Alla riunione dell'Eurogruppo a Bruxelles Via libera allo scudo antispread e agli aiuti alla Spagna Il vertice dei ministri del Tesoro dei 17 paesi aderenti all'euro, il cosiddetto Eurogruppo, tenutosi a Bruxelles il 9 luglio ha confermato l'intesa raggiunta dai capi di Stato e di governo nel summit europeo del 28 e 29 giugno sull'utilizzo del fondo salva Stati, ovvero gli interventi per calmierare gli spread tra i diversi titoli sovrani da parte della Banca centrale europea (Bce). La banca diretta da Mario Draghi potrà acquistare i bond solo usando soldi del Fondo salva-stati (Efsf) non potendo per statuto finanziare i debiti dei paesi membri. Un passaggio che doveva essere scontato, di stesura nero su bianco delle modalità di applicazione delle decisioni prese nel Consiglio europeo, ma che invece sembrava essere rimesso in discussione dalla posizione di Finlandia e Olanda, dietro cui molti intravedevano la Germania, contrarie a spendere per sostenere, senza mettere in mora la sovranità sui bilanci nazionali come nel caso della Grecia, i paesi meno "virtuosi" oggi in difficoltà; fra i quali l'Italia di Mario Monti che del varo dello scudo ha fatto un fiore all'occhiello. Il via libera allo scudo antispread era sigillato dalla firma tra la Bce e L'Efsf di un accordo tecnico che prevede la possibilità per la Bce di prendere i soldi dal fondo e acquistare i bond sul mercato secondario, non quelli messi all'asta. L'Eurogruppo approvava anche la prima rata da 30 miliardi di euro di aiuti per la Spagna cui era inoltre concesso un anno in più per rientrare sotto il 3% nel rapporto tra deficit e pil come concordato in sede europea. Misure a breve per tentare di stabilizzare i mercati e parare i colpi della speculazione finanziaria, accompagnate da altre decisioni per la creazione in tempi medio lunghi di un'unione bancaria e fiscale. A giudicare dalla prima risposta dei mercati non un grande successo, come veniva presentato. Lo spread, il differenziale di rendimento dei titoli italiani e spagnoli rispetto quelli tedeschi calava di poco, restando ancora alto mentre i titoli italiani venivano scambiati sul mercato secondario a un tasso di quasi il 6% e quelli spagnoli al 6,73%. Interessi pesanti da pagare, a lungo termine insostenibili. Si pensi che la Germania ha venduto i suoi titoli a tasso negativo, chi li ha comprati riscuoterà poco di meno di quanto ha speso ma si crede certo di riavere indietro l'investimento; Berlino continua a capitalizzare la sua posizione di forza rastrellando capitali a scapito degli altri paesi e certamente non ha fretta di mettere in pista un meccanismo che aiuta i concorrenti interni all'Europa. Anche la Francia ha venduto i propri titoli a interesse negativo, eppure ha risultati economici appena sopra la sufficienza. Ma il punto è proprio questo: nei paesi del sud Europa la crisi è finanziaria e contemporaneamente economica, la recessione morde pesante e ne segna il declino economico. Il varo di strumenti finanziari che aiutano soprattutto le banche affronta solo uno dei corni del problema e non è detto possa essere efficace. Lo sperano i 17 ministri delle Finanze dell'Eurozona che hanno deciso un meccanismo antispread che agirà in difesa dalle vendite di titoli sovrani quando il differenziale con quello tedeschi supererà un dato valore e solo dei paesi che ne chiederanno espressamente l'intervento. Un intervento comunque limitato a 500 miliardi di euro, di cui 375 già stanziati finora in soccorso di Grecia, Portogallo e Irlanda. Pochi se si pensa a un possibile intervento su Spagna e Italia. Spacciato, nel comunicato emesso al termine del vertice del 9 luglio dei paesi dell'Eurozona, come un impegno forte a "fare tutto il necessario per garantire la stabilità finanziaria dell'area dell'euro, in particolar modo attraverso un uso flessibile ed efficiente dei fondi Efsf e Esm (il meccanismo europeo di stabilità che ne prenderà il posto dal 2013, ndr) a favore degli Stati che rispettano le raccomandazioni, gli impegni e le tabelle di marcia concordate sotto il semestre europeo, nel patto di stabilità e di crescita e nelle procedure d'infrazione", ovvero aiuti condizionati dal rispetto dei rigidi parametri di bilancio decisi nel pacchetto fiscale che hanno di fatto tolto la sovranità agli Stati sui propri bilanci pubblici. E verificati dalle istanze comunitarie. Come condizionati sono i 30 miliardi di euro concessi come "riserva in caso di necessità urgenti" alla Spagna per puntellare le proprie banche in difficoltà. Intanto i soldi ancora non ci sono: il protocollo d'intesa con il quale gestire gli aiuti alle banche spagnole sarà definito in una riunione straordinaria il prossimo 20 luglio. In cambio la Spagna dovrà attuare una "revisione dei segmenti deboli del settore finanziario spagnolo", in altre parole le banche destinatarie del sostegno saranno soggette a specifici obblighi di ristrutturazione e cadranno sotto una maggiore vigilanza, per ora affidata al governo di Madrid. Il quale dovrà inoltre adottare nuove misure di "austerità supplementare", comprese quelle previste nella finanziaria per il periodo 2013-2014 che dovrà essere tassativamente approvata "entro la fine del mese di luglio'", ha sottolineato la Commissione europea, per rispettare gli obiettivi di rientro concordati con la Commissione stessa; obiettivi che sono stati diluiti nel tempo dall'Eurogruppo dato che il governo Rajoy ha ottenuto una dilazione di un anno, dal 2013 al 2014, per portare il rapporto deficit/pil al di sotto del 3%. Un favore a Madrid, negato finora a Atene. Madrid non sfuggirà comunque a uno stretto controllo e sarà una sorvegliata speciale in particolare della Troika (Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale), come deciso dal consiglio Ecofin dei 27 paesi europei, riunito sempre a Bruxelles il 10 luglio, che ha deciso azioni di monitoraggio trimestrali sulla Spagna per verificare lo stato d'attuazione delle misure richieste. Nella riunione del 10 luglio i ministri delle Finanze dell'Unione europea hanno in particolare approvato l'avvio della fase pilota dei cosiddetti project bond, titoli emessi dall'Ue per sponsorizzare i progetti che dovrebbero mobilitare fra il 2012 e il 2013 fino a 4,5 miliardi di euro per investimenti in vari settori. Lo stanziamento deciso finora riguarda circa 200 milioni di euro destinati ai progetti legati ai trasporti, 10 milioni nel settore energetico e 20 milioni per telecomunicazioni e banda larga; non tanto se si pensa che questi sarebbero le misure a favore dello sviluppo tanto reclamate da Hollande e Monti che dovrebbero invertire la corsa verso il fondo dell'economia in recessione. L'Eurogruppo aiuta le banche e l'Ecofin i capitalisti; a pagare sono i lavoratori e le masse popolari. 11 luglio 2012 |