Per cinque giorni la Sicilia in mano ai manifestanti In migliaia hanno bloccato le maggiori città e paesi dell'isola. Disoccupati, precari, studenti partecipano alla lotta. La "sinistra" borghese la diserta e la criminalizza Il PMLI: "La rivolta di massa in Sicilia è giusta e va appoggiata" Dal nostro corrispondente della Sicilia Montava ormai da mesi la protesta siciliana che dal 16 al 20 gennaio ha letteralmente bloccato la Sicilia, con migliaia di contadini, braccianti, pescatori, autotrasportatori, precari, disoccupati e studenti, che hanno presidiato autostrade, porti, aeroporti, ferrovie. Il movimento Da quando è nato, il Movimento dei Forconi, che raggruppa piccoli contadini e braccianti in lotta contro la distruzione dell'economia agricola siciliana, soffocata dalla politica agricola europea unicamente a favore delle grandi aziende, e dall'aumento della pressione fiscale statale e regionale, ha mostrato, infatti, una grandissima combattività. Fa la sua prima apparizione nella primavera scorsa, quando, in occasione di una contestatissima visita dell'ex ministro alle politiche agricole Romano, gli agricoltori occupavano la cattedrale di Avola, individuando come centro di unità dei contadini siciliani, il paese che nel 1968 fu insanguinato dalla strage dei braccianti. L'obbiettivo dichiarato è quello di "sensibilizzare il governo regionale e nazionale sulla grave crisi agricola" che attanaglia il Sud. Il 17 luglio sono a Messina, in corteo contro il governo Berlusconi, che aveva promesso di salvare "un milione di agricoltori dal fallimento", ma salvò solo una parte della grande produzione agricola e la distribuzione del Nord, come denunciarono i portavoce del movimento. Qualche giorno dopo lo ritroviamo a Cagliari in appoggio alla manifestazione "contro il governo e il ministro Romano". I contadini siciliani furono caricati dalla polizia del neoduce in assetto antisommossa, armata da lacrimogeni, quando, insieme a migliaia di pastori, commercianti e artigiani sardi tentano di entrare nella sede del consiglio regionale. Sin dall'inizio, uno degli obbiettivi del movimento è "allargare la lotta di rivendicazione a 360°" coinvolgendo "tutti gli uomini di cultura e soprattutto i Movimenti studenteschi", come dichiarano in un comunicato stampa del 10 agosto, "considerato che il problema agricolo non è più un problema di categoria ma è diventato il problema sociale planetario" A settembre, a Palermo arrivano fin sotto la sede del governo siciliano a trovare Lombardo, "la sua giunta, e l'Assemblea regionale" che non rappresentano "nessuna democrazia e nessun popolo libero di scegliere ma solo quell'apparato di tasselli del sistema e quella macchina di spesa che si portano dietro". Nei mesi successivi è un continuo manifestare degli agricoltori e dei braccianti in decine di piazze siciliane, mentre il movimento si estende ad altri settori economici, coinvolgendo pescatori, commercianti, artigiani, disoccupati, precari, studenti e si salda a fine dicembre con la protesta degli autotrasportatori siciliani, quando nasce Forza d'Urto. Le rivendicazioni e i metodi di lotta Non s'è certo trattato di una protesta nata improvvisamente. Essa è montata giorno dopo giorno sulla base di un disagio economico e sociale concreto, che si è aggravato progressivamente, a seguito dei provvedimenti di lacrime e sangue del governo Berlusconi e del governo Monti degli ultimi mesi. I manifestanti chiedono interventi sul costo del carburante, per il miglioramento del tenore di vita e delle condizioni generali delle famiglie, attraverso una limitazione sui costi dei servizi (metano, acqua, energia elettrica), per bloccare gli interessi usurai della Serit, la filiazione di Equitalia in Sicilia, che ha mandato sul lastrico migliaia di piccole aziende sull'isola, per abbattere i costi autostradali e di attraversamento dello Stretto, per migliorare la rete viaria della Sicilia. È su queste rivendicazioni e su altre più settoriali che viene indetta dal 16 al 20 gennaio un'iniziativa congiunta del movimento. Sono una trentina i posti di blocco ufficiali, dislocati nelle nove province siciliane. Presidiati i porti di Palermo, Catania e Messina, le zone industriali e le raffinerie della Sicilia, in particolare Augusta (Siracusa) e Gela (Caltanissetta). Bloccate le autostrade, gli aeroporti, le stazioni ferroviarie. I mercati ortofrutticoli e ittici. Per cinque giorni dalla Sicilia, maggiore produttrice di petrolio in Italia, non è uscito nulla. Non è neanche entrato nulla con un enorme danno economico alle grandi aziende nazionali e internazionali. Alle proteste hanno partecipano spontaneamente migliaia di lavoratori, disoccupati, precari. In concomitanza, in diverse zone della Sicilia manifestavano gli operai. A Palermo quelli di Fincantieri di Palermo, a Trapani quelli della cantieristica, mentre i lavoratori dei traghetti bloccavano lo Stretto. La posizione arretrata e antipopolare della "sinistra" borghese e del sindacato collaborazionista, che hanno tentato con bugie di ogni sorta di denigrare la lotta dei Forconi per isolarla, ha impedito il saldarsi di quest'ultima con le rivendicazioni operaie. Tuttavia in varie zone della Sicilia lo sciopero è stato sentitissimo dall'intera popolazione, come a Caltanissetta, dove vi è stata la serrata di tutti i commerciati in solidarietà con lo sciopero, ad Avola, dove gli studenti hanno dichiarato il loro appoggio ai Forconi, e a Palermo dove gli studenti hanno portato la propria solidarietà con una riuscitissima manifestazione che ha attraversato il centro storico per confluire nel presidio del porto. Presenti anche i centri sociali Anomalia e Laboratorio Arrigoni. In un comunicato stampa del 20 gennaio il PMLI afferma: "questa rivolta fa onore alla popolazione siciliana e fornisce un importante esempio per tutta la classe operaia e il popolo italiano. Il comunicato è stato portato al blocco al porto di Palermo e ben accolto dai manifestanti che ci hanno invitato a proseguire la lotta insieme a loro. Dal 20 intanto la protesta si è allentata in attesa dell'incontro previsto per il 25 gennaio tra Monti e il governatore siciliano Lombardo. Tuttavia "i presidi continueranno e non escludiamo nuove forme di manifestazione sull'isola", ha detto Mariano Ferro, uno dei leader del movimento, che, in Sicilia, si è spaccato momentaneamente su come proseguire una protesta che, intanto ha oltrepassato lo Stretto si è diffusa ad altre regioni, arrivando in Emilia-Romagna, in Piemonte, dove si registrano blocchi diffusi e persino in Sardegna. Intanto il governo Monti va all'attacco, minacciando l'uso della forza tramite la ministra dell'interno, Annamaria Cancellieri "non saranno tollerati blocchi stradali". La mobilitazione è riuscitissima e di massa, checché ne dicano le posizioni dietrologiche, che da più parti, hanno tentato di spostare l'analisi politica dalle motivazioni alla base del largo movimento ad altre questioni con l'obbiettivo di infangare la lotta e tentare di contenerla. Dietrologica e basata su una visione parziale è, ad esempio, la posizione del presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, il quale con un navigato equilibrismo politico, dapprima dichiara di condividere parte delle ragioni della protesta, dall'altro "denuncia" la presenza di presunti esponenti della mafia in alcuni dei blocchi stradali. Basterebbe a chiarire la questione l'intervento del procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, il quale rispondendo a Lo Bello afferma: "In un contesto di territorio dove c'è una presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso è anche possibile una sua infiltrazione tra chi protesta, però bisogna accertarlo perché non si può generalizzare". In ogni caso, è antico quanto l'esistenza delle lotte di massa da un lato e della mafia dall'altro il problema dell'infiltrazione della criminalità nei movimenti di lotta siciliani. È successo con i Fasci socialisti, è successo con le lotte contadine. Il fatto però non cambia una virgola del discorso politico: la rivolta è di massa ed ha alla base un disagio economico e sociale profondissimo al quale bisogna dare risposte. Lo stesso dicasi delle accuse sollevate da alcuni partiti della "sinistra" borghese al movimento di essere egemonizzato dalla destra. Basterebbe l'espulsione recente di Martino Morsello, legato a Forza Nuova, dal movimento stesso a rispondere. Ma per chiarire fino in fondo la questione ci pensa il PMLI: "Il fatto che la rivolta sia parzialmente egemonizzata da settori di destra è perché la 'sinistra' politica e sindacale borghese l'ha disertata e la criminalizza, pur non potendo negare la giustezza delle motivazioni". "Certamente non è un movimento di massa puro, che peraltro è irrealizzabile, e come si vorrebbe". Non bisogna esitare allora ad appoggiare questa lotta e ad entrarvi per conquistarne l'egemonia, per emarginare i provocatori e gli infiltrati, mafiosi o no, e per indirizzare correttamente il movimento. Corretti, anche se molto duri, i metodi di lotta che, fin qui, hanno ottenuto l'appoggio delle larghe masse siciliane. L'allarme lanciato da Confindustria circa gli enormi danni all'economia siciliana provocata da questa rivolta va misurato con le cifre di un'economia siciliana distrutta dalle scelte dei governi nazionali e regionali. "L'assoluta inerzia e incompetenza della classe politica siciliana, spesso serva di interessi nazionali che nulla hanno a che fare con i nostri interessi, ha infatti fatto sì che si sia dovuto dar vita ad una protesta dura ma necessaria", rispondono i manifestanti stessi. Dura, ma necessaria. Infatti è proprio questo il punto: la lotta era ed è necessaria e in quanto tale, come ha detto benissimo il comunicato stampa del PMLI essa va appoggiata per far comprendere che il capitalismo e la classe dominante borghese vanno spazzati via e che solo il socialismo può salvare l'Italia. 25 gennaio 2012 |