I soldati hanno sparato sui disarmati manifestanti palestinesi e siriani che rivendicavano il diritto al ritorno nei loro villaggi originari Strage israeliana sulle alture del Golan Il 6 maggio, nell'anniversario della "Naksa" come i palestinesi chiamano la sconfitta degli eserciti arabi nella guerra dei sei giorni del 1967, migliaia di dimostranti palestinesi e siriani si sono lanciati all'assalto dei reticolati presidiati dall'esercito sionista sulle alture occupate del Golan rivendicando il diritto al ritorno alle loro case e villaggi originari, sulla base della risoluzione 194 dell'Onu. I militari israeliani hanno sparato sui manifestanti disarmati; il bilancio a fine giornata sarebbe di 20 morti e oltre 320 i feriti secondo quanto riferito da fonti di Damasco. Così come il 15 maggio scorso in occasione della Giornata della "Naqba", che in arabo indica il "disastro"' della costituzione dello Stato di Israele nel 1948, quando i manifestanti uccisi furono oltre una decina, i soldati sionisti si sono resi responsabili di una nuova strage ordinata dal governo di Tel Aviv per "difendere i propri confini". Ma quei reticolati posti sulle alture del Golan non sono un confine, segnano soltanto la linea d'armistizio fissata dalle mediazioni internazionali al termine della guerra tra siriani e israeliani nel 1973. La strage sionista, come quella del 15 maggio, è avvenuta in territorio siriano. Il Golan era e resta siriano per le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu, solo per i sionisti è territorio israeliano annesso per decisione unilaterale dal parlamento di Tel Aviv nel 1981, assieme a Gerusalemme Est, e assieme all'occupazione illegale della Cisgiordania e Gaza. Il corteo dei manifestanti si è avvicinato ai reticolati nella zona presso il villaggio druso di Majdal Shams, da dove era partita anche la marcia del 15 maggio. I militari avvisavano coi megafoni che avrebbero sparato contro chi avesse oltrepassato i reticolati e alla fine hanno mirato sulla folla come al tiro al bersaglio. Si registravano i primi morti e feriti palestinesi. Ai quali si aggiungevano quelli del pomeriggio quando un migliaio di dimostranti si avvicinavano ai reticolati presso il villaggio di Quneitra, nella zona centrale del Golan e erano respinti dal fuoco dei soldati. La strage sionista non fermava le manifestazioni e il 6 maggio gruppi di manifestanti, con in mano le bandiere della Palestina e della Siria, si spingevano di nuovo fino a poche decine di metri dalle reti, scandendo slogan per il diritto al ritorno dei profughi e ricordando i caduti del giorno precedente. Le manifestazioni del 15 maggio e del 6 giugno rilanciano la questione palestinese, sulla scia delle proteste popolari arabe in corso da mesi, e vedono protagonisti in particolare i giovani palestinesi rifugiati all'estero e quelli dei campi profughi a partire da quelli in Siria e Libano. Che stanno organizzando una serie di iniziative per premere alle frontiere sioniste. La prossima è chiamata "Fly-in", prevista il prossimo 8 luglio nell'anniversario della sentenza di condanna del Muro israeliano in Cisgiordania da parte della Corte Internazionale dell'Aja. Un migliaio di palestinesi che vivono all'estero prenderanno un aereo per Tel Aviv per reclamare il diritto al ritorno nella loro terra sfidando il prevedibile divieto d'ingresso da parte del regime sionista. Iniziative che si aggiungono a quelle organizzate dalla solidarietà internazionale, come la Freedom Flotilla "Stay Human", il secondo convoglio che a breve salperà per portare aiuti a Gaza. 8 giugno 2011 |