Scuderi sulla Costituzione italiana

La costituzione italiana è fondata sullo sfruttamento

Risposta data dal compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, a una domanda rivoltagli nel corso di un dibattito pubblico sulle elezioni politiche organizzato dal Partito a Napoli il 13 aprile 1996.

Questa Costituzione da un punto di vista di classe che carattere ha? È una Costituzione proletaria o una Costituzione borghese? È la prima cosa che ci dobbiamo chiedere. Noi diamo per scontato che siamo di fronte a una Costituzione borghese, quindi è una Costituzione che non ci rappresenta, non ci può assolutamente rappresentare.
Perché è una Costituzione borghese? Basta analizzare l'articolo 1 che recita così: "l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro''. Ma quale lavoro? Il lavoro basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Questo primo punto ha gli addentellati nei punti successivi in difesa della proprietà privata. Non può perciò essere questa la Costituzione della classe operaia e delle masse popolari.
Occorre una costituzione su misura della classe operaia. Per questo ci vuole una costituzione socialista. Da questa Costituzione o si esce da destra, e siamo già usciti da destra, o si esce da sinistra.
Questa Costituzione nel suo complesso, anche per esempio per quanto riguarda la famiglia, per quanto riguarda le questioni morali, riflette gli interessi della borghesia, la morale della borghesia, la concezione della vita e del mondo della borghesia. Non c'è un solo articolo che rifletta gli interessi immediati e a lungo termine della classe operaia e delle masse popolari. Di più: questa Costituzione impedisce alla classe operaia di prendere il potere politico, di realizzare il socialismo, attraverso le elezioni e attraverso il parlamento. Non c'è un articolo che consenta agli sfruttati e agli oppressi di prendere il potere per via pacifica. Di più: non riconosce il diritto alla rivoluzione, un diritto storico, sottolineato da Engels, che sta al di sopra di ogni e qualsiasi diritto, cioè il diritto degli schiavi di ribellarsi contro i padroni, contro lo sfruttamento, contro l'oppressione. Questo punto non c'è nella nostra Costituzione. Quindi è una Costituzione fondata sul diritto borghese che nega agli sfruttati e agli oppressi di andare al potere e realizzare il socialismo attraverso le elezioni, attraverso il parlamento, attraverso il governo. È questo un punto fondamentale.
Ma come è stato possibile allora arrivare a questa Costituzione, e approvare questa Costituzione? È stato possibile attraverso un compromesso. Era inevitabile fare un compromesso, in quel momento. Il problema però è che tipo di compromesso è uscito fuori? Questo compromesso ha posto o no i presupposti affinché da questa Costituzione si potesse passare a una costituzione socialista? No, questi presupposti non ci sono e allora ecco l'inghippo, ecco l'inganno, ecco allora le catene legislative, costituzionali che sono state messe agli sfruttati e agli oppressi.
Un compromesso inevitabile, ho detto, però un compromesso fatto a svantaggio della classe operaia e delle masse popolari, un compromesso negativo di cui portano chiaramente le responsabilità chi l'ha firmato anzitutto, uno dei firmatari è Terracini, e chi ha detto a Terracini di firmarlo. Oltre a questo firmatario, oltre a chi gli ha detto di firmarlo, Togliatti, ci sono le responsabilità dei vari D'Alema, dei vari Veltroni, dei nuovi "buonisti'' e dei vari Bertinotti che si fanno scudo di questa Costituzione e ingannano la classe operaia e le masse con la parola d'ordine, ve la ricordate?, chi è di Rifondazione la ricorda meglio di me, "Noi siamo il popolo della Costituzione''. E così sono arrivati a stracciare questa Costituzione che non costa più una lira. Di fatto è stata introdotta la costituzione del neofascismo. La pregiudiziale antifascista è caduta, adesso parlano tranquillamente perfino con Rauti, il quale Rauti sul piano sociale scavalca a sinistra non solo Fini ma anche Bertinotti. Ecco l'inghippo. È ritornato Mussolini.
In questa Costituzione ci possono essere dei punti sui quali noi ci possiamo agganciare, per esempio l'articolo 11 e l'articolo 21. Nella realtà però non vengono rispettati. Noi per esempio abbiamo avuto una sequela di processi politici per aver denunciato la politica interna e la politica estera del governo. Un processo quando abbiamo denunciato l'invio della flotta italiana nel Golfo Persico. Un processo per aver denunciato Craxi che voleva sparare il primo colpo contro la Libia. Nessuno ne ha parlato: né radio, né televisione, né stampa, nemmeno "il manifesto'', nemmeno "l'Unità''.
La libertà di espressione in realtà non esiste. Come non esiste la democrazia. Se voi volete la democrazia la dovete conquistare. Quando uno è disoccupato e ci sono dei padroni non c'è democrazia. Democrazia vuol dire libertà dal bisogno. Se io sono libero dal bisogno del pane, del companatico, della casa, della sanità allora posso esercitare la democrazia, e c'è democrazia. Quando non c'è questo manca l'essenziale, capito?, come l'aria che noi respiriamo.
La Costituzione del '48 ormai di fatto non esiste più. Il presidenzialismo sta dilagando e Bertinotti, copertura delle coperture, anziché il presidenzialismo all'americana, il presidenzialismo alla francese, propone il cancellierato. Ma il cancellierato chi lo predica? Kohl, capo dei capi di tutti i democristiani del mondo. È il cancellierato che tiene schiave e oppresse le masse proletarie e popolari della Germania. Se non è zuppa è pan bagnato. Il cancellierato è una variante del presidenzialismo, è sempre presidenzialismo.
Sono state cancellate o sono in via di cancellazione tutte le forme della prima Repubblica, tutte le forme della democrazia borghese. Era inevitabile che finisse così. È attraverso la democrazia borghese che è uscito fuori Mussolini. È attraverso questa Costituzione che è uscito prima Craxi e poi Berlusconi e anche Bossi.


La democrazia borghese è antagonistica al socialismo

Brano tratto dal discorso pronunciato dal Segretario generale del PMLI, il 9 Settembre 1981 al Palazzo dei Congressi di Firenze, in occasione della Commemorazione del 5° Anniversario della scomparsa di Mao. Il titolo è quello dato dall'Autore al primo capitolo. Oltre che su Il Bolscevico l'intero discorso è stato pubblicato nel volume: Mao e la lotta del PMLI per il socialismo, pagg. 91-122, Firenze 1993.

Secondo il segretario della DC, e non soltanto lui, in Italia non ci sarebbe più bisogno di una rivoluzione perché essa sarebbe già avvenuta nel dopoguerra, soddisfacendo interamente, persino sul piano economico, le masse popolari. Egli infatti dice: "Questi trent'anni raccontano la storia di un popolo che, per la prima volta dopo secoli, sperimenta la democrazia non solo formale, ma sostanziale, perviene, cioè, a toccare alcune delle mete proprie di quella democrazia pluralista che in altri Paesi, hanno richiesto esperienze secolari e vere e proprie rotture rivoluzionarie. Da noi, pur senza fratture traumatiche, una vera e propria rivoluzione nella libertà democratica c'è stata ed è stata una rivoluzione economico-sociale che ha sconvolto i rapporti di classe, favorendo, a livello delle masse popolari, una altissima integrazione economica''.
Noi non la pensiamo affatto allo stesso modo, dato che la realtà è là pronta a smentire sonoramente queste macro-falsità di Piccoli. Anzitutto perché la rivoluzione che vogliono i lavoratori non tollera la benché minima esistenza dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, poi perché l'attuale democrazia è il regno della libertà e del privilegio per i ricchi e i capitalisti e l'inferno per gli operai, le masse e i poveri, e infine perché al potere è ancora la classe borghese.
È vero soltanto, pensando al passato, - al Risorgimento, alla fase dell'Unità d'Italia, alla fine della dittatura fascista di Mussolini e della Monarchia e all'avvento della Repubblica e della Costituzione -, che nel nostro Paese c'è stata una rivoluzione borghese, ma questa ormai è storicamente interamente compiuta, e non ha più nulla da offrire sul piano del progresso economico, politico e sociale.
Quelle che furono le novità democratiche, economiche e istituzionali, introdotte dalla borghesia sulla spinta anche del proletariato, progressiste rispetto al feudalesimo e la monarchia, si avviano rapidamente a trasformarsi in elementi di un regime forte, reazionario, se non apertamente fascista, in cui scompaiono anche i residui margini delle libertà e della democrazia di origine borghese.
Sintomi preoccupanti in tal senso sono i ripetuti tentativi di golpe, da quello preparato nel '64 da De Lorenzo-Segni a quelli architettati da Sindona e Gelli rispettivamente negli anni '72 e '78, l'atteggiamento presidenzialista di Pertini, le richieste di una seconda repubblica avanzate in particolare dal nuovo aspirante duce Craxi, ma anche le proposte dei revisionisti, quali ad esempio la "riforma del parlamento'' e della presidenza del Consiglio, vanno in tal senso, la legislazione repressiva che ha al suo centro le famigerate leggi fasciste Cossiga e Reale, e, infine, l'integrazione dei partiti parlamentari nello Stato attraverso il finanziamento pubblico, ora in via di raddoppio, che costituisce la più colossale rapina del reddito dei lavoratori e l'esempio più clamoroso dell'immoralità pubblica elevata a sistema.
Il terrorismo, gli scandali, la corruzione, l'immoralità e lo sfacelo istituzionale non sono quindi fenomeni a sé, anomali, eccezionali e contraddittori rispetto a questo Stato, a questa Costituzione e a questo tipo di democrazia. Ma tutti quanti prodotti dal vecchio regime borghese ormai giunto allo stato estremo della sua putrefazione e congeniali a esso e che niente e nessuno può rigenerare e ridargli la forza e la vitalità degli anni verdi. Lo sfascio dell'attuale società e la cancrena della democrazia borghese non derivano quindi tanto dal "sistema di potere democristiano'' quanto dal sistema capitalistico.
La democrazia borghese è bloccata a sinistra e aperta a destra. D'altra parte la Costituzione stabilisce dei vincoli insormontabili a sinistra, delle regole di un gioco che non consente di cambiare l'attuale rapporto di forza esistente fra le classi, e che la classe operaia acceda pacificamente e legalmente al potere e cambi questo tipo di società. È inutile perciò farsi delle illusioni costituzionali, intestardirsi a muoversi solo dentro i confini della Costituzione vuol dire dare altro ossigeno alla borghesia morente e tagliarsi da sé ogni prospettiva di cambiamento sociale.
La democrazia borghese, sancita e tutelata dalla Costituzione, si può spremere quanto si vuole e si può estendere a sinistra al massimo della sua sopportabilità, ma non si potrà mai valicare il suo limite estremo che è costituito dall'esistenza e dalla difesa della proprietà privata capitalistica.
Questo limite sacro - checché ne dicano Piccoli e tutti gli altri politicanti borghesi e revisionisti - spiega perché nel nostro Paese non c'è una reale e sostanziale democrazia ma solo una democrazia formale, una democrazia che fondamentalmente tutela gli interessi della borghesia. "Libertà e democrazia - sostiene a ragion veduta il presidente Mao - esistono solo in concreto, mai in astratto. In una società in cui esiste la lotta di classe, se le classi sfruttatrici hanno la libertà di sfruttare i lavoratori, i lavoratori non hanno la libertà di sottrarsi allo sfruttamento; dove esiste democrazia per la borghesia non può esservi democrazia per il proletariato e per gli altri lavoratori''.
Come non dargli ragione! Ché forse in Italia, tanto per fare due esempi, i lavoratori hanno le stesse condizioni economiche e sociali dei capitalisti e dispongono di mezzi di comunicazione e di informazione nella stessa quantità e della stessa qualità di quelli in mano ai padroni? Non ci risulta, e allora di quale democrazia si ciancia? La realtà è che in questa democrazia chi nasce operaio muore operaio e chi nasce ricco muore ancor più ricco.
Il suffragio universale e le libertà formali - per altro conquistate a caro prezzo dal proletariato - non possono essere considerate in alcun modo elementi probanti dell'esistenza di un regime democratico. Già Marx ha smascherato il carattere truffaldino dell'elettoralismo e del parlamentarismo borghese attraverso i quali le classi oppresse ricevono periodicamente il diritto di votare i rappresentanti della classe borghese che "rappresenteranno e schiacceranno'' il popolo in parlamento.
Così come è un puro inganno e una finzione giuridica e costituzionale, il principio secondo cui il potere sta nella maggioranza. Infatti i lavoratori, che pure costituiscono la maggioranza, non possono decidere effettivamente sugli affari dello Stato, perché l'ordinamento statale attuale non è congegnato in modo che essi possano far valere realmente la propria volontà, perché sono esclusi dalla direzione delle varie istituzioni, e perché non possiedono gli strumenti materiali del potere economico e politico.
Su questo tipo di democrazia, falsa, monca e oggi anche retrograda e reazionaria, è impensabile quindi poter costruire il socialismo. Diversamente la pensa Berlinguer, il quale sostiene invece che la "democrazia è il valore storicamente universale sul quale fondare un'originale società socialista''. Pudicamente egli non dice di quale democrazia si tratta, ma è sottinteso che si riferisce alla democrazia borghese, altrimenti l'avrebbe definita con il suo termine di classe.
Sta di fatto che fondando la loro politica sulla democrazia borghese, e addirittura erigendo a simbolo e modello questa vecchia e logora bandiera della borghesia, i revisionisti portano alle estreme conseguenze la linea della "democrazia progressiva'' elaborata da Togliatti con la cosiddetta "svolta di Salerno'', si ricongiungono con l'Internazionale socialdemocratica, che fin dal '14 anziché porsi come obiettivo l'abbattimento del potere borghese scelse la via della conquista della macchina statale attraverso le elezioni, e rompono definitivamente col leninismo anche sulla importante questione della democrazia.
E' chiaro che per i revisionisti l'attuazione piena della democrazia borghese è il fine ultimo della lotta del proletariato, perché essi considerano questa democrazia il "non plus ultra'' di ogni altro tipo di democrazia, compresa quella socialista.
Per noi marxisti-leninisti invece la democrazia borghese è solo una tappa storica dello sviluppo della società, una tappa che oggi bisogna affrettarsi a superare per i pericoli involutivi e fascistizzanti che essa ha accumulato, uno strumento da utilizzare contro la classe dominante borghese e per difendere i diritti del proletariato e creare le condizioni necessarie per il passaggio verso una democrazia superiore, più avanzata e fatta su misura dei lavoratori. Ebbene questo passaggio non può certo avvenire nell'ambito della vecchia democrazia borghese e senza una frattura netta col vecchio ordinamento statale, perché questa volta il potere non passa da una minoranza a un'altra, ma da una minoranza di sfruttatori alla maggioranza degli sfruttati. Si tratta della rivoluzione più profonda della storia dell'umanità che, abolendo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dando tutto il potere alla classe operaia, instaura nuove forme di democrazia e nuove istituzioni che consentano finalmente ai lavoratori di poter godere veramente e pienamente la libertà, la democrazia e l'uguaglianza.

Smascherare la democrazia borghese

Brano tratto da "Avanti sulla via dell'Ottobre'', Rapporto presentato dal compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, al II Congresso nazionale del Partito il 6 novembre 1982. Il titolo è quello dato dall'Autore al 3° paragrafo del VII Capitolo: "I compiti del PMLI in politica interna''. Oltreché su "Il Bolscevico'', il rapporto è stato pubblicato sul volume: II Congresso nazionale del Partito marxista-leninista italiano, Documenti, pagg. 9-192, Firenze, 1983.
 
La democrazia borghese è il terreno fertile dove possono attecchire la massoneria, il terrorismo, la mafia, la camorra, la 'ndrangheta, la guerra tra bande, il ladrocinio, la corruzione e l'immoralità pubblica; è la cornice legale e costituzionale in cui si svolge lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo; è la maschera con cui la classe dominante borghese copre la propria dittatura.
In altre parole la democrazia borghese è solo ed esclusivamente uno strumento politico con cui la borghesia organizza la società e tutela i suoi affari e interessi. Essa è quindi una falsa democrazia perché come dice Lenin "se non c'è uguaglianza di tutti i cittadini, non c'è democrazia'' (La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky - ottobre-novembre 1918). E uguaglianza di tutti i cittadini non ci può essere finché la società è divisa in classi.
Rispetto alla democrazia feudale, indubbiamente la democrazia borghese costituisce un enorme passo in avanti, ma non per questo si può assolutizzarla, ritenerla il punto di arrivo dello sviluppo della democrazia, come fanno i governanti e i politicanti borghesi e revisionisti.
Berlinguer addirittura stravede per la democrazia borghese considerandola un punto di arrivo definitivo e un modello a cui riferirsi anche nel socialismo. Egli dice: "Il PCI ha concepito e concepisce la lotta per la costruzione di una società socialista e la vita di una società socialista in Italia, nelle forme e con le regole della democrazia sancita dalla nostra Costituzione.
Sta proprio qui la peculiarità vera di noi comunisti italiani, il contributo innovativo che abbiamo dato allo sviluppo del pensiero dei nostri stessi maestri, fino all'affermazione che la democrazia è un valore permanente e universale'' (Discorso di Genova, settembre 1978).
Il nostro eroe però imbroglia palesemente le carte perché qui non ci troviamo di fronte ad alcuna "innovazione'' ma a un completo stravolgimento e capovolgimento delle posizioni classiche dei veri comunisti. Basta ascoltare Lenin per rendersene immediatamente conto. "La democrazia borghese, pur avendo segnato - rileva Lenin - un grande progresso storico rispetto al Medioevo, rimane sempre - e in regime capitalistico non può non rimanere - limitata, monca e falsa, ipocrita, un paradiso per i ricchi, una trappola e un inganno per gli sfruttati, per i poveri. Questa verità, che costituisce la parte essenziale della teoria marxista, non ha capito il 'marxista' Kautsky. In questa - fondamentale - questione egli dice cose 'gradevoli' per la borghesia, invece di criticare scientificamente le condizioni che di ogni democrazia borghese fanno una democrazia per i ricchi'' (La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky - ottobre-novembre 1918).
Da parte nostra ci rimane solo da aggiungere che la democrazia disegnata dalla Costituzione italiano non è di tipo speciale, diversa rispetto alla democrazia borghese. L'attuale Costituzione infatti registra solo l'equilibrio che si era raggiunto nell'immediato dopoguerra tra le varie classi sociali, in particolare tra il proletariato e la borghesia, ma pur sempre in un quadro in cui il potere politico ed economico, nonché il controllo dello Stato, viene assicurato alla borghesia.
Quindi la Costituzione, se la si mitizza a quel punto e la si pone a base della propria politica, più che essere una garanzia di libertà e democrazia finirebbe con l'essere una prigione invalicabile per il proletariato.
Essa, è vero, rappresenta una grande conquista, ma non è l'ultima conquista in questo campo perché la Costituzione socialista la supererà di gran lunga. Anche se fa comodo al proletariato, bisogna essere coscienti che essa soddisfa soprattutto gli interessi della borghesia. Non è il plus-ultra della democrazia. Se fosse così la lotta del proletariato potrebbe allora cessare qui, o comunque non andare oltre la democrazia borghese, il che significa accettare supinamente la schiavitù salariata e la dominazione capitalistica.
Il parlamento è l'elemento principale e più ingannatorio della democrazia borghese. Secondo la borghesia e i revisionisti esso è il tempio della democrazia, la massima espressione della sovranità popolare. In realtà il parlamento è solo un'istituzione della borghesia, un orpello dietro il quale questa classe nasconde la propria dittatura, una centrale d'oppressione delle masse.
I marxisti autentici hanno sempre avuto una esatta visione di classe del parlamento, e anche quando lo utilizzavano perché la coscienza antiparlamentare delle masse era ancora troppo arretrata non cessavano mai un momento di denunciarne la natura di classe borghese e il carattere antipopolare e controrivoluzionario. Già Engels così ne parlava: "La malattia del cretinismo parlamentare è un'infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime, della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l'onore di annoverarli tra i suoi membri'' (Rivoluzione e controrivoluzione in Germania - 27 luglio 1852).
Col tempo però masse sempre più larghe si sono rese conto, guardando ciò che fa e subendo le inique leggi che produce, che il parlamento non esprime affatto la volontà del popolo e che le questioni più importanti vengono decise al di fuori di esso, nelle segreterie dei principali partiti borghesi e nei circoli dorati dei grandi magnati della finanza e dell'industria. Tuttavia è sempre necessario, anzi indispensabile, da parte nostra proseguire e intensificare gli sforzi teorici e politici tesi a smascherare, disgregare e demolire il parlamento e ad alienargli ogni pur piccola fiducia delle masse. Specialmente per contrastare e controbilanciare la predicazione parlamentarista, elettoralista e partecipazionista dei revisionisti.
L'astensionismo è oggi un'ottima arma per indebolire il parlamento, e ogni altra istituzione rappresentativa borghese, e per elevare la coscienza antiparlamentare e antistituzionale delle masse.
Il nostro non è un astensionismo di ritorno, e non ha nulla a che vedere con quello anarchico-bakuninista dell'ultimo trentennio del secolo scorso e con quello bordighista degli anni '20. Sia Bakunin che Bordiga sbagliavano - e gravemente - nel porre allora la questione astensionista perché i tempi non erano maturi, perché definivano il rapporto con le istituzioni rappresentative borghesi sulla base di un principio senza tener conto dei sentimenti e della coscienza delle masse, perché mancava o era estremamente limitato il suffragio universale e le masse non avevano ancora alcuna esperienza parlamentare.
Ai nostri tempi invece la situazione è completamente diversa e l'astensionismo non è più solo una pratica di gruppi di avanguardia ma l'espressione elettorale di milioni di persone e persino di partiti democratici borghesi, come quello radicale.
L'attuale democrazia italiana porta il marchio di classe della democrazia borghese e non di una democrazia diversa, di carattere popolare che faccia contemporaneamente gli interessi della borghesia e quelli del proletariato.
La democrazia borghese si può e si deve estendere il più possibile, ma per quanto lungo e ampio sia il tratto di terreno che può coprire non potrà mai eliminare il dominio del capitale e il potere della borghesia. Come vediamo nella pratica, in Italia e all'estero, nessuna riforma politica per quanto ardita possa essere potrà mai distruggere l'oppressione di classe e liberare le forze produttive.
Questo è il punto che determina il carattere di classe della democrazia italiana, i suoi limiti invalicabili, il punto che svela al proletariato la necessità di non accontentarsi di quello che può strappare e realizzare nel quadro della democrazia borghese, di andare oltre qualsiasi limite borghese e di puntare diritto verso la propria democrazia, la dittatura del proletariato.
La democrazia italiana non è una "democrazia zoppa'', "incompiuta'', come dice Berlinguer, o una "democrazia bloccata'', come dice De Mita, ma una democrazia borghese putrescente, fascistizzante e intollerabile, che soffoca ogni aspirazione del proletariato alla libertà e al potere politico. Si tratta di una non democrazia non tanto perché essa esclude il PCI dal governo quanto perché il proletariato non comanda nulla ed è solo soggetto allo sfruttamento più bestiale.
Al limite anche se tutti i partiti, compreso il nostro, fossero al governo ma la cornice costituzionale e istituzionale rimanesse la stessa e la classe al potere continuasse ad essere la borghesia, nemmeno allora sarebbe vera democrazia. Tanto più in una situazione come quella d'oggi in cui con la cosiddetta "riforma istituzionale'' e l'accelerarsi del processo di fascistizzazione e militarizzazione del Paese si tende a restringere ulteriormente le libertà democratico-borghesi.
Ormai la democrazia borghese non offre più niente al proletariato, i tempi sono maturi perché si passi alla democrazia proletaria. Bisogna alzare lo sguardo e guardare verso il luminoso avvenire, considerando seriamente la esortazione di Lenin: "La democrazia borghese era progressista rispetto al Medioevo, e bisognava quindi utilizzarla. Ma oggi essa è INSUFFICIENTE per la classe operaia. Oggi bisogna guardare avanti, non indietro, bisogna guardare alla sostituzione della democrazia borghese con la democrazia proletaria. E, se il lavoro preparatorio della rivoluzione proletaria, l'addestramento e la formazione dell'esercito proletario sono stati possibili (e necessari) nel quadro dello Stato democratico borghese, una volta che si sia giunti alle 'battaglie decisive', rinchiudere il proletariato entro questo quadro significa tradire la causa del proletariato, significa essere un rinnegato'' (La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky - ottobre-novembre 1918).
Questa coscienza ancora il nostro proletariato non ce l'ha per colpa della predicazione democraticistica e non di classe dei revisionisti, è nostro compito dargliela. Per questo occorre sviluppare fino in fondo, a livello teorico e politico, l'elaborazione del nostro Partito sull'analisi e la denuncia della democrazia borghese e dello Stato italiani, nei loro aspetti classici e originali e nelle forme concrete di oggi, come presupposto e preparazione diretta alla rivoluzione socialista italiana.
Lenin, alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre, scrisse "Stato e rivoluzione'', qualcosa del genere forse, ma senza presunzione, dovremo fare anche noi se vogliamo che la moltitudine di rivoluzionari soprattutto intellettuali, che attualmente sono alla ricerca di un partito e di una via rivoluzionaria si incontrino e si sposino col nostro Partito.
Naturalmente non dobbiamo soltanto scrivere, occorre anche lottare contro la democrazia borghese. Ma a volte scrivere è anche lottare, perciò tutto il Partito, in particolare i nostri intellettuali, i nostri giornalisti e le varie Commissioni centrali, a seconda delle proprie competenze e conoscenze, devono partecipare a questa grandiosa impresa.
Lottiamo, studiamo e scriviamo. I libri si cominciano dai capitoli e dai paragrafi e si scrivono un po' per volta secondo le conoscenze che via via si acquisiscono e il tempo che si ha a disposizione. L'importante è capire che occorre ridurre in briciole la democrazia borghese, prima lo faremo a livello teorico e politico prima riuscirà a farlo il proletariato nella pratica.


9 gennaio 2013