Risposta a "La Repubblica" La socialdemocrazia è morta, il socialismo è vivo Il cosiddetto "postsocialismo" non riguarda gli autentici comunisti, bensì la "sinistra" borghese L'esito scaturito dalle recenti elezioni europee dello scorso giugno, ha spinto una sempre più confusa e balbettante "intellettualità di sinistra" a cercare e auspicare cause e rimedi a quella che è stata la pesante sconfitta subita dai partiti e dai raggruppamenti che, nelle sue svariate correnti, si richiamano al "socialismo". "La Repubblica" del 16 giugno ad esempio, in più articoli apparsi nelle pagine del suo "Diario", dà la sua lettura della "sconfitta generale della sinistra europea spazzata via dal vento della crisi" e, sentenzia sull'apertura dell'era del "postsocialismo". Il rinnegato Massimo L. Salvadori (ex PCI, ex "manifesto", ex PSI), in uno degli articoli suddetti, è categorico in proposito: "Il 1989 - afferma - ha segnato l'inizio del post-comunismo, il tempo presente indica che siamo anche al post-socialismo otto-novecentesco. Il mondo delle disuguaglianze con tutte le sue conseguenze e implicazioni è nondimeno più che mai vivo, e perciò resta da sciogliere il nodo se un socialismo rinnovato sia in grado di restare un soggetto capace di condurre in prima persona la lotta ideale e pratica contro di esse oppure se invece il post-socialismo otto-novecentesco significhi post-socialismo senza aggettivi". Il trotzkista Giorgio Ruffolo (ex PSI) in altro scritto indica quindi che: "Questo sarebbe il momento di una nuova Bad Godesberg: di un ripensamento fondamentale di quelle che sono state per una fase storica gloriosa le ragioni del 'vero socialismo reale'. Non si tratta ovviamente di tornare indietro, in un mondo radicalmente cambiato. Si tratta di riconoscere le correnti pensanti che attraversano la nostra storia, per domandarsi in quale modo una politica ispirata ai valori tradizionali della sinistra possa piegarne il corso verso una società più libera e più giusta. Questa è l'essenza concreta del riformismo". Dunque per questi signori riformisti, la "sinistra" oggi ha il compito imprenscindibile di dare alle moderne società "eticità", maggiore "uguaglianza" e più "giustizia sociale"; in un momento in cui la attuale crisi internazionale disegna, per queste stesse società, condizioni esattamente opposte. E la crisi della "sinistra" si evidenzia proprio nella sua incapacità a dare realizzazione pratica a questo compito. Per questo si invoca una nuova Bad Godesberg. E se si pensa che quello di Bad Godesberg fu il congresso in cui, nel 1959, la socialdemocrazia tedesca adottò il suo nuovo programma congedandosi definitivamente dal marxismo e asserendo che "il socialismo democratico non proclama nessuna verità finale" e che "il partito socialdemocratico tedesco è il partito degli spiriti liberi... Un insieme di uomini di orientamento, fede e concezioni diversi", non è difficile capire dove si voglia approdare. C'è un vizio di fondo in questa "intellettualità di sinistra". Questo vizio di fondo è contrassegnato dalla "lettura storica" che essi fanno del "socialismo". Un movimento, cioè, politico e di pensiero variegato, composto da "diverse anime", che in un tempo o nell'altro ne hanno rappresentato l'aspetto predominante ed approdato, infine, ad una concezione riformista propria della socialdemocrazia. No cari signori! La lettura storica che fate del socialismo è una lettura distorta e falsa. Il socialismo è la concreta realizzazione del governo della classe operaia. Esso ha la sua base teorica nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Non c'è niente di più attuale oggi per leggere e trasformare le moderne società borghesi e il dominio imperialista nel mondo, che la teoria scientifica del marxismo-leninismo-pensiero di Mao. "Le posizioni teoriche dei comunisti - scrivono Marx ed Engels nel secondo capitolo del Manifesto del Partito Comunista - non poggiano affatto sopra idee, sopra principii che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo. Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. (...) Tutti i rapporti di proprietà sono sempre stati soggetti a un continuo mutamento storico, a una continua trasformazione storica. La rivoluzione francese, ad esempio, abolì la proprietà feudale in favore della proprietà borghese. Ciò che distingue il comunismo non è l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione della proprietà borghese. Ma la moderna proprietà privata borghese è l'ultima e la più perfetta espressione di quella produzione ed appropriazione dei prodotti, che poggia sugli antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni per opera degli altri. In questo senso i comunisti possono riassumere la loro dottrina in quest'unica espressione: abolizione della proprietà privata. (...) La proprietà nella sua forma odierna è fondata sull'antagonismo fra capitale e lavoro salariato. (...) Il capitale è un prodotto comune e non può essere messo in moto se non dall'attività comune di molti membri della società, anzi, in ultima istanza, soltanto dall'attività comune di tutti i membri della società. Il capitale, dunque, non è una potenza personale; esso è una potenza sociale. Se dunque il capitale viene trasformato in proprietà comune, appartenente a tutti i membri della società, ciò non vuol dire che si trasformi una proprietà personale in proprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale della proprietà. Esso perde il suo carattere di classe". E Lenin, dal canto suo, sottolinea come "Il punto essenziale della dottrina di Karl Marx è l'interpretazione storica mondiale del proletariato come creatore della società socialista. (...) Tutte le dottrine che parlano di un socialismo non classista, di una politica non classista, dimostrano di essere frottole vane". (Lenin: I destini storici della dottrina di Karl Marx, Opere complete, vol., 13, pag. 561-562) Ecco spiegata in queste ultime, chiare e "vive" parole di Lenin, la profonda crisi del riformismo e la sua totale incapacità ad affrontare i problemi odierni: il riformismo, essendo estraneo all'essenzialità del marxismo, propone soltanto frottole vane. E questo, si badi bene, non vuol dire affatto essere pregiudizialmente e ottusamente contro le riforme. Come giustamente fa notare Stalin "Quel che conta, evidentemente, non sono le riforme o i compromessi e gli accordi, ma è l'uso che si fa delle riforme e degli accordi". (Stalin, Questioni del Leninismo, pag. 82 - Edizioni in lingue estere Mosca 1948) E infatti Lenin sottolinea come "I marxisti, a differenza degli anarchici, ammettono la lotta per le riforme, cioè per quei miglioramenti nella situazione dei lavoratori che lasciano il potere, come nel passato, nelle mani della classe dominante. Ma nello stesso tempo essi conducono la più energica lotta contro i riformisti, i quali, direttamente o indirettamente, limitano alle riforme le aspirazioni e l'attività della classe operaia. Il riformismo è l'inganno borghese degli operai che, nonostante i parziali miglioramenti, restano sempre schiavi salariati finchè esiste il dominio del capitale: (...) L'esperienza di tutti i paesi dimostra che prestando fede ai riformisti gli operai hanno sempre finito con l'essere gabbati". (Lenin, Marxismo e riformismo, Opere complete, vol. 19, pag. 343) Oggi dunque, se di "postsocialismo" si vuole parlare, questo non riguarda in alcun modo gli autentici comunisti, bensì la "sinistra" borghese. La quale in passato ha usato la socialdemocrazia per combattere il movimento comunista e l'avanzata del socialismo nel mondo e ora, dopo le batoste elettorali ricevute in Germania in settembre e in Italia in precedenza, esce allo scoperto e si sbarazza persino dell'imbarazzante simulacro socialdemocratico che richiama comunque alla originale radice marxista. È la socialdemocrazia ad essere morta, ma il socialismo è più che mai vivo e dimostra ancora di essere la vera ed unica alternativa esistente alle moderne società borghesi ed al dominio dell'imperialismo nel mondo. Compito degli autentici comunisti, oggi dei marxisti-leninisti, è di "ridare" al proletariato la "coscienza" della sua funzione storica di creatore della società socialista. Si dice che la "globalizzazione" ha creato un mondo nuovo e diverso, che ha spazzato via tutte le vecchie concezioni facendo tabula rasa delle categorie sociali ed economiche che avevano visto la luce e si erano sviluppate nell'ottocento e nel novecento. Ma questa è una visione assolutamente astrusa e idealista della realtà. Nell'ottobre del 1916 nella sua polemica con Kautsky, Lenin affermava che "La particolarità dell'imperialismo è proprio il dominio non del capitale industriale, ma di quello finanziario; è proprio la tendenza all'annessione non soltanto dei paesi agricoli, ma di qualsiasi paese". (Lenin, L'imperialismo e la scissione del socialismo, Opere complete, vol. 23, pag. 105) E cosa sta avvenendo oggi sotto i nostri occhi? La "globalizzazione" ha in sé tutti i tratti tipici e propri dell'imperialismo. "Ossia - come giustamente si evince dalle Tesi elaborate dal V Congresso nazionale del PMLI - non è un nuovo sistema di dominio, ma l'estensione di quello vecchio. Un dominio economico che si traduce in una fortissima ingerenza politica. Esso viene chiamato dagli imperialisti 'apertura del mercato', dove per 'paesi aperti' si intendono quelli che sono disponibili a farsi usare come territorio di caccia, mentre quelli che perseguono l'indipendenza economica e politica, puntando a uno sviluppo autonomo, vengono definiti 'chiusi' e gli imperialisti fanno di tutto, comprese le guerre di aggressione, per aprirli al loro dominio, che chiamano invece 'sviluppo, progresso e civiltà'. In questa congiuntura tuttavia le dinamiche già presenti nel sistema imperialista acquisiscono una velocità e una efficienza prima sconosciute. Tanto che oggi la circolazione di capitali su scala mondiale, grazie ai nuovi mezzi informatici e telematici, è divenuta vertiginosa e si la ricchezza di singoli e di Stati. Essa condiziona governi ed economie di interi paesi, e può segnare la rovina o la ricchezza di singoli e di Stati. I grandi finanzieri e le multinazionali hanno quindi in mano un enorme potere che usano unicamente per arricchirsi sempre più, per fare affari più lucrosi e per diventare ancora più potenti. Così la concentrazione del capitale prende la forma delle fusioni e delle acquisizioni di aziende, dilaga il processo di privatizzazione, si accentua la finanziarizzazione dell'economia mondiale, con il grande capitale impegnato ad invadere ogni sfera pubblica". L'Unione europea è una organizzazione monopolistica e imperialistica. È una superpotenza mondiale e, come tale, è irriformabile e va combattuta con fermezza e vigore in ogni suo aspetto e funzione. "La Repubblica", portavoce dei neoriformisti, guarda con preoccupazione due dati relativi alle recenti elezioni europee. Uno riguarda l'alto numero di elettori che ha ingrossato le file dell'astensionismo, delegittimando di fatto tanto l'Unione che la sua istituzione parlamentare; l'altro la constatazione che a scegliere l'astensionismo siano stati i giovani ed i ceti popolari: cioè proprio quegli elettori più tradizionalmente legati ai partiti di "sinistra". È comprensibile lo sconcerto provato da chi ormai assolutamente integrato nell'attuale sistema, anela a diventarne la sua "credibile sinistra politica". Questo dato rappresenta all'opposto, un fertile terreno da coltivare con cura e pazienza per ricavarne una ulteriore forza per il rilancio del socialismo. 14 ottobre 2009 |