Standard & Poor's declassa l'Italia. Confindustria scarica il governo. Napolitano invoca l'"unità per la crescita" "Il governo ha sempre ottenuto la fiducia del parlamento dimostrando così la solidità della propria maggioranza. Le valutazioni di Standard & Poor's sembrano dettate più dai retroscena dei quotidiani che dalla realtà delle cose e appaiono viziate da considerazioni politiche": il 20 settembre, con questa nota stizzita di Palazzo Chigi, Berlusconi ribatteva immediatamente alla notizia che l'agenzia internazionale di rating, Standard & Poor's, aveva declassato l'outlook (valutazione prospettica) sul debito pubblico dell'Italia da "stabile" a "negativo", facendo scendere il giudizio sulla sua solvibilità finanziaria un altro gradino al di sotto della Spagna. A detta dell'infuriato neoduce quello di S&P sarebbe stato un "disegno preciso" di certi "circoli anglofoni" interessati a speculare sull'euro. Ma per quanto i voti delle agenzie di rating non siano da prendere per oro colato (basti pensare che avevano occultato l'imminente fallimento della Leman Brothers, per sospettare di loro), dato che anch'esse sono parte integrante di quel circuito finanziario-speculativo internazionale su cui dovrebbero vigilare, il declassamento dell'Italia da parte di S&P suona comunque un ulteriore campanello d'allarme che non può essere semplicemente respinto al mittente con un "tutto va bene madama la marchesa" come fa l'inquilino di Palazzo Chigi. Tant'è vero che lo hanno preso invece molto sul serio i mercati finanziari, facendo subito schizzare il differenziale tra i titoli di Stato tedeschi e quelli italiani quasi a quota 400. I "consigli" di Standard & Poor's Da parte sua Standard & Poor's ribatteva imperturbabile alle accuse scomposte del governo che le sue sono "valutazioni apolitiche e prospettiche del rischio di credito fornite agli investitori". Anzi aggiungeva che nei prossimi 12-18 mesi l'Italia rischia un nuovo taglio del rating se non ci sarà un aumento della crescita economica, e suggeriva anche la sua "ricetta" per evitare un tale scenario: niente patrimoniale, perché "le famiglie potrebbero decidere di spostare i capitali fuori dal Paese". Avanti a tutta forza invece con maggiore flessibilità del mercato del lavoro e con liberalizzazioni e privatizzazioni. Insomma, manco a dirlo, anche per S&P il declassamento dovrà essere pagato dai lavoratori e dalle masse popolari. Anche Napolitano prendeva molto sul serio il declassamento dell'Italia decretato da S&P, cogliendo anzi la palla al balzo per rilanciare il suo ormai ossessivo ritornello della "coesione nazionale" per fronteggiare la crisi: "Occorre un pacchetto, un insieme di misure. Sento parlare di un piano anche pluriennale; insomma, occorre una piattaforma meditata che nasca da consultazioni ampie per un rilancio della crescita", dichiarava infatti commentando la notizia mentre visitava una mostra a Roma. Cioè il nuovo Vittorio Emanuele III esorta tutti a sostenere il nuovo Mussolini e la sua politica di massacro sociale almeno finché non sarà passata la tempesta finanziaria e il capitalismo italiano non sarà tratto in acque più tranquille. L'ultimatum di Marcegaglia Appena un paio di giorni dopo anche Emma Marcegaglia impugnava il declassamento dell'Italia per lanciare un vero e proprio ultimatum al governo: "Non è più tollerabile una situazione di stallo", una situazione "in cui si vivacchia", ha detto la presidentessa parlando all'assemblea della Confindustria a Firenze. "Se il governo è disponibile a parlare con noi di grandi riforme noi siamo pronti a ragionare. Se invece il governo vuole andare avanti su piccole cose di manutenzione non siamo interessati, non siamo più disponibili". Col che scaricava il governo Berlusconi solo pochi giorni dopo aver incassato il varo della sua manovra da massacro sociale. E a sottolineare la nuova presa di distanza dall'esecutivo ha poi illustrato il "manifesto" confindustriale per la crescita, snocciolando le "riforme" urgenti che il governo si deve impegnare tassativamente a varare entro i prossimi giorni, oppure deve farsi da parte: misure di riduzione del carico fiscale sulle imprese, liberalizzazioni delle professioni, privatizzazioni dei beni pubblici e riduzione delle partecipazioni pubbliche nell'economia, introduzione del principio della libera concorrenza nella Costituzione, sblocco delle grandi opere, riduzione delle spese dei ministeri, e soprattutto il "superamento" delle pensioni di anzianità anticipando di un anno, al prossimo gennaio, l'adeguamento dell'età pensionabile all'indice di aspettativa di vita, anche per le donne. A sostegno di questo "manifesto delle imprese per salvare l'Italia" Marcegaglia chiama anche i vertici sindacali nel quadro di un nuovo patto sociale le cui basi sono già state gettate dall'accordo sulla contrattazione e la rappresentanza sindacale ratificato (senza la consultazione dei lavoratori) anche da Susanna Camusso. In cambio la presidente degli industriali offre la disponibilità a una mini patrimoniale dell'1,5 per mille (sic). Da parte sua il nuovo Mussolini ha fatto sapere che sta preparando, coadiuvato dai suoi fidati gerarchi Sacconi, Brunetta e Romani, un pacchetto di misure "per la crescita" che vanno in direzione di quanto chiesto dagli industriali. E in cui, c'è da scommetterci, infilerà sicuramente condoni tombali, provvedimenti utili ad ingrassare le sue aziende e quant'altro serva a rafforzare i suoi poteri. A questo scopo ha preso direttamente lui le redini della faccenda emarginando Tremonti, che non vede l'ora di cacciare dal governo o quantomeno ridimensionare nei suoi poteri, per avere completa mano libera nel gestire la politica economica del governo secondo i propri interessi e disegni politici. 28 settembre 2011 |