Rapporto Svimez 2012 sul Mezzogiorno Il Sud in ritardo di quattro secoli Negli ultimi venti anni sono emigrati 2,5 milioni di meridionali. Lavora meno di un giovane ogni due. Due donne su tre senza lavoro Presentato il 26 settembre, il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno nel 2011 dà un quadro del disastro in cui è sprofondato il meridione sotto l'azione congiunta della crisi capitalista e delle politiche antimeridionali dei governi Berlusconi e Monti. Il Sud rimane al palo dal punto di vista della crescita economica, aumentano la disoccupazione e l'emigrazione e le mafie allargano la sfera dei propri interessi a nuovi settori, come le energie alternative e le catene della grande distribuzione. In un decennio il recupero della distanza sul PIL (prodotto interno lordo) è stato di un punto e mezzo percentuale, e il PIL del Sud è passato dal 56,1% al 57,7% di quello del Centro-Nord. A questa misera velocità di recupero ci vorrebbero 400 anni per colmare lo svantaggio. Una delle cause della contrazione della produzione è stato il forte calo dei consumi (-2,4% al Centro-Nord, che diventa -3,8% al Sud). Da segnalare, a testimonianza della gravità della crisi, che la forte battuta d'arresto viene dai consumi di beni (-5% al Centro-Nord, -5.5% al Sud), causati dal calo dei redditi delle famiglie. Sono gli ultimi anni quelli peggiori per la produzione. Dal 2007 al 2011, l'industria al Sud ha perso 147mila posti di lavoro, di cui 32mila nel solo 2011. Lo scenario è quello di una deindustrializzazione galoppante, causata, secondo la Svimez, dall'incapacità delle imprese del Sud "a mettere in pratica strategie di internazionalizzazione e delocalizzazione di fasi produttive tali da accrescere le competitività del sistema". In realtà la delocalizzazione della produzione non è e non può essere considerata una soluzione alla crisi. Si può infatti sostenere che la strategia della delocalizzazione adottata dal capitalismo italiano, in questo favorito dai governi in carica, non solo ha provocato migliaia di disoccupati nel Nord e nel Sud, facendo calare i consumi, ma è deleteria per il sistema produttivo italiano. In presenza di una disoccupazione così estesa è inaccettabile e mostruoso che i governi borghesi favoriscano la delocalizzazione nei paesi dove è più basso il costo della forza-lavoro invece di incentivare la localizzazione di nuove imprese nel meridione. Il lavoro al Sud è un'emergenza da record. Il tasso ufficiale di disoccupazione del 2010 è stato del 13,6 %, ma esso rivela solo una parte del problema. Infatti, il numero di disoccupati non registrati è in continuo aumento, tale da raddoppiare, secondo i dati Svimez, il tasso nel 2011 che si attesta sul 25,6%. Di pari passo aumenta il lavoro nero. Dei 2 milioni 900mila lavoratori in nero in Italia, ben 1 milione e 200mila sono al Sud. Il dato più crudo riguarda i giovani al di sotto dei 34 anni: dal 2008 al 2011, quelli che tra loro hanno perso il lavoro al Sud sono stati 329mila. Il tasso di occupazione giovanile (25-34 anni) è nel 2011 appena il 47,6%. Cioè al Sud lavora meno di un giovane su due, a fronte del 75% del Centro-Nord, cioè di 3 giovani su 4. Dei 3 milioni e 228mila Neet, giovani under 34 che non studiano e non lavorano, il 57% vive al Sud: oltre un milione di Neet si concentra tra Sicilia (490mila) e Campania (597mila). La situazione lavorativa diventa drammatica per le giovani meridionali. Lavora appena il 24% nel 2011, cioè meno di una giovane su quattro. Sul fronte femminile il dato più rilevante è quello dell'inattività, che riguarda ormai due donne meridionali su tre. Le donne sono segregate nel precariato. Il 67,6% delle donne occupate lavora part-time perché non trova un lavoro a tempo pieno. Negli ultimi venti anni sono emigrati circa 2,5 milioni di meridionali. Nel solo 2010 sono partiti dal Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila. Il rapporto Svimez ha puntato il dito anche contro il Piano di Azione Coesione del ministro Barca, in quanto i trasferimenti dei fondi alle amministrazioni competenti alla realizzazione degli interventi "mostrano un andamento insoddisfacente, con una forte riduzione rispetto al 2010". In sostanza il governo fa ben poco per affrontare la crisi, mettendo anzi in campo una strategia fallimentare, in quanto naviga a vista "a causa di deficienze tecnico-progettuali delle nostre amministrazioni pubbliche per lo sviluppo". Nella replica il ministro Fabrizio Barca, presente tra gli oratori, ha strenuamente difeso la "progettualità" sul Mezzogiorno inaugurata dal neoduce Berlusconi e portata avanti dal governo Monti. Il problema non starebbe nei tagli, quanto nella qualità delle amministrazioni regionali e locali ad affrontare il problema "se non sono egemoni le classi dirigenti che hanno l'incentivo a cambiare, il cambiamento non avviene". In realtà la corruzione e le "intermediazioni illecite" sui fondi per lo sviluppo del Mezzogiorno messe in atto dalle istituzioni borghesi locali, sono solo una parte delle cause della profonda crisi del Mezzogiorno. L'altra parte risiede nella politica dei governi centrali che ha tagliato selvaggiamente al Sud: per la Svimez il taglio drastico delle spese per investimenti "è gravato prevalentemente sul Mezzogiorno: meno 18,8% rispetto a meno 8,2% nel Centro-Nord". Il disastro di questa politica che invoca più liberismo e più mercato capitalistico è sotto gli occhi di tutti. Dopo aver versato qualche lacrimuccia da coccodrillo sul problema dell'occupazione giovanile nel Mezzogiorno, nel suo saluto Vittorio Emanuele III Napolitano considera necessaria "la ripresa di uno stabile processo di crescita, il cui conseguimento resta imprescindibilmente legato anche alla piena mobilitazione di tutte le risorse economiche e sociali del meridione". Eh no, il Sud lasciato solo non ce la può fare. Lo Stato deve fare la sua parte urgentemente. Occorre creare in tutto il Mezzogiorno una struttura economica simile a quella che possiede il Centro-Nord attraverso piani straordinari e la destinazione di ingenti finanziamenti pubblici e l'utilizzazione delle aziende pubbliche per lo sviluppo industriale, tecnologico e infrastrutturale, per il rilancio dell'agricoltura e il turismo, per il risanamento del degrado ambientale, rurale e urbano. Intanto il principale responsabile del disastro del Mezzogiorno, il governo Monti, deve essere cacciato via per non danneggiare ulteriormente le masse meridionali. Tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche e antifasciste cui sta a cuore la sorte del Sud devono unirsi per liberare l'Italia dal governo della grande finanza, dell'Ue e della macelleria sociale. Il ribaltamento definitivo delle sorti del Sud avverrà tuttavia solo abbattendo il capitalismo e facendo vincere l'Italia unita, rossa e socialista. 10 ottobre 2012 |