Litorale Domizio (Caserta) Strage di immigrati a Castelvolturno per mano della camorra Redazione di Napoli Giovedì 18 settembre verso le 9 di sera, i killer, forse quattro, fanno irruzione in una sartoria a Castelvolturno (sul litorale Domizio) ed esplodono almeno 120 colpi. È un'allucinante mattanza, sei morti e un ferito ancora ricoverato in gravi condizioni. Sono tutti immigrati, ghanesi, togolesi, liberiani. Probabilmente alcuni si erano ritrovati insieme nella sartoria per consumare il pasto serale del Ramadan. Secondo la testimonianza del fotografo Ansa, "Qualunque fossero le motivazioni dell'agguato è difficile credere che si sia trattato di assassini mirati per tutti. L'impressione, per le modalità folli della sparatoria, è che se i killer avessero trovato in zona venti persone ne avrebbero ammazzate venti. Non tutte le vittime sono infatti dentro la sartoria. Alcune sono in strada, un ragazzo è colpito in macchina, la cintura di sicurezza ancora allacciata". Il giorno dopo scatta la protesta, viene bloccata la statale Napoli-Roma: "vogliamo giustizia - urlano gli immigrati - non è vero che i nostri amici ammazzati spacciavano droga o erano camorristi. Sono state dette tutte cose false". Ma chi sono i mandanti? I mass-media parlano del clan dei Casalesi e non si può dubitare della mano della camorra. Intanto, martedì 23 settembre il ministro di polizia Maroni in conferenza stampa, tra le altre misure fasciste decise in tandem con La Russa, ha annunciato l'invio di 500 soldati in zona, la costruzione di 10 nuovi Cpt e una stretta sulla concessione del diritto d'asilo. Di seguito alcune testimonianze raccolte dopo l'eccidio di Castelvolturno. Fabio Basile, Movimento antirazzista di Caserta: "La maggior parte degli africani che vivono su questo territorio la mattina alle 5 vanno a cercare lavoro sulla strada, passano i caporali li prendono con le macchine e li portano nei campi, nell'edilizia, ecc., sono pagati massimo 25 euro al giorno. Le case in cui vivono sono affittate a 50-100 euro a persona al mese e ci vivono in 10-20-30. C'è un casolare di campagna che conosco in cui ci vivono 150 persone. Ciò che posso dire con sicurezza è che tre delle sei persone uccise io le conoscevo personalmente, avevamo curato il loro percorso come richiedenti asilo fino al conseguimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Persone che avevano i calli alle mani. Sulle altre tre persone uccise ho raccolto circa cento testimonianze che dicono in un'unica voce: erano lavoratori, chi faceva il sarto, chi faceva il barbiere, chi faceva il giardiniere, erano lavoratori". Stephen, ghanese: "Il problema è che l'uccisione dei sei ragazzi non è l'inizio. Ci sono esperienze passate da lungo tempo solo che i giornalisti non ci sono stati. Ci sono stati ragazzi uccisi da motorini sulla strada, ed altri uccisi a Foggia ma nessuno ne ha parlato, nessuna notizia, nessuna informazione". Un altro giovane ghanese: "Io ho avuto un'esperienza simile, sono stato sparato, ecco le prove (cicatrici sulla gamba destra). Mi sono rivolto alle autorità, ma nulla. Io chiamo le autorità e loro mi chiedono i documenti. Quella di oggi non è una cosa di oggi". Rudolph, ghanese: "Vogliamo dire al governo e alle autorità italiane qual è il prezzo di tutto questo. Questa non è una questione di droga. Spero che questa situazione termini presto! Vogliamo che gli italiani riconoscano che gli uomini di colore sono uomini come loro. In America, in Germania, in Inghilterra siamo mischiati insieme. Ma in Italia la situazione è diversa, si è più isolati. Un paese che fa differenza sul colore della pelle non è un paese civile. Come si può aprire il fuoco sulle persone in questa maniera! Non so dove sono finite le leggi sui diritti umani in Italia. Non so dove sono finite le leggi sui diritti umani a Napoli". 24 settembre 2008 |