Con il varo dello Statuto e della legge elettorale con i voti determinanti di FI e AN La Toscana diventa uno stato federale e presidenzialista Pieni poteri al presidente regionale che sarà eletto direttamente e potrà nominare e revocare i componenti della giunta. Il voto di sfiducia comporta lo scioglimento del consiglio ed elezioni anticipate. Premio di maggioranza alla coalizione più votata. I piccoli partiti penalizzati dalle soglie di sbarramento. Cancellato il voto di preferenza. Aumentano da 50 a 65 i consiglieri. Tra le finalità la "valorizzazione dell'economia dei privati". Riproposto il principio di sussidiarietà. Contrastato riconoscimento delle famiglie di fatto e del voto agli immigrati In rapida successione, nel corso della prima settimana di maggio, il consiglio regionale della Toscana ha approvato a larga maggioranza il nuovo Statuto, chiamato pomposamente anche carta costituzionale, e la legge elettorale strettamente collegata ad esso. Hanno votato a favore i partiti dell'Ulivo, con qualche mugugno della Margherita per la cancellazione del voto di preferenza, e i partiti della Casa del fascio (FI e AN) salvo l'UDC che si è astenuta. Si sono espressi contro PdCI e PRC in particolare sulla elezione diretta del presidente della regione. Si tratta di due documenti composti da 82 articoli il primo e 26 articoli il secondo, di grandissima importanza per le conseguenze che avranno nella vita politica e istituzionale toscana. L'iter prevede che entro 60 giorni il consiglio regionale ne dia una seconda lettura e approvi lo Statuto. Nei successivi tre mesi può essere indetto un referendum regionale consultivo, purché sia richiesto formalmente da almeno 10 consiglieri regionali o 60 mila elettori. La prima approvazione dei suddetti documenti è arrivata a compimento di un lavoro durato oltre tre anni, portato avanti dalla "Commissione Speciale Statuto" guidata dal forzista Piero Pizzi, coadiuvato dai vice Giovanni Barbagli (PRC) e Alessandro Starnini (DS) e dalla sottocommissione, diretta da Maurizio Bianconi (AN), per la proposta di legge (n.20/2004) recanti le "Norme per l'elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale". La prima bozza di Statuto risale al luglio 2003. La discussione per la presentazione di emendamenti si è svolta tutta all'interno dei partiti del palazzo, allargata tutt'al più a qualche associazione. La stragrande maggioranza della popolazione toscana non è stata investita da questo dibattito e perciò non ne sa praticamente nulla. Le leggi federaliste di riferimento L'elaborazione e il varo dello Statuto regionale e della relativa legge elettorale in Toscana (come nelle altre regioni) avviene come adempimento alla legge costituzionale del 28 febbraio, 2001 voluta fortemente dal "centro-sinistra" allora al governo, che modificò radicalmente la parte seconda titolo V della Costituzione relativa a Regioni, Province e Comuni, e come l'ultimo atto della trasformazione, o per meglio dire del sovvertimento dello Stato unitario, in uno Stato federale, spezzettato in tanti staterelli quante sono le regioni nel nostro Paese, alle quali è attribuito il potere legislativo su moltissime materie prima di competenza delle istituzioni nazionali. Le altre leggi di riferimento che rappresentano le architravi su cui poggia il processo federalista in atto sono: la legge per l'elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario del 23 febbraio 1995, sponsorizzata dal governo Dini e votata anche dal PRC; la legge Bassanini del marzo '97, introdotta dal governo Prodi e appoggiata anche dal PRC; la legge costituzionale per l'elezione diretta del presidente della giunta regionale e l'autonomia statutaria delle regioni del 22 novembre 1999, promossa dal governo D'Alema e, infine, il decreto legislativo sul federalismo fiscale del 13 gennaio 2000. Il federalismo che noi marxisti-leninisti abbiamo respinto sin dall'inizio come "una vera e propria iattura per l'unità del popolo italiano e del Paese, un ritorno al passato, all'Italia divisa in molti Stati prima dell'Unità, un regalo fatto ai capitalisti delle regioni del Nord che hanno bisogno di sganciare il Sud per poter meglio competere con le altre parti d'Europa nel mercato unico europeo e mondiale" (Documento del CC del PMLI dell'8 marzo 2000). Quel federalismo che è sempre stato il cavallo di battaglia della Lega razzista, xenofoba, separatista e neofascista di Bossi, e programma della P2 di Gelli, Craxi e Berlusconi è diventata progressivamente una bandiera dei DS e dell'Ulivo, non disdegnata dai partiti falsi comunisti di Cossutta e di Bertinotti, tanto è vero che le leggi più importanti su questo tema le ha varate il "centro-sinistra". Lo stesso vale per il presidenzialismo proposto a suo tempo dai fascisti del MSI, ora AN. I diessini sono stati sostenitori zelanti dell'elezione diretta dei sindaci-neopodestà e dei presidenti delle province e delle regioni. Checché ne dicano, il cosiddetto "federalismo temperato e solidale" di cui si fanno vanto ha spalancato le porte alla devolution e alla divisione, sciagurata e deleteria per le masse popolari e il Sud, dell'Italia in tanti Stati federali. Abbraccio bipartisan tra "sinistra" e destra del regime Battendo in velocità tutte le altre regioni, salvo la Puglia, la Toscana, che ha da sempre una giunta di "centro-sinistra" guidata dal diessino Claudio Martini e nel capoluogo fiorentino una giunta, anch'essa di "centro-sinistra", guidata dal diessino Leonardo Domenici, nel darsi il nuovo Statuto, coerente con la legislazione federalista sopra ricordata, viene di fatto trasformata in uno Stato federale e presidenzialista dalle norme approvate per eleggere presidente, giunta e consiglio regionali. Ed è eloquente che i massimi artefici di questa operazione siano i DS, ovviamente, ma anche Forza Italia e AN, in una logica bipartisan da "sinistra" e destra del regime neofascista. I leader regionali dei partiti dell'Ulivo e della Casa del fascio non esitano a indicare la Toscana come modello da seguire a livello nazionale. Ma di quale modello si tratta? Quali sono le caratteristiche di fondo che hanno dato allo Statuto e alla legge elettorale? La prima caratteristica di tipo generale è averla resa completamente omogenea con la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista ormai imperante, specie dopo il governo del neoduce Berlusconi, nel nostro Paese. La seconda, sempre di tipo generale, è l'aperta violazione della Costituzione borghese del 1948 in materia di forma di governo, sistema elettorale e anche in riferimento agli aspetti economici e ai diritti sociali. Il modello toscano Il modello toscano è un modello che attribuisce pieni (abnormi) poteri al presidente regionale. Eletto direttamente in modo plebiscitario, ha potere di nominare e revocare a sua discrezione i componenti della giunta. Proprio come vorrebbe il neoduce Berlusconi per il governo nazionale e/o per la presidenza della Repubblica. è un modello che rafforza l'esecutivo e la governabilità e indebolisce la forza di pressione e gli spazi di agibilità dell'opposizione poiché inserisce il meccanismo ricattatorio della sfiducia al presidente e alla giunta, legata allo scioglimento del consiglio regionale e alle elezioni anticipate. A parte i numerosi ostacoli che devono essere superati per esprimere con successo un voto di sfiducia, c'è da considerare che difficilmente i consiglieri sono disposti a tornarsene a casa e a rinunciare alle laute prebende mensili che ricevono per l'incarico ricevuto. è un modello che favorisce i partiti più forti elettoralmente e le coalizioni che prendono più voti, assegnando loro un premio di maggioranza tra il 10 e il 15% davvero rilevante, che permette loro di dominare senza problemi il consiglio regionale. Infatti, la coalizione di liste, o il gruppo di liste collegate a un candidato presidente prende il 60% di seggi se tale candidato ottiene più del 45% dei voti validi, oppure il 55% dei seggi se i voti conseguiti sono meno del 45%. Un modello che penalizza i partiti minori con le soglie di sbarramento previste nella legge elettorale. I quali rischiano di non avere alcuna rappresentanza in consiglio regionale se non ricevono almeno l'1,5% dei voti complessivi o se il candidato a presidente della giunta con cui sono collegati non ottiene il 5% dei voti validi. Oppure, come seconda possibilità, abbiano ottenuto almeno il 4% dei voti validi e il loro candidato sia rimasto al di sotto del 5% dei consensi. In pratica, una forza politica o una lista elettorale che rifiuta di essere inquadrata in uno dei due poli del regime ha poche o punte possibilità di essere presente in consiglio regionale. Tutto questo è il risultato antidemocratico e liberticida del sistema elettorale maggioritario nella versione presidenzialista toscana. Che oltretutto prevede anche la cancellazione delle preferenze, accettata da tutti i partiti del "centro-sinistra" e del "centro destra", anche dal PRC, ed esclusa la Margherita che invece si è opposta. Di conseguenza, l'elettorato che non ha alcuna possibilità di partecipare alla scelta dei candidati da presentare alle elezioni è costretto a votare una (o l'altra) lista precostituita e bloccata indicante il candidato presidente, i simboli dei partiti che lo appoggiano e i candidati consiglieri. La promessa di introdurre, in un prossimo futuro, le primarie tra candidati selezionati dalle lobby più potenti, non attenua la blindatura neofascista delle liste e toglie all'elettorato persino il margine di scelta tra un candidato e l'altro. Non è una novità né un vanto l'aver previsto un terzo di candidati donne, quando esse costituiscono la metà e forse più dell'insieme dell'elettorato. In ogni caso si avrà una forte sottorappresentazione del sesso femminile. Crescono la burocrazia e i compiti della regione Aumentano e di molto i poteri legislativi e i compiti di gestione della Toscana-Stato federale: ed ecco perché, ci viene detto, deve crescere la burocrazia regionale. A incominciare dall'aumento del numero dei consiglieri regionali che dagli attuali 50 passa a 65 (63 consiglieri, più il presidente della giunta e il candidato presidente primo non eletto). Nove decimi dello Statuto è dedicato proprio all'adeguamento degli organi del consiglio e del governo regionali, alla definizione delle fonti normative regionali, alla precisazione dei compiti dell'amministrazione, ai rapporti con le autonomie locali fondate sul principio della sussidiarietà, ai rapporti con le altre istituzioni (regioni, Stato, Europa, relazioni internazionali). Nel titolo VII è trattata la "partecipazione popolare" che comprende la normativa per i referendum (deliberativo, abrogativo, approvativo) che prevede modalità complesse e limiti per la loro promozione. Referendum non facili da promuovere e onerosi economicamente per chi li promuove. Nell'art.4 del Titolo I, sono segnalate le "finalità principali" della Regione Toscana. Dove è sintetizzato un generico impegno di governo per "promuovere" una serie di diritti e di tutele riguardanti il lavoro, la salute, la sicurezza dei luoghi di lavoro, i minori, la protezione sociale e altro ancora. Diritti sin qui tutelali in modo assai parziale e insufficiente: se è vero come è vero che disoccupazione, "lavoro nero", sfruttamento minorile, povertà, infortuni sul lavoro, bisogni abitativi, inquinamento, scuole fatiscenti, carenza di servizi sanitari e sociali e dei trasporti pubblici, accoglienza degli immigrati, ecc., sono fenomeni ben presenti e nient'affatto risolti nella realtà regionale toscana. Da notare che tra queste finalità figura "la valorizzazione dell'iniziativa economica dei privati", cioè dei capitalisti e del padronato industriale e commerciale. Che passa anche attraverso l'attuazione della sussidarietà che significa lasciare ai privati (ivi compresi le cooperative sociale e il no profit) la gestione dei servizi pubblici e assistenziali. Vedi ad esempio la costituzione della "Società della salute" che spalanca le porte alla privatizzazione della sanità toscana. Da notare ancora che il richiamo alla Resistenza antifascista (appaiata al Risorgimento) è citata una sola volta, nel Preambolo dello Statuto, in relazione al contributo dato dai toscani a essa. Proprio nell'ultimo periodo di discussione e approvazione dello Statuto sono stati inseriti, su iniziativa dell'Ulivo e del PRC, due punti importanti a livello di principio che attengono al "riconoscimento delle altre forme di convivenza" senza alcuna discriminazione, oltre alla "tutela della famiglia fondata sul matrimonio" e l'impegno a "promuovere, nel rispetto della Costituzione, l'estensione del diritto di voto per gli emigrati". Quali saranno però le ricadute concrete di questi riconoscimenti, al momento solo formali, è tutto da vedere. Sul primo c'è da superare l'opposizione della Chiesa cattolica, oltre a quella di tutto il "centro-destra" e forse della Margherita. Sul secondo c'è da verificare se quanto scritto nella Costituzione rappresenti o meno un impedimento per legiferare a livello regionale. I Comitati popolari Il nuovo Statuto e la legge elettorale regionali toscani sono da respingere persino dal punto di vista puramente democratico-borghese. E talune associazioni, a carattere politico e culturale, lo hanno fatto pubblicamente, senza però trovare nessun ascolto. Noi marxisti-leninisti non ci riconosciamo nell'elettoralismo borghese, tanto più nella versione antidemocratica maggioritaria e presidenzialista, e nemmeno nelle istituzioni borghesi rappresentative in camicia nera, che anzi combattiamo nell'ambito della lotta per il socialismo. Perciò non presentiamo liste elettorali, perciò invitiamo all'astensionismo, disertando le urne o annullando la scheda o lasciandola in bianco. Perciò invitiamo tutti gli anticapitalisti, gli astensionisti e i fautori del socialismo a creare le istituzioni rappresentative delle masse dando vita in ogni quartiere, città o frazione e zona rurale alle Assemblee popolari, fondate sui principi della democrazia diretta, e composte anche dalle ragazze e dai ragazzi di 14 anni, e a riunirsi periodicamente per stabilite la propria piattaforma rivendicativa e politica e per programmare le proprie lotte, attività ed iniziative sociali aperte a tutte le masse del proprio territorio. Assemblee popolari che eleggeranno con voto palese i membri del proprio governo, ossia il Comitato popolare, revocabili in ogni momento, composto dagli elementi più combattivi, coraggiosi e preparati, donne e uomini, fin dall'età di 16 anni, rappresentati in parità. I Comitati popolari dovranno rappresentare il contraltare, la centrale alternativa e antagonista dei loro rispettivi governi di quartiere, di città, provinciale, regionale e nazionale. Le istituzioni rappresentative delle masse devono rappresentare l'alternativa allo Stato e alle sue istituzioni rappresentative borghesi. Il loro scopo fondamentale è quello di guidare le masse nella lotta politica per strappare al potere centrale e locale borghesi condizioni di vita migliori e per fare ottenere alle masse l'autogestione dei servizi sanitari e sociali e dei centri sociali, ricreativi e sportivi a carattere pubblico. |