non dobbiamo concedere nulla ai calunniatori e ai detrattori di Mao, prendendo esempio dai compagni della Cellula "Mao" di Milano che hanno denunciato in maniera militante la vile e viscida ex "guardia rossa" Jung Chang che è venuta recentemente nel capoluogo della Lombardia nell'ambito del suo giro mondiale per presentare la sua falsa e provocatoria biografia di Mao.
Dobbiamo tenere fermi i verdetti storici, non facendoci influenzare dalle autocritiche dei rinnegati del comunismo, come quelle di questi giorni di Giorgio Napolitano e di Pietro Ingrao sui "fatti di Ungheria" del '56.
Per noi marxisti-leninisti italiani, Mao è come se fosse ancora vivo e continuasse a indicarci la via da seguire per l'emancipazione del proletariato e dell'intera umanità. Lo dimostrano l'indomabile opera rivoluzionaria del nostro amato Partito e gli interventi dei delegati delle istanze di base del PMLI e dei simpatizzanti attivi che abbiamo appena ascoltato. Da ciascuno di essi c'è da imparare qualcosa.
"La lotta di classe tra proletariato e borghesia è nata col capitalismo. Questa lotta è ancora in atto. Al momento la borghesia ha la meglio, ma noi siamo sicuri, e lavoriamo per questo, che il proletariato armato del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della linea del PMLI saprà contrattaccare per conquistarsi quel nuovo mondo che gli spetta di diritto. E i giovani operai saranno i primi a salire sugli spalti della rivoluzione socialista". Questa citazione della storica Cellula "Marx-Engels" di Firenze riassume splendidamente il nostro rapporto con Mao, col proletariato e col socialismo.
Ovunque nel mondo i marxisti-leninisti amano Mao e si ispirano a lui, come dimostrano i messaggi di saluto che vi sono stati letti dei Partiti fratelli che ringraziamo vivamente.
Durante questi trenta anni dalla scomparsa di Mao, attraverso le commemorazioni e in altre occasioni, abbiamo messo a fuoco molti insegnamenti di Mao, oggi ci occuperemo del tema riguardante le classi e il fronte unito. Un tema fondamentale per avere un corretto orientamento nella lotta di classe e nel lavoro di massa, per non sbandare a destra o a "sinistra", per far bene e con successo il lavoro per lo sviluppo, la costruzione e il radicamento del PMLI.
Non è la prima volta che ne parliamo, e questa non sarà certo l'ultima.
In due occasioni lo abbiamo fatto in maniera sistematica. Per le classi il riferimento è il n. 2 del 1972 de "Il Bolscevico", allora organo dell'Organizzazione che il 9 Aprile 1977 ha dato vita al PMLI. Per il fronte unito il riferimento è il capitolo "Praticare un'abile e lungimirante politica di Fronte unito" del Rapporto al 2° Congresso nazionale del PMLI tenutosi nei giorni 6, 7 e 8 novembre del 1982.
Altre volte ne abbiamo parlato, prima e dopo quelle date, ma non in forma così sistematica. Ci ritorniamo sopra ora per approfondire ancora il discorso in base alla nuova esperienza che abbiamo accumulato nel frattempo e alle nuove esigenze del Partito e della lotta di classe.
LE CLASSI
In ogni paese del mondo esistono le classi, ossia la suddivisione della popolazione in diversi e distinti gruppi sociali. Per la borghesia internazionale oggi non è più così, almeno in occidente.
Uno dei suoi più autorevoli ideologi, il liberale di "sinistra" Ralf Dahrendorf, sostiene infatti che "non ci sono più il vecchio proletariato e la vecchia borghesia. Abbiamo di fronte, invece, quella che talvolta è stata definita una società livellatasi attorno alla classe media, anche se a un estremo essa ha una importante élite di super-ricchi e all'altro estremo una sottoclasse"(3).
Le classi ci sono sempre state, eccetto che nelle comunità primitive, e sempre ci saranno finché non si arriva al comunismo. Nel "Manifesto del Partito comunista" di Marx ed Engels in apertura del capitolo "Borghesi e proletari" si legge: "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi". In seguito Engels preciserà che "dopo il dissolversi della primitiva proprietà comune del suolo, tutta la storia è stata una storia delle classi, di lotta tra classi sfruttate e classi sfruttatrici, tra classi dominate e classi dominanti"(4).
Mao sintetizza questo concetto fondamentale con le seguenti parole: "Lotta di classe - alcune classi trionfano, altre vengono eliminate. Questa è la storia, questa è da millenni la storia della civiltà. Interpretare la storia da questo punto di vista è ciò che si chiama materialismo storico, mettersi in contrapposizione a questo punto di vista è ciò che si chiama idealismo storico"(5).
Conoscere le classi è importante per sapere qual è la classe che è al potere, quali sono le classi che vi si oppongono, di fatto, coscientemente o potenzialmente, qual è la classe che è destinata a subentrare al potere; per poter stabilire in ogni fase della lotta di classe le alleanze adeguate, chi sono i nemici da combattere, e di questi qual è il nemico principale; per poter elaborare nell'immediato un programma d'azione che raccolga anche le rivendicazioni delle classi amiche del proletariato, e nel futuro una piattaforma unitaria di tutte le classi che partecipano alla rivoluzione socialista.
Nel celebre articolo "Analisi delle classi nella società cinese", scritto da Mao nel marzo 1926, nel periodo della prima guerra civile rivoluzionaria, con il quale si aprono i volumi a cura della Commissione del CC del Partito comunista cinese per l'edizione delle sue opere scelte, 25 agosto 1951, si leggono queste prime fondamentali parole: "Quali sono i nostri amici e quali i nostri nemici? La questione è di primaria importanza per la rivoluzione". Poi Mao prosegue spiegandone il motivo: "Se nel passato tutte le lotte rivoluzionarie in Cina hanno avuto scarso successo, ciò si deve soprattutto all'incapacità dei rivoluzionari di unire a sé i veri amici per attaccare i veri nemici. Il partito rivoluzionario è la guida delle masse, e mai una rivoluzione può evitare la sconfitta quando il partito rivoluzionario guida le masse su una falsa strada. Per essere certi di non portare le masse su una falsa strada e di conquistare la vittoria della rivoluzione, dobbiamo assolutamente badare a unirci con i nostri veri amici per attaccare i nostri veri nemici. E per distinguere i veri amici dai veri nemici dobbiamo compiere un'analisi generale della condizione economica delle diverse classi della società cinese e del loro rispettivo atteggiamento verso la rivoluzione"(6).
Stalin esprime lo stesso concetto di fondo con queste parole: "Lenin dice che 'la questione più importante di ogni rivoluzione è la questione del potere statale'. Qual è la classe o quali sono le classi nelle cui mani è concentrato il potere, qual è la classe o quali sono le classi che debbono essere rovesciate, qual è la classe o quali sono le classi che debbono prendere il potere: ecco la 'questione più importante di ogni rivoluzione'"(7).
Come si vede i nostri maestri danno grandissima importanza alle classi e all'atteggiamento del Partito del proletariato verso di esse. Ma come si stabiliscono le classi? Lenin ci fornisce il criterio fondamentale: "Si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si distinguono tra di loro per il posto che occupano in un sistema storicamente determinato di produzione sociale, per il loro rapporto (per lo più sanzionato e fissato da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell'organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo in cui ottengono e per la dimensione che ha quella parte di ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sono gruppi di persone, l'uno dei quali può appropriarsi il lavoro dell'altro grazie al differente posto che occupa in un determinato sistema di economia sociale"(8).
Già Marx, ne "Il Capitale", aveva individuato quali sono le tre grandi classi principali della società capitalista. Queste le sue parole: "I proprietari della semplice forza-lavoro, i proprietari del capitale e i proprietari fondiari, le cui rispettive fonti di reddito sono salario, profitto e rendita fondiaria, in altre parole, gli operai salariati, i capitalisti e i proprietari fondiari, costituiscono le tre grandi classi della società moderna, fondata sul metodo di produzione capitalistico"(9).
Seguendo questi criteri scientifici, la collocazione di classe di ogni individuo va quindi stabilita in base ai suoi rapporti con i mezzi di produzione, alla divisione sociale del lavoro, al posto che occupa nella gerarchia sociale delle varie professioni, al reddito economico.
Ne consegue che non è sufficiente distinguere l'appartenenza alle classi solo attraverso i consumi, il tenore e stile di vita, il patrimonio familiare, gli studi, la disponibilità di tempo libero, la percezione di se stesso.
Quantunque il capitalismo abbia cambiato le forme di organizzazione del lavoro - passando dal fordismo di origine americana al toyotismo di origine giapponese, dalle catene di montaggio alle isole di montaggio, alle catene globali di produzione distribuite su spazi grandissimi anche in regioni lontane -, quantunque sia continua e massiccia l'immissione nelle fabbriche e nelle aziende dell'informatica, della telematica, della robotizzazione e di ogni altra tecnologia utile alla produzione, il vecchio metodo di produzione capitalistico è rimasto sostanzialmente lo stesso, le classi continuano a determinarsi in riferimento al loro rapporto con essi, e soprattutto la collocazione degli operai è immutata.
LE CLASSI IN ITALIA
Anche la società italiana è divisa in classi. Esistono la borghesia, la piccola-borghesia, i contadini, il proletariato, il semi-proletariato e il sottoproletariato. Per il leader della Margherita, Francesco Rutelli, invece: "Non esistono più le classi, i riferimenti economico-sociali organizzati e le barriere anche ideologiche del passato"(10). Della stessa idea è il rinnegato Walter Veltroni. Su "la Repubblica" del 3 del mese corrente ha scritto: "Plurali sono le nostre società, le società delle nuove tecnologie, dell'economia globale, degli individui e non più delle classi, dei 'consumatori' e non solo dei produttori".
Alcuni sociologi borghesi parlano di una società "sclassificata", altri di una società "cetomedizzata". In ogni caso si tende a nascondere la borghesia e il proletariato, le due classi antagonistiche e inconciliabili.
Ma sono le stesse statistiche ufficiali che sbugiardano di fatto questi imbroglioni borghesi. L'Istat calcola che al marzo scorso su una popolazione di 58.332.000 persone ci sono 22.747.000 occupati di cui 16.691.000 dipendenti e 6.056.000 indipendenti.
Gli occupati nell'industria sono 6.876.000 di cui 5.425.000 dipendenti e 1.452.000 indipendenti. Nel totale degli occupati dell'industria 1.919.000 fanno parte delle costruzioni, di cui 1.198.000 dipendenti e 722.000 indipendenti. Gli occupati in agricoltura sono 910.000 di cui 420.000 dipendenti e 490.000 indipendenti.
Gli occupati nei servizi sono 14.960.000 di cui 10.847.000 dipendenti e 4.114.000 indipendenti. Degli occupati nei servizi 3.481.000 fanno parte del commercio di cui 1.976.000 dipendenti e 1.505.000 indipendenti.
Altre importanti notizie si trovano nelle statistiche elaborate dal Censis su dati Istat al dicembre dell'anno scorso in cui risulta che tra gli occupati dipendenti 7.889.000 sono operai, subalterni e assimilati. 6.723.000 impiegati e intermedi, 1.206.000 direttivi e quadri, 461.000 dirigenti, 244.000 apprendisti, 11.000 lavoratori a domicilio per conto di imprese. Tra gli occupati indipendenti 3.613.000 sono lavoratori in proprio, 1.112.000 liberi professionisti, 421.000 coadiuvanti familiari, 383.000 imprenditori, 377.000 collaboratori coordinati e continuativi, 80.000 prestatori d'opera occasionali, 43.000 soci di cooperative di produzione.
In base ai suddetti criteri della collocazione di classe e ai dati occupazionali possiamo formulare la seguente composizione delle classi in Italia. Con alcune avvertenze.
Gli operai dei servizi, pur non producendo e valorizzando capitale e quindi direttamente plus-valore, vanno senz'altro considerati a tutti gli effetti parte integrante del proletariato.
I pensionati ex operai li collochiamo nel proletariato, gli altri nelle classi di cui facevano parte quando lavoravano.
I disoccupati ex operai e i disoccupati che ricercano lavoro come operai li collochiamo nel proletariato. Gli altri nelle classi che comprendono il lavoro e le mansioni cui ambiscono.
Collochiamo nella piccola borghesia la maggioranza degli intellettuali e degli studenti, pur non costituendo una classe o uno strato sociale, come dice Mao. È una scelta politica, la stessa compiuta da Mao nella Cina del 1926 e rinnovata successivamente, in considerazione della loro origine familiare di classe, delle funzioni che esprimono nella società, del rapporto che hanno con le varie classi, e delle posizioni politiche che manifestano.
Le casalinghe le distribuiamo nelle varie classi, in prevalenza nel proletariato, in base alla loro origine familiare di classe e alle condizioni economico-sociali delle loro famiglie.
I precari vanno collocati nelle classi secondo il posto di lavoro occupato.
Il proletariato
Il proletariato, o classe operaia, è composto dagli operai dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi: ossia gli operai di fabbrica e di officina, dell'edilizia, dei cantieri navali, delle miniere, i braccianti e i salariati agricoli, gli operai dei trasporti terrestri, marittimi e aerei, gli operai occupati a domicilio, gli operai dell'artigianato e del commercio, gli operai della sanità e dell'intero pubblico impiego, dei servizi pubblici (elettricità, gas, acqua, telecomunicazioni, poste, igiene, centraline, ecc.), i disoccupati già operai e che ricercano lavoro come operai, i pensionati ex operai.
Il semi-proletariato
Il semi-proletariato è composto dai lavoratori in proprio che non sfruttano forza-lavoro, artigiani e commercianti poveri, venditori ambulanti, studenti-lavoratori, oltre ai lavoratori non operai e non impiegati del commercio (grandi magazzini, negozi, bar, alberghi, ristoranti, ecc.).
Il sottoproletariato
Il sottoproletariato è la classe di coloro che non avendo un mestiere né un lavoro fisso vivono alla giornata e di espedienti, ai margini della società. Vi fanno parte certi lavoratori declassati, gli sbandati, i vagabondi, i mendicanti, i ladruncoli, le prostitute, i "barboni".
I contadini
I contadini si dividono in semi-proletari agricoli, in contadini poveri, in contadini medi e in contadini ricchi.
I semi-proletari agricoli sono quei lavoratori che, pur avendo in proprietà, in affitto o in altre forme di dipendenza dei piccoli appezzamenti di terra, sui quali spesso lavorano anche dei loro familiari, da cui non riescono il più delle volte a ricavarne nemmeno lo stretto necessario per vivere, sono costretti a vendere la loro forza-lavoro nelle aziende agricole capitalistiche, ai contadini medi o addirittura in settori non agricoli come l'edilizia.
I contadini poveri sono piccoli contadini che lavorando il loro limitato appezzamento di terra, riescono appena a mantenere se stessi e le proprie famiglie, ma a volte sono costretti a vendere la loro forza-lavoro.
I contadini medi sono piccoli agricoltori che hanno in proprietà o in affitto appezzamenti di terra da cui riescono ad accumulare capitali e scorte sfruttando il lavoro di salariati.
I contadini ricchi sono i proprietari di grandi appezzamenti di terra, di piccole e medie aziende agricole e comproprietari di grandi aziende capitalistiche.
La piccola-borghesia
La piccola-borghesia si suddivide in uno strato inferiore e uno strato superiore.
Lo strato inferiore comprende la massa degli intellettuali e degli studenti, gli insegnanti della scuola, gli impiegati delle categorie inferiori e non dirigenti, i tecnici, i piccoli commercianti, i piccoli artigiani, i lavoratori autonomi, compreso i taxisti, i piccoli professionisti.
Lo strato superiore comprende i piccoli industriali, gli artigiani e i contadini medi, gli autonomi medi, i professionisti medi, gli impiegati e i tecnici delle categorie superiori, i piccoli funzionari, i professori universitari, i dirigenti nazionali dei partiti borghesi e dei sindacati dei lavoratori, i membri delle giunte e dei consigli comunali, provinciali e regionali.
La borghesia
La borghesia è la classe dominante del nostro Paese. Essa si suddivide in media borghesia e in alta borghesia.
La media borghesia è composta dai capitalisti meno forti economicamente e finanziariamente che hanno la proprietà diretta dei mezzi di produzione e/o partecipano alla spartizione dei profitti attraverso la proprietà di capitali in genere, di titoli fruttiferi pubblici e azioni e attraverso l'interesse e la rendita. Vi fanno parte anche i medi industriali, i commercianti e i contadini ricchi, i professionisti più ricchi, gli alti funzionari dello Stato, i diplomatici e i prefetti, gli alti ufficiali delle Forze armate, i comandanti delle "forze dell'ordine", i dirigenti dei servizi segreti, i magistrati, i dirigenti industriali e civili, i manager meno potenti e meno ricchi, gli alti ideologi della borghesia, gli editori inferiori, l'alto clero, nonché i membri del governo nazionale, del parlamento e dell'europarlamento.
L'alta borghesia comprende i capitalisti che posseggono la maggior parte del potere economico e finanziario attraverso le multinazionali, le grandi industrie private, le banche, le società immobiliari, le grandi case editrici, i latifondi, nonché dai manager più potenti e più ricchi delle aziende private e pubbliche.
Il proletariato
Dopo aver fatto ordine sulle classi che esistono in Italia, ora bisogna approfondire il discorso sul proletariato. Abbiamo già visto che il proletariato è una realtà inconfutabile, dal momento che le statistiche calcolano che siano occupati quasi otto milioni di operai. Se a essi si aggiungono gli operai occupati in nero e i disoccupati ex operai, la cifra sale assai.
Invece da parte borghese si sostiene che la classe operaia sarebbe "evaporata", quasi scomparsa, e che il suo posto l'avrebbero preso i "nuovi ceti popolari", una massa indistinta di lavoratori e di cittadini. Sulla stessa linea, seppure con motivazioni diverse, si muove l'imbroglione operaista trotzkista Antonio Negri, il quale sul fascicolo sul trentacinquesimo anniversario de "il manifesto" ha scritto falsificando palesemente la storia: "Il '68 non era un'alleanza fra studenti e operai, ma il primo momento dell'estinzione della classe operaia e, allo stesso tempo, l'esplosione del lavoro intellettuale, verso una dimensione sociale di massa, di classe... Oggi gli studenti si presentano direttamente, immediatamente, come proletariato cognitivo metropolitano... Il ventunesimo secolo è davvero incominciato. Quella che oggi vi si presenta è una moltitudine in azione. Le risonanze metalliche dei cortei operai non si odono più. Non rammaricatevi, compagni socialisti, questa moltitudine, immediatamente comunista, questo sciame di singolarità, sono i vostri figli... Quando diciamo moltitudine diciamo l'insieme di singolarità che riconfigurano il concetto di classe lavoratrice".
In un'altra occasione, ha specificato: "Il concetto di moltitudine è molto diverso di quello di classe operaia, così come veniva utilizzato nel XIX e XX secolo... La classe operaia è l'unico soggetto che può lottare efficacemente contro il capitale; le altre classi degli sfruttati possono anche lottare contro il capitale, ma sempre sotto la direzione della classe operaia. Che questo assunto sia stato vero o meno in passato, resta il fatto che il concetto di moltitudine viene a negarlo radicalmente...
Negli ultimi decenni del XX secolo, il lavoro industriale ha perso la sua egemonia e al suo posto è emerso il 'lavoro immateriale', un lavoro che crea prodotti immateriali come la conoscenza, l'informazione, la comunicazione, o ancora, una relazione, una risposta emotiva"(11).
Altri falsi comunisti non arrivano a tanto, ma perseguono lo stesso obiettivo, quello di snaturare il proletariato e di cancellarne la centralità, e per questo parlano di "nuova" classe operaia, "nuovo" movimento operaio. Maurizio Zipponi ha scritto su "Liberazione" dell'11 maggio scorso che "i nuovi operai sono tutti i lavoratori dipendenti". Mentre Valentino Parlato ha affermato su "il manifesto" del 2 luglio che "la classe operaia non è più quella di una volta".
Non è certo quello che pensa il PMLI. Per noi il proletariato è l'attore principale della lotta di classe, della rivoluzione socialista e dell'edificazione del socialismo. Le rivoluzioni tecnologiche non ne hanno cambiato la natura, la composizione, il carattere, le funzioni, il ruolo e i compiti.
Per la sua collocazione nella produzione e nella società, per la sua ideologia, per la sua esperienza produttiva e di lotta, per le sue capacità organizzative e mobilitatrici, che non hanno uguali riscontri nelle altre classi anticapitalistiche, il proletariato è la classe più progredita, più avanzata e più rivoluzionaria della storia, i cui compiti fondamentali rimangono immutati nel tempo e in ogni paese del mondo, la sola classe che ha la forza e la capacità di dirigere la rivoluzione socialista e l'edificazione del socialismo.
Avendola vista all'opera in Cina e nel mondo, Mao ha rilevato che "la classe operaia è la classe più lungimirante e più disinteressata, la classe dallo spirito rivoluzionario più coerente. Tutta la storia della rivoluzione dimostra che, senza la direzione della classe operaia, la rivoluzione fallisce, mentre con la direzione della classe operaia, essa trionfa. Nell'epoca dell'imperialismo nessun'altra classe in nessun paese può condurre una vera rivoluzione alla vittoria"(12).
Il problema è che da lunghissimo tempo, a causa della devastazione e della corruzione ideologica che i dirigenti del PCI revisionista e i dirigenti di Rifondazione trotzkista e del PdCI revisionista hanno alimentato al suo interno, il proletariato italiano ha perso la coscienza di essere una classe per sé, e quindi attualmente è ben lontano dall'avere tale consapevolezza e dallo svolgere il suo ruolo rivoluzionario.
Infatti il proletariato italiano lotta oggettivamente, nei fatti, contro il capitalismo per migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro, ma non si propone di abbatterlo e di sostituirlo col socialismo. Lotta oggettivamente contro la classe dominante borghese ma non mette in discussione il suo potere politico e non si propone di prenderne il posto.
In tal modo lotta come classe in sé, cioè come classe di fatto, non come una classe per sé, consapevole di essere indipendente e antagonista dalla borghesia e di avere una propria cultura; consapevole di essere portatrice di un progetto generale di una nuova società, e candidata a governarla e a costruirla; consapevole che spetta a essa riunire e dirigere tutte le classi e i gruppi sociali anticapitalisti; consapevole di dover porre fine una volta per tutte a ogni forma di sfruttamento dell'uomo sull'uomo e di disuguaglianza di sesso per poter arrivare all'emancipazione dell'intera umanità.
È come se il proletariato italiano fosse ritornato a una situazione pre-marxista, quando si muoveva come classe in sé, non avendo ancora potuto acquisire quella coscienza, quella mentalità, quella cultura che Marx ed Engels, per primi nella storia, seppero infondere al proletariato internazionale.
Spetta quindi ora al PMLI dare al proletariato italiano la coscienza di essere una classe per sé. Un compito assai difficile, e occorre molto tempo, una seria preparazione culturale e grandi capacità di persuasione, ma è assolutamente necessario per far compiere un salto di qualità alla lotta di classe e portarla su un terreno rivoluzionario.
Il proletariato italiano deve capire che se vuole trasformare il mondo deve trasformare anche se stesso. "Nella lotta di classe e nella lotta contro la natura - dice Mao riferendosi alla situazione in Cina di allora - la classe operaia trasforma tutta la società, e, nello stesso tempo, trasforma se stessa. Nel corso del lavoro, la classe operaia deve continuamente imparare ed eliminare progressivamente i propri difetti; essa non deve mai arrestarsi. Prendiamo ad esempio noi che siamo qui: molti fanno progressi ogni anno, ossia si rieducano. Un tempo io avevo ogni sorta di idee non marxiste e solo in seguito abbracciai il marxismo. Studiai un po' di marxismo sui libri, iniziando così la mia rieducazione ideologica, ma mi sono trasformato soprattutto nel corso di una lotta di classe prolungata, e devo continuare a studiare se voglio ancora progredire, altrimenti resterò indietro"(13).
Sintetizzando si può dire che il binomio rivoluzionario per trasformare il mondo e se stessi è: partecipare alla lotta di classe armati del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e studiare, studiare, studiare. Tutti, specie le operaie e gli operai, dobbiamo studiare, senza mai stancarci di imparare. Bisogna farlo in ogni fase della propria vita, anche da anziani, prendendo esempio di una compagna pensionata piemontese simpatizzante del PMLI che si accinge a studiare "Stato e rivoluzione" di Lenin.
Il PMLI, con le parole di Mao, ci esorta a "'essere insaziabili nell'imparare per quello che ci riguarda personalmente'. Insaziabili nell'insegnare per quello che riguarda gli altri"(14).
IL FRONTE UNITO
Il Partito del proletariato svolge un ruolo fondamentale e unico per rieducare il proletariato a essere una classe per sé. In questo compito non può essere sostituito da nessuno. Può però essere coadiuvato da organismi e pubblicazioni culturali marxisti-leninisti da esso promossi e diretti.
Il Partito svolge un ruolo fondamentale pure nelle lotte immediate e a lungo termine del proletariato e delle masse, ma in queste lotte da solo può arrivare fino a un certo punto. Ha quindi bisogno di allearsi con altri partiti, gruppi e movimenti sulle questioni politiche, sindacali, sociali, ambientali, culturali di comune interesse, al limite anche con delle forze acomuniste e anticomuniste. In questi casi le differenze ideologiche e strategiche vanno poste in secondo piano.
Praticare queste alleanze vuol dire fare fronte unito. Si tratta di un tema di vitale importanza per lo sviluppo, la costruzione e il radicamento del PMLI e per far bene il lavoro di massa. Lo abbiamo definito in termini strategici e tattici nel punto VI del Programma generale del Partito approvato l'11 Aprile 1977 e sviluppato al 2° Congresso nazionale del PMLI, come abbiamo già detto, in base all'esperienza del Partito accumulata nel frattempo. Da allora in poi ne parliamo continuamente per sviluppare e migliorare il lavoro di massa.
Il fronte unito è una delle tre armi principali per sconfiggere il nemico. Ecco cosa ci dice Mao a proposito: "Un partito disciplinato, armato della teoria marxista-leninista, che pratica l'autocritica ed è legato alle masse popolari; un esercito sotto la direzione di tale partito; un fronte unito di tutte le classi rivoluzionarie e di tutti i gruppi rivoluzionari sotto la direzione di tale partito; ecco le tre armi principali con le quali abbiamo sconfitto il nemico"(15).
In quest'occasione Mao parla del fronte unito rivoluzionario, ma egli ha praticato sempre e in ogni campo la politica di fronte unito sia sul piano interno nella guerra civile, nella guerra di resistenza contro il Giappone e nell'edificazione del socialismo, sia sul piano internazionale nella lotta contro l'imperialismo e l'allora socialimperialismo sovietico diretto dal revisionista Breznev.
Nel nostro caso vi sono tre tipi di fronte unito che noi dobbiamo praticare. Il fronte unito per le lotte immediate, il fronte unito internazionale contro l'imperialismo e per la libertà dei popoli, il fronte unito rivoluzionario per l'Italia unita, rossa e socialista.
I primi due fronti li dobbiamo praticare tutti i giorni, il terzo non è ancora maturo, ma dobbiamo avere le idee chiare fin da adesso per realizzarlo quando arriverà il tempo. Esso deve essere costituito dal proletariato, dal semi-proletariato, dal semi-proletariato agricolo, dai contadini poveri, dalla piccola-borghesia dello strato inferiore, dal sottoproletariato, anche se questo è facilmente ricattabile e corruttubile economicamente da parte della borghesia, dai gruppi e movimenti politici, sindacali, sociali, culturali, religiosi che sono per la rivoluzione proletaria e per il socialismo. Vi possono far parte anche singoli elementi della piccola-borghesia dello strato superiore e della media borghesia, purché rinuncino alle rivendicazioni della propria classe e accettino il socialismo.
L'unità di queste forze va realizzata sulla base di una piattaforma politica comune, lasciando fuori ogni divergenza di carattere religioso o filosofico, in modo che non credenti e credenti partecipino al fronte su un piano di uguaglianza nei diritti e nei doveri, in piena libertà per le rispettive convinzioni ideologiche e dottrinarie.
I componenti del fronte unito rivoluzionario devono comunque accettare la direzione del proletariato - attraverso il suo Partito - perché esso è la sola classe che può assicurare che la rivoluzione abbia effettivamente un carattere socialista e vada fino in fondo; e perché esso deve divenire nel socialismo la classe dominante.
Il fronte unito per le lotte immediate deve essere realizzato sempre e in ogni campo, da quello politico a quello sindacale e sociale, da quello femminile a quello giovanile e studentesco, da quello ambientale ed ecologico a quello culturale. Il che significa che dobbiamo unirci con tutti coloro che su questioni specifiche portano avanti le nostre stesse rivendicazioni. Potremmo trovarci a fianco partiti, gruppi ed elementi indesiderati, anche di destra. In questi casi quello che conta sono le diverse motivazioni, l'indipendenza e l'autonomia del Partito.
Dobbiamo praticare una larga politica di alleanze, e quindi di fronte unito, in particolare nel sindacato, nel movimento operaio, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università e nel movimento studentesco, poiché solo attraverso il lavoro di massa sindacale e studentesco noi possiamo aiutare le larghe masse lavoratrici, disoccupate, pensionate, femminili, studentesche a risolvere i loro problemi, avere un'influenza su di loro, ottenere la loro fiducia e conquistarle alla nostra causa.
La politica di fronte unito la deve praticare non solo il Partito, ma anche i singoli militanti e simpatizzanti del Partito all'interno dei propri luoghi di vita, di lavoro e di studio.
Quando riusciamo a creare delle organizzazioni di massa, come i comitati di lotta, su questioni per cui le masse sono decise a battersi, bisogna allargarle al massimo ad altre forze politiche e sociali, facendo bene attenzione a non restringerle ai soli militanti e simpatizzanti del Partito. In ogni caso devono essere delle organizzazioni di massa reali e non fittizie, in cui vi sia un coinvolgimento vero di tutte le sue componenti, anche sul piano della direzione.
Ovviamente il Partito direttamente o attraverso i suoi militanti e simpatizzanti, a seconda se le alleanze sono tra partiti o no, deve tendere ad avere la direzione del fronte unito lottando per conquistarne l'egemonia, non facendosi condizionare dagli attuali rapporti di forza sfavorevoli. Indipendentemente della nostra consistenza numerica, la nostra direzione può emergere e imporsi in base alle nostre idee, alle nostre proposte, al nostro impegno, alla nostra coerenza e alle nostre capacità politiche e organizzative. Comunque nelle organizzazioni di massa e nei movimenti di massa, dobbiamo cercare di unire la sinistra, conquistare il centro e neutralizzare la destra.
Il criterio fondamentale della politica di fronte unito, da applicare a tutti e tre i tipi di fronte unito, è quello di unire attorno al proletariato tutte le forze che possono essere unite, neutralizzare le forze che possono essere neutralizzate ed isolare il nemico principale.
Il fronte unito internazionale contro l'imperialismo è composto da tutti i popoli, i movimenti, i partiti e i governi del mondo che lottano contro le aggressioni, le occupazioni, le rapine e i saccheggi delle risorse, le sopraffazioni, le ingerenze, i soprusi, le imposizioni e i ricatti dei paesi imperialisti. Vi fanno parte pure i popoli, i movimenti e i partiti che combattono contro le dittature borghesi e reazionarie dei propri paesi.
Il nostro Partito fa parte integrante di tale fronte e appoggia incondizionatamente tali lotte, indipendentemente dalle forze che le dirigono, anche se sono anticomuniste e non ne condividiamo la politica interna e certi atti di politica estera.
In particolare appoggiamo le lotte per la libertà e l'indipendenza nazionale dei popoli palestinese, afghano e iracheno e la lotta del popolo iraniano e del suo governo per avere il nucleare civile. Per questo chiediamo con forza al governo italiano di ritirare subito le truppe dal Libano, dall'Afghanistan e dall'Iraq, di abolire l'accordo di cooperazione militare con Israele, di non partecipare alle eventuali sanzioni contro l'Iran per il nucleare.
Al bando Israele! Palestina, Afghanistan, Iraq liberi!
Le contraddizioni esistono dappertutto, in ogni paese, città, partito, movimento, organizzazione sociale, individuo. Una di esse è la principale, ed è questa a determinare il nemico principale o l'avversario principale. In politica è molto importante esserne coscienti e saperla individuare al fine di unire tutti coloro che la subiscono e la combattono e di lottare assieme per isolare e sconfiggere chi la incarna.
Mao afferma che "in ogni processo, se in esso esistono numerose contraddizioni, ve ne è necessariamente una principale, che ha una funzione determinante, decisiva, mentre le altre hanno una posizione secondaria e subordinata. È quindi necessario, nello studio di ogni processo, che sia complesso e contenga più di due contraddizioni, fare ogni sforzo per trovare la contraddizione principale. Una volta trovata questa contraddizione principale, è facile risolvere tutti i problemi. È questo il metodo che ci insegna Marx nel suo studio della società capitalistica. Questo stesso metodo ci è indicato da Lenin e Stalin, nel loro studio dell'imperialismo e della crisi generale del capitalismo e nel loro studio dell'economia sovietica"(16).
Nei luoghi di lavoro la contraddizione principale è tra i lavoratori e i padroni, quindi la lotta dei lavoratori va indirizzata contro di essi. Vi è anche la contraddizione tra i lavoratori e i sindacalisti riformisti che frenano le lotte, ma si tratta di una contraddizione secondaria che va trattata in maniera diversa rispetto a quella principale. Le lotte sindacali però non devono essere rinchiuse nei luoghi di lavoro. Le strade e le piazze sono i campi di battaglia in cui i lavoratori e il movimento sindacale si battono contro le organizzazioni dei padroni e i governi per le questioni di carattere generale.
Nelle scuole e nelle università la contraddizione principale è tra gli studenti e le autorità scolastiche e universitarie, gli organi di governo, i governi nazionale, comunale, provinciale e regionale. Vi sono anche le contraddizioni interstudentesche e tra le loro organizzazioni, ma queste vanno considerate secondarie quando si lotta contro il nemico principale.
Nelle città la contraddizione principale è tra le masse residenti e i governi comunale, provinciale e regionale. Questi sono i nemici principali, sia che vestano i panni della destra, sia che vestano i panni della "sinistra" borghese.
Nei movimenti, nelle organizzazioni di massa e tra le masse del nostro Paese la contraddizione principale è quella tra il proletariato rappresentato dal PMLI e la borghesia di "sinistra" rappresentata dai partiti dell'Unione. Vi è anche la contraddizione tra il proletariato rappresentato dal PMLI e i partiti e gruppi falsi comunisti, ma si tratta di una contraddizione secondaria, quando sono presenti i partiti dell'Unione. Questa contraddizione secondaria diventa però principale, se questi ultimi partiti non sono presenti, salvo nei casi in cui siamo d'accordo tra noi e loro sulla battaglia specifica.
Questo significa che quando nei movimenti, nelle organizzazioni di massa e tra le masse sono presenti i partiti dell'Unione i nostri colpi principali devono essere diretti contro di essi, cercando di allearsi con i partiti falsi comunisti. Quando invece i partiti dell'Unione sono assenti i nostri colpi principali vanno diretti contro i partiti falsi comunisti, se ostacolano la lotta e ci mettono i bastoni tra le ruote. In maniera sempre dialettica, argomentata e documentata, stando ai fatti, al tema concreto della lotta, in modo tale da essere compresi e appoggiati da tutta o parte della loro base.
Ovunque operiamo è importante individuare la contraddizione principale, e quindi il nemico o l'avversario principale, per non fare di ogni erba un fascio, per evitare di mettere sullo stesso piano l'avversario principale con quello secondario e così bruciarci ogni alleanza, ogni spazio di manovra e qualsiasi lavoro di massa.
Nell'intera società italiana la contraddizione principale è tra il proletariato e la borghesia che è al potere. Poiché attualmente essa è rappresentata dal governo Prodi della "sinistra" borghese, questo governo è il nemico principale del proletariato e delle masse popolari italiane, così come ieri lo era il governo del neoduce Berlusconi.
Anche se non tenessimo conto del suo programma, della sua composizione e dell'appoggio aperto della "sinistra" finanziaria, industriale, agraria, economica, editoriale e istituzionale, i suoi primi atti, a partire dall'inciucio con la casa del fascio sull'indulto per salvare Previti e gentaccia simile, dimostrano ampiamente il suo carattere borghese, imperialista, anticomunista e antipopolare, quanto di peggio ci potessimo aspettare da un governo che si proponeva di lavorare in "discontinuità" rispetto al governo precedente della destra borghese.
La posizione sul Libano ha svelato che la sua politica estera è in continuità con la politica espansionista e interventista storica dell'imperialismo italiano nel bacino del Mediterraneo, che va da Crispi a Berlusconi, passando da Mussolini e Craxi.
Solo ai tempi di Mussolini si era visto tanto sventolio di bandiere tricolori, tanto sfoggio di mezzi militari e di truppe, tanta orgia oratoria e mediatica di patriottismo, nazionalismo e militarismo. È come se si volesse abituare il popolo italiano alla guerra e si facessero le prove generali. I nostri giovani rischiano veramente di diventare carne da cannone dell'imperialismo italiano.
Ingannevolmente chiamano "missione di pace" quella che in realtà è una missione di guerra, il cui vero scopo è quello di assicurare l'esistenza di Israele, di normalizzare e asservire tutti i governi della regione, cancellare ogni movimento di liberazione nazionale, in primo luogo Hezbollah e Hamas, isolare e indebolire l'Iran e la Siria, mettere l'intero Medio Oriente sotto il controllo dei paesi imperialisti Usa, Ue, Israele con la copertura dell'Onu e saccheggiarne il petrolio.
In questo scenario l'Italia imperialista e interventista di Prodi, D'Alema e Parisi mira a conquistare uno spazio e un ruolo per difendere i "suoi interessi vitali". Si è talmente montata la testa che vuol partecipare alla spartizione di tutta la Terra assieme alle grandi potenze imperialistiche.
Il neoduce Berlusconi lavorava in questo senso alleandosi strettamente con gli Usa del nuovo Hitler Bush, mentre l'economista borghese democristiano Prodi lo fa sventolando la bandiera dell'Onu e della Ue e avvalendosi dell'aiuto e della copertura dei falsi comunisti Bertinotti, Giordano, Diliberto, Rizzo e Cossutta e degli pseudopacifisti.
Ed ora, con la finanziaria 2007, questo governo si accinge ad assestare una stangata alle masse popolari. Ancora le bocce non sono ferme, ma si sa che vuole fare dei tagli, in un modo o in un altro, alle pensioni, alla sanità, alla scuola, al pubblico impiego e agli enti locali. Noi non ci stiamo, e chiediamo ai sindacati di mobilitare i lavoratori e di programmare uno sciopero generale di 8 ore da attuare subito, se viene inflitta la stangata.
Questo governo è pericoloso e inaffidabile anche sul piano della democrazia borghese, vista la sua volontà di mettere le mani sulla Costituzione accordandosi con la casa del fascio, in ciò stimolato e pressato dal capo dello Stato, il rinnegato Giorgio Napolitano.
Esso potrebbe riuscire a cambiare la forma del governo e dello Stato in senso presidenzialista e federalista, cosa che il popolo italiano col referendum ha impedito che fosse realizzato da Berlusconi.
Data la sua politica estera, interna, economica e sociale, il suo volto ingannevole, le illusioni che sparge, e poiché è un ostacolo alla presa del potere da parte del proletariato, il governo Prodi è una iattura per il proletariato e per le masse popolari.
Non bisogna quindi dargli tregua. Va combattuto risolutamente fino alla sua caduta da sinistra, senza stancarci di chiedergli di abrogare le leggi 30, Bossi-Fini, Moratti, nonché il pacchetto Treu e la legge sulla fecondazione assistita.
Vogliamo un lavoro stabile per tutte le disoccupate e i disoccupati, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato. Vogliamo l'abolizione della flessibilità e di ogni forma di precariato. Vogliamo che il Sud abbia una struttura economica pari a quella del Centro e del Nord Italia. Vogliamo che le pensioni, la sanità, la scuola e l'università siano pubbliche. Vogliamo una casa per tutti gli operai, i disoccupati, i migranti, i poveri che non ce l'hanno. Vogliamo la stabilizzazione di tutti i precari pubblici.
La nostra voce è ancora troppo debole, ed è difficile che venga ascoltata da Palazzo Chigi, ma via via che il nostro Partito crescerà diventerà più potente, e allora salteranno i timpani dei governanti. Salterà anche il sistema capitalista e finalmente avremo il socialismo in Italia.
Noi dobbiamo tenere ferma la barra verso l'Italia unita, rossa e socialista, qualsiasi siano le vicissitudini e le difficoltà collettive e personali. Niente ci deve piegare, avendo la coscienza che stiamo compiendo un'impresa che non ha precedenti in Italia, quella di dare al proletariato il Partito che ha sempre sognato e mai avuto. Un'impresa che forse non ha uguali, nel passato e nel presente, nel mondo, considerando i nostri peculiari problemi storici, politici, organizzativi, economici e pratici. In questa storica e titanica impresa il contributo di ciascun attuale dirigente, militante e simpatizzante attivo del Partito è indispensabile, non solo necessario.
Non dobbiamo avere alcuna illusione governativa e dobbiamo lottare al di fuori di ogni governo borghese e delle istituzioni rappresentative borghesi per accumulare le forze e creare le condizioni soggettive per la vittoria della rivoluzione socialista. Dobbiamo creare ovunque le istituzioni rappresentative delle masse anticapitaliste, antifasciste e fautrici del socialismo costituite dalle Assemblee popolari e dai Comitati popolari basati sulla democrazia diretta. O si passa dal capitalismo al socialismo, oppure l'Italia dovrà continuare a indossare la camicia nera liberista all'interno e interventista all'estero.
APPELLO AI FAUTORI DEL SOCIALISMO
"Se si vuol fare la rivoluzione, - sostiene Mao - ci deve essere un partito rivoluzionario. Senza un partito rivoluzionario, senza un partito che si basi sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista e sullo stile rivoluzionario marxista-leninista, è impossibile guidare la classe operaia e le larghe masse popolari a sconfiggere l'imperialismo e i suoi lacché"(17).
Questo tipo di Partito - che non può essere confuso con altri tipi di partito che si autodefiniscono abusivamente comunisti - in Italia fortunatamente c'è già, ed è il PMLI. Si tratta solo di farlo crescere e radicare in tutte le regioni del Paese. Non sarà facile, soprattutto per la nostra povertà di mezzi e di risorse economiche e per il ferreo black-out stampa che vige da sempre sul Partito.
Ma ce la faremo, anche se i tempi dovessero allungarsi.
Stiamo già registrando dei passi importanti nello sviluppo nazionale del PMLI. Se proseguiremo gli sforzi, se applicheremo con determinazione i tre elementi chiave e le quattro indicazioni per radicare il PMLI, se tutti gli attuali dirigenti, militanti e simpatizzanti attivi, specie i giovanissimi che sono sotto le pressioni e i ricatti affettivi ed economici dei genitori, resisteranno all'influenza della borghesia che cerca di staccarci dal Partito e dalla lotta di classe, riusciremo senz'altro a completare il primo grande balzo del proselitismo, che aprirà le porte al 5° Congresso nazionale del PMLI.
Il PMLI è l'unico partito italiano che, oltre a volere veramente il socialismo, è in grado di risvegliare il proletariato alla lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico e di fargli acquisire la sua coscienza di classe. Lo testimoniano le seguenti parole del giovane operaio scritte nella sua domanda di ammissione al Partito: "Senza il PMLI non avrei la luce, il calore e l'energia per combattere la borghesia e i revisionisti".
Che lo si riconosca o no, l'esistenza del PMLI è un dato di fatto, dalla quale non si può prescindere e con la quale si devono misurare e confrontare tutti i rivoluzionari e fautori del socialismo.
Chi tra questi conosce già il PMLI non può far finta che non esista, e seguitare a militare nei partiti e in correnti di partito falsamente comunisti, e magari correre dietro ai trotzkisti dichiarati che si accingono a creare nuovi partiti a sinistra di Rifondazione, vista la poco gloriosa fine governativa che questa ha fatto.
Tutta la storia del movimento operaio italiano dimostra che stando nei partiti revisionisti di destra, come il PCI, il PdCI, "Essere comunisti" di Claudio Grassi, e revisionisti di "sinistra", come Rifondazione e i costituendi partiti di Ferrando e Ricci, non si riesce minimamente a spostarli su un terreno di classe, comunista e rivoluzionario.
E allora perché perdere ancora altro tempo e tante energie preziose militando in tali partiti? Non si avverte che è l'ora di rompere definitivamente ogni legame con i revisionisti, anche sul piano organizzativo?
Da questa solenne tribuna, in questa occasione memorabile, lanciamo un accorato appello a tutti coloro che vogliono seguire le orme di Mao e degli altri maestri a prendere rapidamente posto di combattimento nel PMLI. Ogni ritardo indebolisce il PMLI e la lotta di classe e rafforza la classe dominante borghese e i partiti ad essa asserviti.
In primo luogo ci rivolgiamo alle figlie e ai figli migliori, più avanzati e più combattivi della classe operaia, che devono costituire la testa e l'ossatura portante del PMLI, e alle ragazze e ai ragazzi che lottano per un mondo nuovo e che abbiano gli stessi sentimenti, la stessa determinazione e la stessa tempra dei coetanei che hanno fondato il PMLI e sono ancora fedeli alla causa.
Ci rivolgiamo anche agli intellettuali rivoluzionari, il cui ruolo sul piano culturale, ideologico e filosofico è insostituibile, e senza i quali è assai problematico combattere e sconfiggere la cultura e l'ideologia borghesi, far acquisire al proletariato la coscienza di essere classe per sé, educare il nostro amato popolo sulla base del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, sciogliere certi nodi storici, economici, scientifici, culturali, e nei vari campi in cui occorre essere specialisti.
Come indica Mao, "la classe operaia deve accogliere favorevolmente l'aiuto degli intellettuali rivoluzionari, in nessun caso deve respingerlo, perché senza il loro aiuto essa non potrà progredire e la rivoluzione non potrà trionfare"(18).
Chi vuol spendere la propria vita per la causa più nobile, più grande, più utile che un essere umano possa abbracciare, la causa dell'emancipazione del proletariato e dell'intera umanità, non può non unirsi a noi nel PMLI. Chi invece vuol dare solo qualche contributo, o non può essere militante mancandogli le caratteristiche previste dallo Statuto, può benissimo unirsi al Partito come simpatizzante. Il suo contributo, piccolo o grande che sia, sarà utilissimo e apprezzato dal Partito.
Ai simpatizzanti del PMLI, che possono essere anche credenti e religiosi, non è richiesto né un impegno totale né una completa condivisione della linea ideologica, politica, organizzativa e rivendicativa del Partito. Il grado e il livello di coinvolgimento politico, organizzativo e pratico dipende unicamente dalla loro disponibilità di impegno.
Come ha detto il compagno Salvatore, uno studente diciottenne della provincia di Napoli, appena entrato nel Partito, "militare nel PMLI è il più alto grado d'onore per un comunista, un proletario, e per chi aspira, come me, senza mai smettere di credere, neanche per un istante, al socialismo... Per la nobile causa del proletariato e del socialismo, e per il bene del PMLI, vale la pena di dare tutto se stessi, anche la vita".
Il nostro auspicio è che la manifestazione per il 30° Anniversario della fondazione del PMLI, che si svolgerà a Firenze il 15 aprile dell'anno prossimo, possa vedere in piazza un numero mai visto di marxisti-leninisti animati da questi sentimenti e da questa volontà, gli unici con i quali è possibile rovesciare cielo e terra e costruire un grande, forte e radicato PMLI.
Care compagne, cari compagni, care amiche e cari amici,
come dice Mao, "dobbiamo lasciarci infiammare dalle grandi e sublimi aspirazioni proletarie, osare aprire sentieri mai esplorati e scalare vette mai raggiunte"(19).
Grazie Mao per tutto quello che hai fatto per l'emancipazione del popolo cinese e dei popoli di tutto il mondo, e per tutto quello che continui a insegnarci. Te ne saremo riconoscenti per sempre.
Grazie "Lucia" Nerina Paoletti per averci dimostrato nella pratica cosa significa essere discepoli di Mao. Non ti dimenticheremo mai e sarai per sempre nei nostri cuori.
Che i nuovi militanti che fanno parte della leva del 2006 a te intitolata siano del tuo stesso stampo e si distinguano, come ti sei distinta tu, nel coraggio, nella determinazione, nella tenacia, nella perseveranza e nella fedeltà ai Maestri e al PMLI.
Grazie compagne e compagni della vecchia guardia e delle generazioni successive. Tutto quello che siamo riusciti a realizzare per il bene del proletariato e delle masse è merito vostro; da voi, dai vostri grandi sacrifici e dal vostro impegno quotidiano nella lotta di classe e nella costruzione del PMLI, i dirigenti nazionali del Partito, a cominciare dal Segretario generale, imparano cosa significa amare e servire con tutto il cuore il proletariato e il popolo italiani e i popoli di tutto il mondo.
Che la vita, l'opera, il pensiero e l'esempio di Mao e degli altri Maestri continuino a ispirarci e a darci la forza per portare fino in fondo i nostri compiti rivoluzionari collettivi e individuali.
Applichiamo gli insegnamenti di Mao sulle classi e il fronte unito!
Gloria eterna a Mao!
Con Mao per sempre!
Viva il proletariato italiano cosciente, combattivo e armato del marxismo-leninismo-pensiero di Mao!
Lottiamo contro il governo Prodi della "sinistra" borghese!
Avanti con forza verso l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e con il PMLI vinceremo!
NOTE
1) Federico Rampini, Saggio in "Mao Zedong" di Jonathan Spence, La biblioteca di Repubblica 2006, p. 176
2) Mao, Il ruolo del Partito comunista cinese nella guerra nazionale, Ottobre 1938, opere scelte, vol. 2°, p. 217
3) Ralf Dahrendorf, Quando i populisti mettono in crisi i partiti, in "La Repubblica" del 29.08.06
4) Marx ed Engels, il Manifesto del Partito comunista, pubblicato nel 1848, Piccola biblioteca marxista-leninista, p. 15
5) Mao, Abbandonare le illusioni, preparatevi alla lotta, 14 agosto 1949, opere scelte, vol. 4°, p. 443
6) Mao, Analisi delle classi nella società cinese, Marzo 1926, opere scelte, vol. 1°, p. 9
7) Stalin, Sulle tre parole d'ordine fondamentali del partito sulla questione contadina, opere complete, 15 aprile 1927, vol. 9° p. 231
8) Lenin, La grande iniziativa, 28 giugno 1919, opere complete, vol. 29°, p. 384
9) Marx, Il Capitale, scritto tra il 1864 e il 1867, Libro Terzo, Editori Riuniti, p. 1003
10) Francesco Rutelli, Intervento al convegno di Milano del 18 gennaio 2006 organizzato dalla Margherita
11) Antonio Negri e Michael Hardt, Moltitudine, Rizzoli, pp. 130-132
12) Mao, Sulla dittatura democratica popolare, 30 giugno 1949, opere scelte, vol. 4°, pp. 433-434
13) Mao, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, 27 febbraio 1957, Piccola biblioteca marxista-leninista, p. 26
14) Mao, Il ruolo del Partito comunista cinese nella guerra nazionale, Ottobre 1938, opere scelte, vol. 2°, p. 219
15) Mao, Sulla dittatura democratica popolare, 30 giugno 1949, opere scelte, vol. 4°, p. 434
16) Mao, Sulla contraddizione, Agosto 1937, opere scelte, vol. 1°, pp. 350-351
17) Mao, Forze rivoluzionarie di tutto il mondo, unitevi, per combattere l'aggressione imperialista, Novembre 1948, opere scelte, vol. 4°, p. 292
18) Mao, Introduzione all'operaio cinese, 7 febbraio 1940, opere scelte, vol. 2°, p. 424
19) Mao, Frase pronunciata nel 1962 e citata dalla stampa cinese nel 1966 |