La finanziaria triennale del IV governo del neoduce Berlusconi Una stangata di quasi 35 miliardi Tagli alla sanità e al pubblico impiego, reintrodotti i ticket sanitari e il lavoro a chiamata, abrogati i limiti dei contratti a termine, orario di lavoro più flessibile, verranno privatizzati i servizi pubblici locali, nel Dpef la legge delega sul federalismo, torna il nucleare E' ora che i lavoratori tornino in piazza Appena 9 minuti di illustrazione da parte del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, non oltre 40 minuti di discussione: così il consiglio dei ministri del IV governo del neoduce Berlusconi il 18 luglio ha dato il via libera alla manovra economica triennale (2009-2011) contenente una stangata di quasi 35 miliardi di euro (67.760 miliardi di vecchie lire) di cui 13,1 miliardi nel 2009 suddivisi in oltre 9 miliardi di tagli alla spesa e quasi 4 miliardi di entrate, inoltre altri 7,1 nel 2010 e 14,6 miliardi di euro nel 2012. Stupisce non poco che per approvare una mega-manovra del genere che comprende un decreto legge, il Dpef (Documento per la programmazione economica) e quattro leggi delega (pubblico impiego, federalismo, Roma capitale e Codice delle autonomie) la riunione ministeriale abbia occupato il tempo di un caffè. Ma col governo Berlusconi la fa da padrona il decisionismo e il presidenzialismo di stampo fascista dove la discussione è considerata inutile e le obiezioni inammissibili. Basti dire che Berlusconi e Tremonti, all'unisono, in conferenza stampa hanno garantito il varo della manovra in parlamento entro luglio. Appena un mese e poco più di tempo. In coerenza con questo metodo autoritario, è da considerare non più che formale l'incontro avvenuto poche ore prima della riunione del governo tra la delegazione dei ministri e le "parti sociali", Confindustria e sindacati confederali, ai quali è stato solo comunicato, in modo sommario e vago, il contenuto della suddetta manovra economica. Si capisce l'apprezzamento dei leader confindustriali Marcegaglia e Bombassei. Incomprensibile invece risulta la "moderazione" dei segretari di Cisl, Uil e Cgil Bonanni, Angeletti e Epifani, sia pure quest'ultimo con qualche distinguo. L'esperienza, dei precedenti governi Berlusconi, ma anche le prime misure prese in queste settimane sui temi della sicurezza, gli immigrati, i rifiuti in Campania e altro, suggeriscono alle lavoratrici e ai lavoratori, alle disoccupate e ai disoccupati, alle pensionate e ai pensionati, ai giovani e alle masse popolari in genere che da questa manovra economica, con varie controriforme incorporate, non c'è da aspettarsi nulla di buono. Anzi, c'è da attendersi un attacco pesantissimo in materia di assistenza sociale e sanitaria, nel campo dei diritti del lavoro, sul terreno delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni, col rilancio in grande del nucleare, con provvedimenti che favoriscono l'evasione fiscale, la corruzione e la concussione. E si tratta di una sensazione assolutamente confermata dai numerosi provvedimenti contenuti nel Dpef (100 articoli). La politica economica, sociale e del lavoro del IV governo Berlusconi si caratterizza infatti: con un marcato e debordante neoliberismo, vedi in particolare la deregolamentazione del lavoro e la privatizzazione dei servizi pubblici comunali; con tagli devastanti alla spesa pubblica, vedi quelli previsti per la sanità, le regioni e gli enti locali i quali saranno costretti o a cancellare prestazioni fondamentali, oppure a aumentare le tasse locali, e quelli alla scuola che porteranno a una gigantesca riduzione del personale docente e non; con un piglio padronale sui pubblici dipendenti, considerati in blocco "fannulloni" e verso i quali si minaccia il licenziamento; con un ulteriore grave passo verso il secessionismo bossiano, vedi appunto l'annunciato federalismo fiscale. La politica economica, finanziaria e sociale disegnata per i prossimi tre anni dal duo Berlusconi-Tremonti, con l'ausilio dei ministri Sacconi per i temi del lavoro e del welfare, e Brunetta per la funzione pubblica, ha un chiarissimo segno di classe: quello capitalista. Nel senso che le finalità di essa per un verso o per l'altro servono gli interessi dei padroni grandi, ma anche piccoli, dei borghesi in genere. Ma c'è di più e di peggio! In verità la manovra si occupa dei salari, ma per tagliarli. Nel Dpef infatti il governo fissa il tasso d'inflazione programmata all'1,7%, cioè la metà di quella reale (3,4%). Il che, denuncia la Cgil, porta a una perdita di 1.000 euro in due anni per le retribuzioni delle lavoratrici e dei lavoratori. Per la ricerca c'è più o meno lo stesso trattamento cesorio. Mentre per le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i pensionati, in particolare per quanto riguarda l'aumento del reddito non c'è nulla! E poi dicono che non esistono le classi! Questo è vero e incontestabile al di là di singole misure di stampo populista e demagogico, come la tassa sui petrolieri per finanziare una mancia ai poveri, una carta prepagata per fare la spesa, su cui c'è comunque tanto da dire e criticare. Da segnalare una dura critica alla manovra economica varata dal consiglio dei ministri, da parte della rivista cattolica tra le più diffuse, "Famiglia cristiana". Rinfacciando a Berlusconi il mancato rispetto delle promesse elettorali scrive: "non c'è nella manovra di Tremonti, che pure mette in fila 35 miliardi. Ci sono molta demagogia e un pizzico di beneficienza, ma le famiglie ancora una volta, si sentono prese in giro. Spariti il piano per la maternità, il bonus per i bebè, è invece comparsa la carta per gli anziani: demagogia pura". Invece il governo Berlusconi, diversamente dal governo Prodi che nei quasi due anni in cui è stato in carica non è riuscito (o non ha voluto) cancellare nessuna delle "leggi vergogna" del secondo e terzo governo Berlusconi, quest'ultimo subito, nei primi 100 giorni di attività, con un tratto di penna ha cancellato, o sta cancellando, quei provvedimenti che in qualche modo andavano a favore delle masse popolari: le piccole modifiche alla legge 30, il divieto dei licenziamenti in bianco al momento dell'assunzione, i patti con le regioni per sostenere la sanità e il trasporto pubblico locale, le misure anti-riciclaggio e le misure anti-evasione fiscale. Tagli alla spesa pubblica Il governo Berlusconi presenta la manovra economica con lo slogan (già usato nel passato): "non metteremo le mani nelle tasche dei cittadini". Perché, aggiunge, per raggiungere il pareggio del debito pubblico-pil come chiede l'Unione europea, non aumenteremo le tasse ma taglieremo la spesa pubblica. E che tagli, 9 miliardi solo nel 2009, 20 miliardi nel triennio! Che non riguardano però le spese militari, oppure i lauti aiuti finanziari fiscali donati ogni anno dallo Stato alle aziende con "mille pretesti", ma settori vitali per i livelli di vita delle masse popolari. Anzitutto la sanità: si parla di una riduzione dei finanziamenti pari a 6 miliardi di euro nel triennio. Lungo questa strada, hanno fatto sapere le Regioni, la reintroduzione dei ticket sanitari diventa inevitabile a partire da settembre prossimo. Carichi di conseguenze negative risulteranno anche i tagli alle regioni, alle province soprattutto ai comuni ai quali è ormai affidato l'80% degli interventi del welfare. che vedranno ridotte le loro risorse di 1,34 miliardi di euro (inizialmente il taglio era di 1,55 miliardi alleggerito di 200 milioni dopo la protesta degli enti locali. Pesanti i tagli alla scuola da attuare attraverso la riduzione del personale docente e amministrativo ben 150 mila nel triennio. Non ci sarà nessuna stabilizzazione dei precari. Gli atenei non potranno assumere più del 20% in sostituzione dei pensionamenti tra il 2009 e il 2011, inoltre, l'università vedrà ridursi il fondo di finanziamento ordinario di 500 milioni di euro. Deregolamentazione del lavoro La selvaggia (ed ennesima) deregolamentazione dei rapporti di lavoro, contenuta nel pacchetto Sacconi, è una delle principali caratteristiche della manovra economica berlusconiana. Anzitutto cancellate le misure sul "mercato del lavoro" contenute negli accordi del 23 luglio 2007 passati sotto il nome di Protocollo Prodi. Perciò torna l'odioso lavoro a chiamata (job on call in inglese). Viene cancellato il tetto per i contratti a termine, così le aziende potranno prorogare più di una volta, e in definitiva senza limiti, oltre la durata dei 36 mesi previsti. Cadono i vincoli per l'utilizzazione dell'apprendistato. Sono previste ampie deroghe per l'allungamento dell'orario di lavoro da "contrattare" a livello aziendale, ciò anche in relazione alla recente sciagurata direttiva europea che permette di prolungare l'orario fino a 60 ore settimanali. Altra norma assunta dal governo Prodi e ora cancellata è quella che impediva alle aziende di far firmare illegalmente le dimissioni in bianco, ossia senza data, ai lavoratori al momento dell'assunzione. Pubblico Impiego Nella manovra economica c'è il pluriannunciato giro di vite per i pubblici dipendenti definiti dal ministro della funzione pubblica, l'ex PSI Renato Brunetta, fannulloni. Da ricordare lo slogan "terrorista" del ministro, declamato al momento della sua investitura: "colpirne uno per educarne cento". Si minacciano misure draconiane nei confronti dei "finti malati", degli "assenteisti", insistendo così nel messaggio falso secondo cui i lavoratori pubblici sono tutti "assenteisti". Ma il grosso delle misure saranno contenute in un disegno di legge collegato alla Finanziaria finalizzate a ridurre il personale, imporre la mobilità, aumentare i carichi di lavoro, bloccare la dinamica delle retribuzioni, introdurre, per determinati motivi, oltre quelli già previsti, il licenziamento. "Robin tax" e "Carta per i poveri" E veniamo a questa trovata pubblicitaria chiamata ingannevolmente "Robin tax". Si tratta di elevare l'imponibile dell'Ires dal 27 al 33% per banche, assicurazioni e compagnie petrolifere. Le quali, su questo non c'è dubbio, hanno speculato e fatto superprofitti. Con parte di questo "extragettito", 500 milioni è la cifra indicata, il governo vuole finanziare l'altra trovata pubblicitaria, ma nei contenuti misera e offensiva, di una carta prepagata (si ipotizza alle poste) per un valore di 400 euro valida per un solo anno, da erogare ai poveri che possono usarla per andare a fare la spesa, pagare le bollette, oppure contribuire all'affitto. Insomma una sorta di "tessera della povertà" in auge nel dopoguerra, giusto per un tozzo di pane o una scodella di minestra. In questo modo, il tandem Berlusconi-Tremonti ha saltato a pie' pari la vera questione, questione ormai divenuta drammatica e irrimandabile della redistribuzione del reddito a favore delle lavoratrici e dei lavoratori e delle pensionate e dei pensionati, dell'aumento dei salari e delle pensioni da raggiungere anche attraverso un cospicuo alleggerimento del peso fiscale. Altro che "carta della povertà", altro che detassazione degli straordinari. Sia il PD di Veltroni che i vertici sindacali confederali al momento hanno prodotto delle reazioni del tutto insoddisfacenti, abbondantemente al di sotto delle necessità. Vedremo come si comporteranno quando inizierà la discussione parlamentare. C'è però bisogno da subito di una risposta di lotta delle masse lavoratrici e popolari. C'è bisogno di promuovere una mobilitazione generalizzata in questo scorcio di tempo anteferie da riprendere a settembre mettendo in conto anche lo sciopero generale nazionale. Le misure annuciate dal governo Berlusconi lo giustificano, lo richiedono. Dobbiamo premere sui sindacati e prendere delle iniziative nei luoghi di lavoro. 25 giugno 2008 |