Un altro attacco frontale ai principi fondanti del servizio sanitario nazionale Il governo del neoduce Berlusconi presenta un ddl per smantellare la "legge Basaglia" Riapertura dei manicomi, restaurazione dei Trattamenti sanitari obbligatori a lungo termine, privatizzazione selvaggia dei servizi Lottiamo per potenziare i servizi di salute mentale, i "day hospital", i "centri crisi", i centri diurni, le strutture residenziali e le case famiglia pubbliche "L'apparato della legge Basaglia va smantellato, per costruirne uno ex novo" in cui torni ad essere centrale "l'uso coatto della terapia che, in tanti casi, è indispensabile". Con queste parole il 20 marzo scorso Paolo Guzzanti, senatore di Forza Italia poi rieletto alla Camera, annunciava "il progetto di legge che porterà alla cancellazione della legge 180, una legge non riformabile che in questi anni ha provocato almeno 3.500 assassinati e 180.000 feriti". Perché tanto accanimento? Evidentemente gli è stato assegnato il compito di mettere nel mirino la normativa che porta il nome dello psichiatra Franco Basaglia che giusto trent'anni fa decretava la chiusura dei manicomi sancendo il diritto all'assistenza sul territorio per i malati psichiatrici. Il 1° maggio scorso, in occasione delle celebrazioni, lo stesso Guzzanti aveva parlato provocatoriamente di "Distruggere la legge 180 con il lanciafiamme" annunciando la pubblicazione di un "pamphlet violento contro la 180" perché "serve anche che gli italiani vengano a conoscenza della tragedia della legge Basaglia attraverso un forte impatto mediatico". Per la sua "personale" crociata, seguendo lo stile utilizzato dal gerarca del regime Giuliano Ferrara per affossare un'altra legge conquistata negli anni Settanta, la legge sull'aborto, Guzzanti ha deciso di cavalcare le esasperazioni dei familiari dei pazienti con disagio psichico di fronte alla demolizione del "welfare", e in particolare alle falle del "sistema di salute mentale". A schierarsi al suo fianco è stata infatti Maria Luisa Zardini, presidente dell'associazione per la riforma dell'assistenza psichiatrica (Arap) fondata nel 1981 da familiari e amici di malati di mente "allo scopo di sollecitare l'integrazione della Legge 180 per ottenere una reale assistenza e risolvere realisticamente il problema principale: curare il malato non consenziente". Affossiamo il ddl Guzzanti Il disegno di legge presentato il 14 ottobre scorso a Montecitorio, che Guzzanti assicura "conta su un appoggio bipartisan", prevede di rafforzare il dispositivo del trattamento sanitario obbligatorio, laddove la legge Basaglia stabilì che "gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari", restringendo lo spazio per i trattamenti obbligatori (Tso). La controriforma Guzzanti punta l'indice contro questa limitazione, aprendo la strada al ricovero in Tso a tempo indefinito anche presso strutture private. Secondo il disegno di legge, infatti, il Tso "può essere prolungato in sede di comunità terapeutica o presso una casa di cura privata accreditata, o comunque in una struttura che esenti la famiglia da una convivenza pericolosa". Il testo introduce poi il Tso in affidamento, cioè la prosecuzione del trattamento obbligatorio sotto la responsabilità di un familiare o di "qualsiasi altra persona o nucleo familiare ritenuto idoneo, a eccezione del tutore". Non è difficile immaginare cosa provocherebbero queste norme: tanti pazienti con disagio psichico saranno rinchiusi con la forza nelle strutture private, che non vedono l'ora di lanciarsi nel nuovo lucroso business. Oggi, è bene chiarire, il Tso risponde solo all'urgenza, lo propone uno psichiatra o un medico del servizio pubblico, lo conferma un altro medico, e con un'ordinanza il sindaco dà il suo benestare. Il paziente viene quindi ricoverato in ospedale con una contestuale comunicazione alla Procura della Repubblica o al giudice tutelare, che ha il diritto di verificare se siano esistite le condizioni reali per il ricovero, trattandosi comunque di una limitazione della libertà individuale, quindi di un atto di grande importanza. Adesso invece, e qui sta la estrema gravità della controriforma, si vuole consentire il Tso d'urgenza su richiesta di "chiunque ne abbia interesse" - un familiare, un assistente sociale, chiunque, basta la convalida di uno psichiatra e potrà essere reiterato quasi automaticamente all'infinito. Il disegno di legge prevede che il servizio psichiatrico di diagnosi e cura per i ricoveri Tso in ambiente ospedaliero dispongano di almeno un posto letto ogni 10mila abitanti, ma è evidente che vista la scarsità dei reparti, la carenza di posti letto e il progetto del governo di dimezzare la rete ospedaliera pubblica, il percorso del paziente con disagio psichico sarà: centro di salute mentale-servizio psichiatrico di diagnosi e cura-clinica psichiatrica "umanizzata" (leggi manicomio), o anche molto più breve, perché "il malato, il genitore o il tutore" potranno anche "scegliere liberamente il medico curante e le eventuali strutture di ricovero e supporto", che in mancanza di alternative per il malcapitato consisterà immancabilmente nella tristemente nota "grande clinica psichiatrica umanizzata" con le sbarre alle finestre, i letti di contenzione, i guardiani, l'alimentazione a base di psicofarmaci, ecc. Per la realizzazione delle strutture necessarie, ossia i nuovi manicomi-carcere, è vincolata una quota di spesa corrispondente ad almeno il 6% del fondo sanitario nazionale ed è prevista la concessione di strutture idonee disponibili da parte dello Stato e delle regioni. "Si tratta di una riforma a costi molto bassi", ha precisato Guzzanti, "perché si tratta di reimpiegare luoghi che già esistono. Per esempio i vecchi e obsoleti manicomi sono edifici che stanno lì apposta pronti per essere rifatti alla maniera di ospedali moderni". Il dipartimento di psichiatria, di cui ogni Asl attualmente dispone, si legge nel testo, "dovrà rafforzare il coordinamento degli interventi, inclusi quelli sulle patologie connesse alla farmacodipendenza e alla tossicodipendenza, che spesso viaggiano insieme alla patologia psichiatrica". Il sospetto più che fondato è che il governo invece di potenziare Sert e Servizi di salute mentale, che versano in condizioni pietose, per mancanza di strutture, personale e fondi, sia intenzionato ad accorparli con la scusa della cosiddetta "doppia diagnosi". Da psichiatria democratica, associazionismo e sindacati, è arrivato un no secco alla proposta Guzzanti, come era già accaduto nel 2001 con le proposte di legge di Burani Procaccini (FI) ed Alessandro Cé (Lega). L'allievo di Basaglia: "Per il disagio psichico occorrono servizi di assistenza sociale, reinserimento sociale e lavorativo" Peppe Dell'Acqua, responsabile del Distretto di salute mentale di Trieste, allievo e successore di Franco Basaglia argomenta: "Se Guzzanti vuole parlare di smantellamento della legge 180 significa che vuole far diventare i malati mentali cittadini di serie B... Se c'è una scuola fatiscente non significa che debba essere abolito il diritto all'istruzione delle persone!", afferma con un paragone molto calzante. La legge 180, spiega Dell'Acqua, "ha semplicemente restituito, come previsto dall'articolo 32 della Costituzione, il diritto alle persone con disturbi mentali alla tutela della salute nel loro rispetto, perché 'nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge'. E la legge 'non puo' in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana' ". "Il tso è già previsto dalla legge 180, è eseguibile nel giro di venti minuti dove le cose funzionano, può durare 7 giorni se basta ma che possono essere aumentati a 14, 21, 30 quanti se ne vuole se serve". La verità, conclude, "è che lo si vuole rendere uno strumento di controllo sociale, direttamente eseguibile solo su richiesta del medico, dandogli un potere assoluto e sottraendo alle istituzioni il compito di giustificare ed evitando di chiedere autorizzazioni settimanali per proseguire il trattamento". "La direzione di marcia deve essere opposta, conclude, occorrono centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, servizi di diagnosi e cura accoglienti con porte aperte non collocati in strutture fatiscienti o nei sottoscala, strutture residenziali con non più di 8 posti letto, e che vengano chiusi istituti come il Giovanni XXIII in Calabria... Occorrono provvedimenti seri per il reinserimento lavorativo dei pazienti, interventi economici di sostegno e servizi di prossimità a favore delle famiglie". 3 dicembre 2008 |