Sì al taglio degli orari. No al taglio dei salari. Nessun licenziamento Il governo del neoduce Berlusconi ci ha provato e ci prova ancora a minimizzare, a spargere un inutile e ingannatorio ottimismo, anche perché non è supportato da efficaci provvedimenti, e a ripetere che la crisi finanziaria, economica e sociale in atto è un'invenzione di certi mass-media. Ma a dispetto di questo atteggiamento tattico irresponsabile e colpevole, le notizie sulla crisi provenienti dagli enti di rilevazioni statistiche, dai sindacati, dalla Banca d'Italia e persino dalla Confindustria sono sempre più gravi: il potere di salari e pensioni continua a scendere, calano di conseguenza i consumi, gli ordini e i fatturati, dilaga la richiesta di cassa integrazione sia ordinaria che straordinaria in tutti settori merceologici, con il metalmeccanico e il tessile in testa, drammatica la situazione degli elettrodomestici, corrono i licenziamenti a partire dai lavoratori precari ai quali non viene rinnovato il contratto. Pesanti le perdite in borsa in sede di bilancio 2007-2008: il valore dell'intero listino italiano è sceso di ben 372 miliardi di euro. Le previsioni per l'anno appena iniziato, specie per la situazione occupazionale, sono persino peggiori; c'è chi (Confindustria) parla di 600 mila posti di lavoro in meno e chi (Cisl) arriva a parlare di un taglio 900 mila. Si tratta alla lunga di un atteggiamento non solo criminale ma insostenibile. Cosicché dopo aver sostenuto la defiscalizzazione degli straordinari (sic!), dopo aver varato una manovra economica sostanzialmente recessiva, di tagli alla spesa pubblica e sociale, di riduzione di posti di lavoro, il governo ha incominciato alla chetichella a "correggere il tiro" con un decreto anticrisi sugli "ammortizzatori sociali" molto parziale e fortemente inadeguato a fronteggiare la situazione già esistente e soprattutto quella incombente. In questo quadro, il neoduce Berlusconi, nel suo lungo e tedioso sproloquio, tenuto nella conferenza stampa di fine anno, in coda al presidenzialismo, al federalismo e alla "riforma" della giustizia, che rappresentano le sue priorità, dal cappello ha tirato fuori l'ipotesi della "settimana corta" per contenere gli effetti delle riduzioni di produzione, per distribuire il lavoro che c'è, per spalmare la cassa integrazione su tutti i lavoratori di una stessa azienda interessata dalla crisi, e così evitare o almeno ridurre i licenziamenti. Un'idea, quella della settimana lavorativa di 4 giorni, che Berlusconi ha copiato dal cancelliere tedesco Angela Merkel la quale nei giorni precedenti aveva palesato l'intenzione di attuare una proposta del genere. In Italia era stato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, a proporre una riduzione dell'orario di lavoro legata alla crisi produttiva, come risposta alternativa alla mobilità e a licenziamenti. Per una sua eventuale realizzazione si sono messi all'opera il ministro del lavoro Sacconi il quale, del tutto impropriamente, ha richiamato parafrasandolo il vecchio slogan del '68 "lavorare meno lavorare tutti" e i senatori del PdL Mazzucca e Casoli che sull'argomento stanno preparando un disegno di legge. Allo stato attuale rimane una proposta vaga, non si conoscono i suoi contenuti concreti e le sue modalità specifiche del tipo: di quanti giorni lavorativi è composta la settimana corta che si vuole varare? Come e a chi si applica? Per quanto tempo? Comporta perdita di salario e di quanto? Il costo è a carico dell'Inps o del fisco? Sia pure con propri distinguo e con richieste di precisazioni, tutte e tre le confederazioni hanno accolto con apertura la proposta della settimana corta anti-recessiva. "È importante garantire la non interruzione del lavoro in una fase difficile per l'economia - ha detto Susanna Camusso della Cgil - anche se non vedo particolari novità in questa iniziativa, esistono già i contratti di solidarietà per i lavoratori che beneficiano della Cig. Il vero problema sono i precari esclusi dalle tutele tradizionali; quindi ben venga la riduzione di giornate di lavoro, purché si coinvolgano anche gli atipici che sono i primi a subire gli effetti della crisi". Camusso insiste: "per far fronte alla crisi abbiamo bisogno di una pluralità di forme di sostegno al reddito che rispondano alla diversità di situazioni esistenti". Inoltre "va garantita l'universalità degli ammortizzatori sociali". Per Giorgio Santini della Cisl: "È essenziale che le imprese non chiudano i battenti per la crisi che sarà temporanea... Chi perde il lavoro difficilmente potrà ricollocarsi in un'altra impresa, quindi bisogna fare di tutto per evitare di distruggere in modo irreversibile il patrimonio" professionale dei lavoratori. "Non abbiamo obiezioni di principio - ha sottolineato Pirani della Uil - ma la gravità della crisi chiede risorse adeguate non si può pensare di far fronte alla pesante congiuntura economica con le risorse esistenti". Tiepida la Confindustria. È una ricetta "che può andar bene per situazioni di crisi - ha detto il vicepresidente Alberto Bombassei - ma non può essere né l'unica né la cura per tutti. In Italia abbiamo un sistema di ammortizzatori sociali che consente di assecondare i momenti di crisi". Aspettando che il governo avanzi una proposta concreta e precisa, la prima domanda che si pone è se questa settimana corta si tradurrà solo in una variante nell'applicazione degli "ammortizzatori sociali" che già esistono o se invece significherà un loro ampliamento per coloro che ad oggi, e sono tanti, ne sono esclusi: i dipendenti delle piccole aziende, i lavoratori precari impiegati nei settori pubblici e privati. In effetti, in piena recessione produttiva e grave crisi occupazionale, una robusta riduzione degli orari di lavoro con finalità di redistribuzione del lavoro per evitare nell'immediato i licenziamenti ma anche per redistribuire il lavoro tra gli occupati, i precari e i disoccupati, rappresenta un obiettivo importante da perseguire. Purché si tratti di riduzioni strutturali e durature, purché non comporti alcun taglio al salario. In ogni caso nessuno deve essere licenziato. Hanno ragione tuttavia coloro che rivendicano una pluralità di provvedimenti. Occorre una politica economica, finanziaria, fiscale, sociale e del lavoro completamente diversa da quella portata avanti da Berlusconi, Tremonti, Sacconi e Brunetta. Occorrono provvedimenti a sostegno dei salari e delle pensioni. Occorrono "ammortizzatori sociali" universali, validi anche per i precari e per i lavoratori migranti. Per loro è necessaria anche l'abrogazione della Bossi-Fini che comporta l'espulsione dall'Italia in caso di perdita del lavoro. Occorre una politica fiscale che riduca le aliquote per i redditi medio-bassi, restituisca ai lavoratori il fiscal-drag e che incrementi il prelievo sulla rendita finanziaria e sui grandi patrimoni e colpisca la grande evasione. Occorrono investimenti per rilanciare i servizi pubblici per ammodernare le infrastrutture pubbliche. Occorre una politica per ripubblicizzare i grandi enti privatizzati e per nazionalizzare le aziende di interesse nazionale. 7 gennaio 2009 |