Lo certifica il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno Nel sud si emigra come nel dopoguerra Quasi 30% di disoccupati. Crollati i consumi. Il 20% delle famiglie siciliane con meno di mille euro al mese Napolitano: "Un dato inquietante". Ma chi l'ha creato? Lo dicono anche i dati presentati dallo Svimez il 17 ottobre a Roma: oggi più che mai il Sud è in balia della crisi del capitalismo, degli interventi errati o insufficienti dei governi, delle organizzazioni criminali che mantengono intatta la loro vitalità grazie alla capacità di intrecciare rapporti con settori dell'imprenditoria e delle istituzioni. Non solo, è la velocità con cui la crisi avanza e divora quello che rimane dell'economia meridionale, ma anche il progressivo espandersi di alcune oggettive condizioni di difficoltà verso il Centro e il Nord, la cosiddetta "meridionalizzazione" del Paese, ad essere elementi che dimostrano l'inefficacia degli interventi governativi. A tutt'oggi è nel Mezzogiorno che si concentrano le sacche di povertà più grandi. Nel 2012 guadagna meno di mille euro al mese, in particolare il 19,7% delle famiglie siciliane. L'emorragia di posti di lavoro è continua. Gli occupati scendono nei primi mesi del 2013 sotto la soglia dei 6 milioni, non succedeva dal 1977. La situazione reale è ben più drammatica di quella espressa dal 17% di tasso ufficiale di disoccupazione, se si tiene conto, com'è corretto per avere una visione reale delle difficoltà della popolazione meridionale, dei cosiddetti "impliciti", coloro cioè che non hanno ricercato un lavoro nei sei mesi precedenti l'indagine. In questo caso la disoccupazione effettiva sale al 28,4% (+ 6% rispetto al 2008, anno di inizio della crisi del capitalismo). Si incancreniscono parallelamente alcuni degli elementi strutturali della questione meridionale: la condizione giovanile e quella femminile. Il tasso di disoccupazione ufficiale dei giovani dei 35 anni è salito al 28,5%, dieci punti in più rispetto al 2008. I dati Svimez, tuttavia, non tengono conto in questo caso della disoccupazione implicita che è in grado di far salire il tasso anche di 20 punti percentuali. Un dato fa riflettere sulla condizione delle giovani donne meridionali: dei 3 milioni 337mila Neet (giovani che non studiano, non sono in formazione e non lavorano) italiani, registrati nel 2012, 2 milioni sono donne e 1 milione e 850mila si trovano al Sud. Una condizione di sofferenza generalizzata e protratta nel tempo che è stata in grado di modificare persino la composizione demografica del Sud, non solo incidendo sui fenomeni migratori interni e verso l'estero, che sono tornati quantitativamente ai livelli del secondo dopoguerra, ma anche facendo perdere al Mezzogiorno il tradizionale ruolo di bacino di crescita demografica dell'Italia. Nel 2012, al Sud i morti hanno superato i nati: un risultato negativo che si era verificato solo nel 1867, durante quello sterminio perpetrato dai Savoia a danno delle masse popolari meridionali conosciuto col nome di "lotta al brigantaggio", e nel 1918, ultimo anno della prima guerra di sterminio imperialista, quando la popolazione europea, sfinita dalle privazioni della guerra fu falcidiata dall'epidemia di spagnola. Le politiche dei governi centrali e regionali all'origine del disastro Per il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, si tratta di un "quadro inquietante". Lo è, ma il problema è capire chi ha determinato tali condizioni. La crisi economica è passata come uno schiacciasassi sul nostro Mezzogiorno e a guidare la distruzione in questi ultimi 20 anni c'erano Berlusconi, Prodi, Monti e Letta. Per non parlare dell'inquilino del Quirinale che è nelle istituzioni da una vita. Anche dal rapporto Svimez emerge spesso la sfiducia verso le politiche governative che hanno imposto una serie di tagli, la riduzione progressiva dei Fondi di sviluppo e coesione e degli investimenti sul sistema produttivo del Sud , per concentrare gli investimenti nel Nord, con l'obbiettivo non centrato di superare la crisi. Aggiungiamo noi che anche il pateracchio democristiano costituito dal governo Letta, prosegue nel programma di scaricare la crisi del capitalismo sui lavoratori e sulle masse popolari, soprattutto del Sud, secondo diktat del neoduce Berlusconi. Lottare per risolvere i problemi del Sud significa anzitutto lottare contro il governo Letta per il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno, sindacalmente tutelato. È su questo tema che tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche e antifasciste cui sta a cuore la sorte del Sud devono convergere. Non solo, noi auspichiamo che soprattutto i giovani e le giovani del Sud i primi ad essere massacrati dalla crisi e dai governi borghesi comprendano che tutte le loro sofferenze hanno origine dal capitalismo. Non si possono cambiare le sorti del nostro Mezzogiorno senza abbattere il capitalismo e i governi che gli reggono il sacco, anche se sono espressione della "sinistra" borghese. Che i giovani meridionali vessati dallo sfruttamento, dall'oppressione, dall'emigrazione diano le ali al loro futuro raccogliendo la proposta strategica del PMLI. 30 ottobre 2013 |