Vergognosa sentenza della Corte d'assise di appello di Brescia. L'accusa aveva chiesto 4 ergastoli Strage di Brescia assolti i fascisti Da Piazza Fontana all'Italicus nessun condannato Lo Stato ha coperto i criminali terroristi neri Il 14 aprile la Corte d'assise d'appello di Brescia presieduta da Enzo Platè ha confermato la vergognosa sentenza di primo grado del 16 novembre 2010 e ha assolto "per insufficienza di prove" i neofascisti Carlo Maria Maggi (medico veneziano nonché ex ispettore per il Triveneto del movimento eversivo di estrema destra denominato Ordine Nuovo) Delfo Zorzi (ex ordinovista e ora imprenditore in Giappone) Maurizio Tramonte (ex collaboratore del Sid) e il generale dei carabinieri Francesco Delfino (nei giorni dell'eccidio capitano, comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri di Brescia, accusato di aver saputo della strage imminente e di averla assecondata). Tutti imputati nel IV processo per la strage fascista di Piazza della Loggia a Brescia dove, il 28 maggio 1974, i neofascisti fecero esplodere una bomba nel corso di una manifestazione antifascista promossa dai sindacati provocando otto morti e oltre cento feriti. Assolto anche il caporione fascista e ex ufficiale repubblichino, Pino Rauti, quinto imputato del processo di primo grado dove era accusato di essere l'ispiratore della strage. Non solo. Il tribunale ha condannato le parti civili, primi fra tutti i familiari delle vittime, a pagare anche le spese processuali del ricorso contro Pino Rauti. Infatti contro l'attuale segretario nazionale del "Movimento idea sociale con Rauti", nonché fondatore di Ordine Nuovo, non era stato presentato ricorso da parte della Procura ma solamente da due parti civili. Tale ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla corte nonostante la richiesta di condanna all'ergastolo avanzata dal procuratore Roberto di Martino e dal Pubblico ministero (Pm) Francesco Piantoni per tutti gli imputati. Invece è arrivata l'ennesima "beffa" ha detto il presidente dell'Associazione familiari delle vittime, Manlio Milani che, con profondo rammarico ha aggiunto: "è ridicolo, permettetemi di dirlo, che in questi processi che sono contro anche due uomini che rappresentavano lo Stato, si debbano anche pagare le spese processuali". Il riferimento è al generale Delfino e al parlamentare Rauti. Delfino, allora capitano a Brescia, si occupò dell'inchiesta e - spiega Milani - "l'esito di oggi è anche il risultato di come sono state condotte le prime indagini. Queste persone non si sono mai fatte vedere in un'aula in tre anni di processo. Dovevano avere il rispetto per il ruolo istituzionale che hanno ricoperto e per le vittime di questa strage... Ora vedremo cosa succederà - ha concluso - Fra le prospettive vedo la Cassazione, perché credo sia un dovere civile arrivare sino in fondo anche se dobbiamo pagare le spese". Insomma, dopo trentasette anni di indagini, tre filoni d'inchiesta, sei istruttorie, nove fasi di giudizio e cinque processi, anche la strage fascista di Piazza Della Loggia è destinata a rimanere senza colpevoli né mandanti come del resto è accaduto per tutte le altre stragi fasciste che hanno insanguinato l'Italia dal 1969 al 1984. Di fronte a tutto ciò la decisione assunta dal nuovo Vittorio Emanuele III Napolitano e dal governo del macellaio Monti di farsi carico delle spese processuali al posto dei familiari delle vittime rappresenta non un "simbolo di vicinanza" ma un'ulteriore presa in giro che di fatto conferma fino a che punto lo Stato e le istituzioni in camicia nera hanno coperto i criminali terroristi neri. Invece di aprire gli armadi e di contribuire alla scoperta della verità Napolitano e Monti si sono preoccupati delle spese in solido per "non ripetere la beffa del processo di Piazza Fontana del 2004" quando, in seguito all'assoluzione dello stesso gruppo ordinovista veneto, i familiari delle vittime furono condannati per la prima volta nella storia repubblicana anche al pagamento delle spese processuali. Altro che "segnale di partecipazione verso le persone che più di ogni altro hanno sofferto e si sono battute per la ricerca della verità". I fatti dimostrano che il rinnegato Napolitano, già ministro degli Interni col primo governo Prodi, nonché ex presidente della Camera; insieme a D'Alema, Violante, Veltroni e tutto il "centro-sinistra" non hanno mosso un dito in tutti questi anni, nemmeno quando sono stati al governo, per scoprire la verità sulle stragi. E per di più adesso fanno finta di essere dispiaciuti e se la vorrebbero cavare elargendo un'elemosina? Le ultime speranze di scoprire chi e perché ha messo le bombe nelle piazze, sui treni e alle stazioni erano riposte proprio in questo processo d'Appello, iniziato due mesi fa ed è finito ancora una volta senza colpevoli. Il primo filone d'indagine (prima e seconda istruttoria) inizia nel 1974 e si conclude con la sentenza di Cassazione del settembre 1987; quasi subito le indagini vengono depistate su un gruppo di piccoli delinquenti e giovani estremisti di destra della Brescia-bene. Figura chiave del processo è Ermanno Buzzi, noto neofascista che traffica in opere d'arte nonché assiduo frequentatore dei covi di estrema destra. Condannato in primo grado, alla vigilia del processo d'Appello (aprile 1981) Buzzi fu trasferito nel carcere speciale di Novara, dove, nel giro di ventiquattr'ore, fu brutalmente assassinato dai terroristi neri Pierluigi Concutelli e Mario Tuti che lo strangolano coi lacci delle scarpe, gli schiacciano gli occhi e soprattutto gli tappano per sempre la bocca. Il secondo filone d'indagine parte nel 1984, con la terza istruttoria, che viene avviata sulla base delle rivelazioni fatte in carcere da alcuni ex camerati "pentiti" fra cui Angelo Izzo. Gli imputati per strage (tutti assolti nell'89) sono Alessandro Stepanoff, Sergio Latini e Cesare Ferri: estremista di destra collegato al gruppo ordinovista milanese de "La Fenice" di Giancarlo Rognoni e alle S. A. M. (Squadre armate Mussolini) di Giancarlo Esposti. L'iter giudiziario si conclude nel 1993 con la sentenza-ordinanza della quarta istruttoria emessa dal Giudice istruttore (GI) Gianpaolo Zorzi che per la prima volta parla di un quarto livello di responsabilità, "non concentrico - scrive - ma intersecantesi con gli altri e quindi sempre presente, come un comune denominatore: quello dei sistematici, puntuali depistaggi", dal lavaggio della piazza dopo l'eccidio, alla misteriosa scomparsa di Ugo Bonati, figura chiave nel primo processo, all'omicidio che ha chiuso per sempre la bocca a Buzzi; depistaggi che sono arrivati persino a sabotare la rogatoria in Argentina per impedire l'interrogatorio di Guido Gianni, criminale legato all'estrema destra e latitante. Nella quinta e ultima istruttoria le indagini ruotano intorno alla cellula mestrina dell'organizzazione eversiva neofascista Ordine Nuovo (la stessa di piazza Fontana), in collegamento al gruppo milanese de "La Fenice" di Rognoni. Il giudice Zorzi identificò nel giovane missino Maurizio Tramonte la fonte "Tritone" (che era l'informatore dietro una mole di documenti emersi dagli archivi del Sid a partire dalla fine degli anni Ottanta). Nel 1995, Tritone-Tramonte comincerà a collaborare con i ROS dei Carabinieri e le sue dichiarazioni insieme agli atti provenienti dall'istruttoria del GI Guido Salvini per la strage di piazza Fontana sono alla base del terzo processo appena concluso con l'assoluzione di tutti e cinque gli imputati. Centrali anche nel processo di Brescia le dichiarazioni del pentito Carlo Digilio, alias "zio Otto", l'armiere di Ordine Nuovo, unico condannato nell'ultimo processo per la strage di piazza Fontana. A partire da "Tritone" e Digilio, l'imputazione per concorso in strage era stata infatti estesa anche ai vertici mestrini di Ordine Nuovo (Maggi e Zorzi), a Pino Rauti e al generale dei carabinieri Francesco Delfino, che fu incaricato delle indagini alla base della prima istruttoria. Da ciò appare evidente che, anche se sul piano giudiziario la sentenza della Corte d'Appello di fatto mette una pietra tombale anche sulla strage di Piazza Della Loggia (a meno che un eventuale ricorso in Cassazione non ribalti tutto), essa non potrà mai cancellare la verità storica e politica ormai acclarata e inconfutabile non solo per quanto riguarda gli esecutori e i mandanti, ma, anche e soprattutto per quanto riguarda il disegno golpista e neofascista che l'ha ispirata e da cui ha preso avvio la strategia per l'instaurazione del regime neofascista in linea con il piano della P2. Questa sentenza non potrà mai spezzare il filo nero che lega il criminale intreccio tra servizi segreti italiani e stranieri, in primis americani, terrorismo, massoneria, P2, vertici militari e politici che consentì, ispirò e protesse il golpismo e lo stragismo. Ossia quella strategia seguita dalla corrente più reazionaria e fascista della borghesia italiana in combutta con l'imperialismo americano fin dal primo dopoguerra in funzione anticomunista. Una strategia che in una prima fase, da Piazza Fontana fino alla strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, fece ricorso alle bombe e ai tentativi golpisti per rimettere la camicia nera all'Italia. Poi, con l'avvento dei governi Craxi (4 agosto '83 - 3 marzo '87) e il lancio della "Grande riforma istituzionale" nel febbraio del 1987 il progetto per l'istaurazione della seconda repubblica progettata dalla P2 di Gelli attraverso il famigerato "Piano di rinascita democratica" e lo "Schema R" è stato attuato e perseguito per via istituzionale con la collaborazione attiva della "sinistra" del regime neofascista e della bicamerale golpista del rinnegato D'Alema e portata a un passo dalla sua completa attuazione dal governo neofascista, presidenzialista, federalista, interventista, piduista, razzista, xenofobo e filomafioso del neoduce Berlusconi a cui è subentrato il governo Monti della grande finanza, della Ue e del massacro sociale, messo in piedi con un golpe senza precedenti con la complicità del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano. 6 giugno 2012 |