Rapporto Istat sulla povertà Oltre 7 milioni e mezzo di poveri Ma per la Caritas "l'emergenza sociale riguarda 15 milioni di persone" L'Italia è sempre più povera e per milioni di famiglie aumenta il disagio sociale. Soprattutto nel Mezzogiorno. Una realtà destinata a diventare ancor più drammatica se si pensa ai contraccolpi della recessione sull'occupazione e sulla cassa integrazione. Secondo l'indagine diffusa il 4 novembre scorso nel 2007, i poveri sono 7 milioni e 542 mila, il 12,8% dell'intera popolazione. 2 milioni 653 mila le famiglie, che rappresentano l'11,1% delle famiglie residenti. Una povertà che in termini assoluti e percentuali è rimasta invariata rispetto al 2006. Per il 2007, sono povere (e ricordiamo si parla di povertà relativa e non di quella assoluta, cioè basata su un paniere di beni e servizi "indispensabili", la cui stima l'Istat ha sospeso da alcuni anni) le famiglie composte da due persone che hanno una spesa media mensile pari o inferiore a 986,35 euro. È una povertà che si acuisce al Sud, dove l'incidenza della povertà è di ben quattro volte superiore a quella osservata nel resto del paese, è più "intensa" (cioè la spesa media per il nucleo di due persone scende a 784 euro al mese) e va a colpire con maggiore intensità le famiglie più numerose, in particolare con tre o più figli, soprattutto se minorenni. È una povertà inoltre più diffusa tra le famiglie con anziani; è fortemente associata a bassi livelli di istruzione, e a bassi profili professionali (i cosiddeetti "working poor") e all'esclusione dal mercato del lavoro. L'incidenza, infatti di povertà tra le famiglie con due o più componenti in cerca di occupazione (35,8%) è di quasi quattro volte superiore a quella delle famiglie dove nessun componente è alla ricerca del lavoro (9,9%). L'allarme della Caritas Ma quello dell'Istat rischia di essere un quadro fuorviante, o quantomeno fortemente restrittivo. Secondo il recente rapporto della Caritas italiana in collaborazione con la Fondazione Zancan "l'emergenza sociale riguarda 15 milioni di persone", ossia un italiano su 4. Perché, oltre ai 7,5 milioni di persone ufficialmente sotto la soglia di povertà, ce ne sono altrettanti che "si collocano poco sopra, e quindi sono da considerarsi ad altro rischio". Una folla silenziosa e dimenticata che cresce, fatta di anziani che vanno al mercato quando le bancarelle stanno chiudendo per comprare le rimanenze a prezzi ridotti, di famiglie numerose o monoreddito o vittime di contratti precari che dopo la terza settimana hanno già finito i soldi per la spesa. In tale rapporto la Caritas accusa i politicanti borghesi a tutti i livelli, governo nazionale, regioni, comuni, per "l'assenza di una volontà politica efficace nel ridistribuire le risorse disponibili" e di "un piano di lotta alla povertà". "L'Italia non è il posto dell'uguaglianza e nemmeno quello dell'opportunità", denuncia don Vittorio Nozza, direttore della Caritas. "Più di altri paesi europei, l'Italia presenta grandi differenze tra chi vive in un discreto benessere, chi tutti i giorni lotta per non oltrepassare la soglia della povertà e chi dentro la povertà ci sta da tempo e non intravede nulla di nuovo nel futuro". "Da anni, continua Nozza, assistiamo alla progressiva crescita della disuguaglianza nel nostro Paese. Ma nessuno fa nulla". "I programmi politici non prendono in considerazione la lotta alla povertà, che viene ritenuta una sorta di dimensione fisiologica del normale sviluppo economico di un paese ricco". Ben che vada, le istituzioni si limitano a fare dell'assistenzialismo di facciata che in taluni casi non va oltre l'elemosina (vedi l'ultima trovata del neoduce Berlusconi che con la "carta per gli anziani" ha scopiazzato la famigerata tessera del pane di mussoliniana memoria). Intanto, spiega la Caritas, l'Italia da dieci anni mantiene costante la percentuale di popolazione a rischio di povertà. Era al 20% nel 1995 ed è rimasta al 20% nel 2006, e nel 2007 come riaffermano i dati Istat. Anzi, secondo il presidente della Commissione di indagine per l'esclusione sociale, Marco Revelli, comunque l'Italia "assisterà a un maggiore impoverimento della popolazione. Se poi ci aggiungiamo la recessione incombente, possiamo ben dire che si rischia una vera e propria carneficina sociale". Il dossier insomma disegna un paese dove si spende poco in assistenza sociale, un diciassettesimo rispetto alla Gran Bretagna. E dove quello che si spende non raggiunge gli obiettivi. Nell'Europa a 15, l'Italia è il paese dove le misure contro la povertà sono le meno efficaci. Peggio fa solo la Grecia. Mentre in alcuni paesi, come Svezia, Danimarca, Olanda, Germania, Irlanda e Francia attraverso gli interventi dello Stato riescono a ridurre del 50% il rischio di povertà, da noi si raggiunge un poco invidiabile 4%. Si pensi che quasi il 55% degli italiani ha un reddito di appena 15 mila euro annui, e il 20% delle famiglie più povere percepisce appena il 7% del reddito nazionale, mentre il 10% più ricco ne possiede il 45%. Negli ultimi due anni è cresciuto ulteriormente il divario tra la stragrande maggioranza della popolazione che non ce la fa o fatica a sbarcare il lunario e un pugno di ricchissimi sfruttatori e parassiti. Da qui l'invito ad aiutare le persone in difficoltà piuttosto che le grandi banche: "Assistiamo in questi giorni a montagne di soldi pubblici che, con il giusto accordo di tutti, corrono al capezzale della grande finanza e delle imprese in crisi per tentare di mettere in atto un salvataggio. Perché non fare altrettanto per soccorrere chi lotta quotidianamente per sopravvivere all'indigenza e alla precarietà?" Nel 2007 lo Stato ha erogato 66.878 milioni di euro per la spesa sociale, di questi solo l'1,9 percento è andato per l'assistenza sociale. Il rapporto suggerisce quindi di riorientare e riqualificare le risorse. "Lotta alla povertà, promozione del Mezzogiorno, garanzia dei livelli essenziali dei servizi e delle prestazioni sociali in tutta Italia, tutela della non autosufficienza, integrazione degli immigrati, accesso all'abitazione sono le priorità che devono impegnare Parlamento e governo per ridurre la vulnerabilità nel Paese", ha concluso il direttore della Caritas. 26 novembre 2008 |