Lo dichiara ai magistrati il boss "pentito" Spatuzza "Con Berlusconi e Dell'Utri la mafia aveva il Paese nelle mani" PD e IDV pilatescamente si rimettono ai magistrati. PD continua a "inciuciare" col PDL anche sulla giustizia Il boss Graviano, per il momento, lo smentisce Il neoduce Berlusconi e il suo braccio destro Marcello Dell'Utri sono gli ispiratori politici delle stragi di Stato compiute dalla mafia in combutta coi servizi segreti che tra il '92 e il '93 insanguinarono Palermo, Roma, Firenze e Milano. Lo ha confermato il pentito Gaspare Spatuzza il 4 dicembre scorso davanti al procuratore generale della seconda sezione della Corte d'Appello del Tribunale di Torino dove l'ex braccio armato dei boss di Brancaccio Filippo e Giuseppe Graviano è stato ascoltato nell'ambito del processo d'Appello al senatore del Pdl Marcello Dell'Utri: già condannato in primo grado a nove anni di carcere dal Tribunale di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo quanto riferito da Spatuzza, dietro le stragi di Capaci e Via D'Amelio, in cui saltarono in aria i giudici Falcone e Borsellino, e alle bombe di via dei Georgofili a Firenze, al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano e ai tre attentati di Roma (a San Giovanni in Laterano, a San Giorgio al Velabro e in via Ruggiero Fauro vicino al teatro Parioli) fino alla mancata strage dello stadio Olimpico e al fallito attentato al giudice Contorno; c'era un preciso disegno politico di Cosa nostra: scatenare il terrore per ottenere un ricambio politico in piena Tangentopoli. Sulla base di questo sanguinoso disegno politico, Spatuzza ha ribadito che nell'estate del 1993 fu stipulato il criminale patto di sangue fra i Graviano, Berlusconi e Dell'Utri attraverso cui "la mafia aveva il Paese nelle mani". Spatuzza, detto "u tignusu" (il pelato), arrestato nel 1997 dopo un conflitto a fuoco a Palermo; già condannato per la strage di Via dei Georgofili a Firenze del maggio 1993 e per l'omicidio di don Pino Puglisi; da 11 anni è sottoposto al regime del carcere duro del 41bis, ha iniziato il suo lungo racconto di pentito il 9 luglio 2008 di fronte ai giudici della Procura di Firenze. Dopo aver riempito oltre 2000 pagine di verbali, autoaccusandosi fra l'altro del furto della macchina usata come autobomba a Via D'Amelio per uccidere Paolo Borsellino e la sua scorta, il 16 giugno 2009, davanti ai giudici della procura di Caltanissetta Spatuzza per la prima volta accenna ai contatti fra Berlusconi e la mafia e rivela: "Incontrai Giuseppe Graviano a Roma a metà gennaio 1994 in un bar di via Veneto. Era euforico, felice. Disse che avevamo ottenuto tutto grazie a Berlusconi e che c'era di mezzo anche un nostro compaesano, Dell'Utri". Confessioni a dir poco inquietanti che finiscono immediatamente nel processo d'appello di Dell'Utri e che sono state pienamente confermate davanti ai giudici della procura di Torino dove, per ragioni di sicurezza, è stato deciso di ascoltare Spatuzza. "Nel luglio '93 - ha detto fra l'altro Spatuzza - mi è stato dato da Giuseppe Graviano un incarico di fare un attentato nei confronti di patrimoni artistici... prima di partire per compiere questo attentato su Roma, mi sono state consegnate 5 lettere da imbucare la sera prima dell'attentato, e per me questa cosa già era un'anomalia, cioè il fatto che noi informavamo qualcuno di questi attentati, quindi questo mi ha fatto capire che c'era qualche cosa che si stava muovendo sul versante politico, se così possiamo dire... Io sono venuto a Roma per compiere gli attentati. Era il luglio '93. (...) A fine '94 avviene che Graviano ci spiega che dobbiamo uccidere un bel po' di carabinieri e questo attentato si deve fare sul territorio romano. Dissi a Giuseppe Graviano che per questa storia ci stavamo portando un po' di morti che a noi non ci appartengono, sempre in riferimento ai 5 morti che erano avvenuti a Milano, i 5 morti che c'erano stati a Firenze, tra cui quella bellissima bambina, quindi era questo terrorismo era un qualche cosa che a noi ci apparteneva. Nell'immediatezza Giuseppe Graviano mi disse che era bene che ci portassimo un po' di morti dietro, in modo che chi si deve muovere si dà una smossa. (...) Giuseppe Graviano ci spiega che se andrà a buon fine ne avremo tutti dei benefici, a partire dai carcerati. Per progettare e portare a termine questo attentato vengono date le coordinate per un incontro che deve avvenire su Roma con Giuseppe Graviano. Le coordinate consistono nel fatto che devo andare a prendere Giuseppe Graviano a Roma in Via Veneto al Bar Doney. (...) Effettivamente aveva un atteggiamento abbastanza gioioso, potrei dire come di uno che ha vinto l'Enalotto, o quello che sia, la nascita di un figlio. Mi riferisce che avevamo chiuso tutto ed ottenuto quello che cercavamo; questo grazie alla serietà di quelle persone che avevano portato avanti questa cosa, che non erano come quei quattro 'castri' socialisti che avevano preso i voti nell'88-89 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vengono fatti i nomi di due soggetti: di Berlusconi, ed io chiesi a Graviano se era quello di Canale 5 e Graviano mi disse che era quello di Canale 5, aggiungendo che c'era di mezzo un nostro compaesano, Dell'Utri. Grazie alla serietà di queste persone, ci avevano messo praticamente il Paese nelle mani.(...) Comunque Graviano disse 'l'attentato contro i Carabinieri lo dobbiamo fare, gli dobbiamo dare il colpo di grazia!'. Il giorno prestabilito, che era di domenica, si compie questo attentato e nella mattina si inizia la fase per imbottire la macchina dell'esplosivo e quant'altro. Ci muoviamo con questa macchina che viene posteggiata allo Stadio Olimpico di Roma, perché l'attentato si doveva fare all'uscita dei Carabinieri, al termine della partita. (...) Ma il telecomando - fortunatamente - non funziona". Di contatti fra Berlusconi e i Graviano ha riferito anche il pentito Nino Giuffré, legatissimo a Provenzano, già nel 2002. "I boss Filippo e Giuseppe Graviano insieme all'imprenditore Gianni Ienna facevano da tramite direttamente fra Cosa Nostra e Berlusconi... Berlusconi era conosciuto come imprenditore e per le sue emittenti. Una persona piuttosto capace di portare avanti le sorti dell'Italia". Eloquente a tal proposito la deduzione di Spatuzza che in riferimento alle stragi del 1993 ha aggiunto: "Sono costoro (Berlusconi e Dell'Utri, ndr) che hanno fatto fare le stragi a Cosa Nostra. Successivamente si volevano accreditare all'esterno come coloro che erano stati in grado di farle cessare. E quando poi li ho visti scendere in politica, partecipando alle elezioni e vincendole, ho capito chi erano gli uomini su cui noi avevamo puntato tutto". Di fronte a tutto ciò colpisce non poco l'assordante silenzio da parte del PD e dell'IDV che, invece di appellarsi alle masse popolari e di mobilitarle contro il neoduce Berlusconi e il suo nero governo mafioso, pilatescamente se ne lavano le mani affidando alla magistratura il compito di appurare innanzitutto l'attendibilità dei pentiti come ha evidenziato in una intervista al "Corriere" del 6 dicembre il rinnegato Luciano Violante secondo cui "Tutte le dichiarazioni dei pentiti devono essere verificate dai magistrati: dove, come, quando, chi. Senza riscontri obiettivi non costituiscono prova... Anche le eventuali conferme di Graviano potrebbero non essere sufficienti. Ma tutto questo è affare di magistrati e avvocati". Il vero problema, secondo Violante è che: "ci troviamo di fronte ad una fragilità strutturale di un sistema. Dobbiamo fare le riforme. Urge un gesto sano per il nostro Paese che, oggi, ha un unico perno attorno cui bene o male ruota: il presidente del Consiglio. Il Pdl è un partito carismatico, fondato sulla forza del capo e, per il grande peso di quel partito e di quel capo stiamo diventando un regime carismatico". Perciò, si auspica Violante, bisogna "Consolidare il sistema attraverso le riforme costituzionali, dentro le quali si deve rivedere anche il rapporto tra politica e giustizia". Magari inaugurando una nuova bicamerale golpista fra PD e PDL come già tentarono di fare nel 1997 D'Alema e Berlusconi. Le esplosive dichiarazioni del loro ex luogotenente Spatuzza non sono state confermate nella successiva audizione del capomafia di Brancaccio, Filippo Graviano, l'11 dicembre in videoconferenza nell'aula giudiziaria di Palermo. Se il capofamiglia Giuseppe Graviano ha ribadito, come aveva dichiarato in precedenza: "Non parlo, per il momento", Filippo ha negato di aver detto quelle parole a Spatuzza. 16 dicembre 2009 |