Telecom cerca di salvarsi scorporando Tim e mettendola in vendita Non riesce il tentativo di Prodi di impadronirsene. Tronchetti Provera, sommerso dai debiti e dallo scandalo intercettazioni, si dimette e lascia il posto a Guido Rossi. Sciopero dei lavoratori del gruppo il 3 ottobre Telecom e Tim vanno nazionalizzate Da quando è cominciato, con l'annuncio da parte del presidente Marco Tronchetti Provera nel Consiglio di amministrazione (Cda) dell'11 settembre dello scorporo della telefonia mobile, preludio alla sua messa in vendita sul mercato, il caso Telecom ha assunto in pochi giorni dimensioni incontrollabili, scuotendo in profondità gli assetti finanziari e industriali e investendo in pieno anche il mondo della politica. Come contraccolpi immediati si sono già avute le dimissioni di Tronchetti e la sua sostituzione con Guido Rossi, mentre a livello politico si registrano le dimissioni di un consigliere particolare di Prodi, l'industriale Angelo Rovati, in seguito a un duro scontro a distanza tra l'ex presidente di Telecom e il Premier in visita in Cina. Quanto a quest'ultimo, dopo essersi trovato isolato nella sua stessa maggioranza, in cui sono tornati ad aleggiare venti di crisi, e attaccato frontalmente dall'opposizione parlamentare, dopo aver tentato a lungo di resistere è stato costretto ad accettare un confronto in parlamento sulla spinosa vicenda, che si terrà a fine mese; e questo anche per l'insistenza di Bertinotti, che ha ricevuto per questa sua "imparzialità" gli applausi della casa del fascio. E intanto emergono nuovi sviluppi direttamente o indirettamente collegati alla vicenda, tra cui l'enorme bubbone delle intercettazioni telefoniche illegali che avvenivano proprio in seno alla Telecom, e la scoperta dei conti svizzeri cifrati in cui Tronchetti e altri amministratori si accreditavano plusvalenze di borsa mentre scaricavano le perdite su un conto della società. Ma vediamo come si è arrivati a questa situazione a dir poco esplosiva, che ormai sembra essere sfuggita al controllo di chi l'ha avviata. L'11 settembre Tronchetti Provera annuncia in Cda un piano di riorganizzazione di Telecom, da attuare in 6 mesi, che prevede la creazione di due società distinte, scorporando la telefonia mobile di Tim, che era stata incorporata con una costosa operazione poco più di un anno fa, e che costituirebbe una delle due nuove società, mentre l'altra sarebbe costituita dalla rete telefonica fissa. La motivazione ufficiale di questa operazione di ingegneria finanziaria, a detta dello stesso presidente, sarebbe stata quella di "aumentare la flessibilità finanziaria" del gruppo, creare con la rete fissa una "media company" attraverso un accordo col magnate australiano Murdoch per la distribuzione di film e sport via Internet, e aggirare i richiami e le pressioni dell'Antitrust. In realtà tutti capiscono che lo scorporo di Tim prelude semplicemente alla sua messa in vendita sul mercato allo scopo di ripianare gli ingenti debiti del gruppo, arrivati ormai alla stratosferica cifra di oltre 40 miliardi di Euro. Tronchetti non lo ammette ufficialmente, limitandosi a dichiarare che "se avremo delle offerte le valuteremo", ma già si parla dell'interessamento di France Telecom, di Deutsche Telekom e della spagnola Telefonica, nonché del gruppo Carlyle rappresentato in Italia dal figlio di Carlo De Benedetti. Dopo la vendita di Wind dell'Enel a un imprenditore egiziano, di Omnitel all'inglese Vodafone e di 3 Italia a un magnate cinese, il passaggio anche di Tim in mani straniere farebbe uscire definitivamente l'Italia dal settore della telefonia mobile. Una prospettiva che allarma i sindacati, che paventano a ragione il pericolo di migliaia di licenziamenti, e annunciano una giornata di sciopero di tutti i lavoratori del gruppo Telecom, che sarà poi programmata per il 3 ottobre prossimo. Lo scontro Tronchetti-Prodi Dalla Cina, dove è in visita di Stato, anche Prodi si dichiara subito "molto preoccupato" e anche "sconcertato" dall'annuncio del presidente di Telecom e di Pirelli. Sostiene che nei due incontri avuti di recente con Tronchetti Provera, il 19 luglio a Roma e il 2 settembre a Cernobbio, costui non gli fece il minimo cenno dell'intenzione di vendere Tim, rassicurandolo al contrario che anche la trattativa con Murdoch avrebbe avuto come limite invalicabile il mantenimento in mani italiane della rete fissa, e che i debiti della società erano a lungo termine e ampiamente sostenutii dal flusso di cassa del gruppo. Ma il chiamato in causa non ci sta a passare da fedifrago, e replica facendo capire che il premier era invece al corrente di quello che bolliva in pentola. Per un paio di giorni si è andati avanti così, con smentite e controsmentite tra Italia e Cina sulle pagine dei giornali, finché Tronchetti fa pubblicare dai due quotidiani di cui è azionista, "Il Sole-24 ore" e il "Corriere della Sera" del 14 settembre, accanto alle dichiarazioni del premier che insiste nel dire che lui non ne sapeva nulla, un documento attribuito a Palazzo Chigi, contenente il suggerimento di un piano di salvataggio di Telecom attraverso la divisione dell'azienda e la cessione della rete fissa alla Cassa depositi e prestiti, cioè alla mano pubblica. Il documento, che è scritto su carta intestata della presidenza del Consiglio, sbugiarda clamorosamente Prodi, il quale ancora una volta cade dalle nuvole dicendo di non saperne nulla. Il suo segretario particolare, nonché tesoriere dell'Ulivo, l'industriale Angelo Rovati, cerca di salvargli la faccia ammettendo di averlo scritto a sua insaputa, come un "piano artigianale" senza troppa importanza, e successivamente, dopo aver cercato di tergiversare, sarà costretto a dare le dimissioni. Ma ormai la frittata è fatta. La casa del fascio si scatena accusando Prodi di "interferenze inammissibili nel mercato" e di voler "resuscitare l'Iri", e reclama la sua venuta in parlamento a rendere conto della vicenda. E anche in seno alla maggioranza cominciano a serpeggiano malumori e prese di distanza. In particolare tra i DS, ancora scottati per essere stati bacchettati sull'affare Unipol-Bnl, e scornati più di recente dalla fusione bancaria Intesa-Sanpaolo sotto l'egida di Prodi, che accusano il premier di fare e decidere tutto da sé, senza interpellare gli alleati ma unicamente la sua cerchia di amici e consiglieri, tra cui appunto Rovati. Terremoto al vertice di Telecom Mentre il caso si estende dall'ambito industriale e finanziario a quello politico, il 15 settembre viene convocato di nuovo il Cda della Telecom, e Tronchetti annuncia a sorpresa le sue dimissioni irrevocabili, dichiarando di esservi costretto "sotto il tiro delle menzogne del governo e di fronte ad atti non istituzionali messi in campo negli ultimi giorni". Al suo posto annuncia l'arrivo di Guido Rossi, giurista esperto di diritto societario, ex presidente della Consob, ex senatore della Sinistra indipendente eletto nelle liste del PCI, già nominato commissario straordinario della Figc dopo lo scandalo di Calciopoli, e gran conoscitore dei problemi di Telecom per esserne stato incaricato della privatizzazione dallo stesso Prodi nel 1997. Il piano di riorganizzazione del gruppo procederà come stabilito, assicura il presidente dimissionario. In realtà, più che dalle "interferenze della politica", la sua uscita di scena è dettata da esigenze interne e di immagine. Dopo un'iniziale fiammata di rialzi all'annuncio del piano di riorganizzazione societaria, infatti, i titoli Telecom hanno cominciato inesorabilmente a scendere, trascinando al ribasso anche i titoli Pirelli. Segno che la pesante situazione debitoria e l'incertezza del futuro hanno finito per pesare sulla Borsa ben più che i roboanti proclami di Tronchetti. Del resto il valore del titolo Telecom si è più che dimezzato da quello che aveva nel 2001 quando Tronchetti, insieme a Benetton nella società Olimpia, acquistò da Colaninno l'azienda di telecomunicazioni da poco privatizzata, in solido con tutti i debiti che si è portato dietro fino ad oggi. Non per nulla pare che nel Cda il più convinto sostenitore della necessità delle sue dimissioni sia stato proprio il suo socio principale, Gilberto Benetton, che non gli perdonerebbe di aver remunerato così male il suo investimento di allora. Senza contare che Benetton, avendo in corso con il governo la spinosa questione della vendita di Autostrade Spa agli spagnoli, non avrebbe gradito il contenzioso scoppiato con Palazzo Chigi. Forse non è estranea all'uscita di scena di Tronchetti anche la vicenda che stava per esplodere di lì a poco delle intercettazioni abusive. Sta di fatto che le sue dimissioni e l'arrivo di Rossi potrebbero rimettere in discussione quanto da lui deciso in precedenza, compresa la divisione dell'azienda e la vendita di Tim. Anche Murdoch ha annunciato di ritirarsi dalla trattativa per la creazione della "media company". Evidentemente preferisce aspettare che le acque si calmino, e comunque non si sarebbe accontentato di una semplice partecipazione, ma mirava a prendere direttamente il controllo della rete di accesso alle case dei milioni di abbonati Telecom. Retroscena e personaggi della vicenda Telecom Ed è proprio questa, non la telefonia mobile, che fa più gola al mercato. Già si parla infatti di "cordate" che si starebbero formando per mettere le mani sul succulento boccone. In una di queste ci sarebbe lo zampino di De Benedetti, ma il concorrente più accreditato è considerato Mediaset di Berlusconi, che pur facendo per ora orecchie da mercante, per non rinfocolare troppo le polemiche attorno al conflitto di interessi, si sa che da tempo ha messo gli occhi sulla società di telecomunicazioni, vedendovi enormi sinergie con il suo monopolio televisivo, e si sa anche che dispone di una liquidità praticamente illimitata in cerca di investimenti. In ogni caso il neoduce di Arcore è uno dei pochi capitalisti in Italia, se non l'unico, in grado di potersi comprare un colosso delle dimensioni di Telecom. E se la casa del fascio accusa Rossi di essere un "agente del governo", inviato in Telecom per "irizzarla" di nuovo, in pratica un emissario di Prodi, c'è invece chi sostiene al contrario che egli sarebbe lì per facilitare il passaggio di Telecom in mano a una cordata privata nazionale, evitando il rischio di scalate da parte di investitori esteri. Anche Berlusconi è compreso in questo disegno attribuito a Rossi? C'è chi sottolinea la recente ripresa dei rapporti di amicizia tra Rossi e D'Alema, dopo il raffreddamento dei tempi della scalata a Telecom dei "capitani coraggiosi" alla Colaninno, favoriti dall'allora premier diessino, mentre Rossi avrebbe preferito che la privatizzazione dell'ex azienda pubblica avvenisse tramite una "public company" ad azionariato diffuso. E c'è anche chi unisce con un passaggio logico le due cose, parlando di una possibile o futuribile triangolazione Berlusconi-Rossi-D'Alema, tenendo conto che non sarebbe la prima volta che i due leader politici fanno asse per interessi convergenti. Solo fantapolitica? Si vedrà. Quel che appare a questo punto assodato è il ruolo attivo di Prodi nella vicenda, malgrado il suo risibile tentativo di cadere dalle nuvole. Sembra evidente che l'economista democristiano, perfettamente edotto della situazione critica di Tronchetti Provera, abbia tentato di indurlo ad accettare l'intervento del governo per mettere le mani sulla Telecom, ma che l'interessato non sia stato al gioco e abbia cercato di risolvere la sua situazione debitoria con mezzi propri, vendendo cioè un pezzo pregiato dell'azienda. Da qui lo scontro tra i due che è andato avanti fino e oltre le dimissioni di Tronchetti. Il piano di Prodi puntava a legare Telecom alla Cassa depositi e prestiti, cioè alle Fondazioni bancarie (in primis Intesa-Sanpaolo), cioè alle consorterie bancarie su cui il premier, che non dispone di un partito, si sta costruendo la sua base di potere. Come ex presidente dell'Iri e suo privatizzatore, l'economista democristiano ha ancora molti legami tra banchieri e manager industriali provenienti dal mondo delle ex partecipazioni statali, e li sta facendo valere per rafforzare e allargare la rete politico-economica di cui dispone da sempre. Come nella fusione Intesa-Sanpaolo, anche per l'intervento su Telecom ha fatto tutto da solo, all'insaputa e alle spalle dei suoi alleati, che difatti si sono non poco adombrati e non l'hanno difeso nel duro scontro con Tronchetti Provera. Nei fatti Prodi si comporta sempre più come Berlusconi, cercando di accentrare tutto il potere nelle sue mani e agendo con piglio sempre più decisionista, magari strizzando l'occhio alla "sinistra radicale" per farsene un contrappeso contro Rutelli, Fassino e D'Alema, come ha fatto in questo caso con lo specchietto per le allodole di una nuova "irizzazione" della Telecom. Tanto che sembra quasi che tra la destra e la "sinistra" del regime neofascista le parti si siano invertite rispetto a prima delle elezioni, quando era l'Unione ad accusare la Casa del fascio di essere "statalista" e di non volere abbastanza le privatizzazioni e le liberalizzazioni. In realtà il neoliberista e privatizzatore democristiano non ha nessuna intenzione di rifare ciò che ha già disfatto in passato. Se ne frega altamente dell'interesse pubblico. Semplicemente agisce come capo di una delle tante consorterie capitaliste, cercando di portare l'acqua al suo mulino. Non a caso, alla destra che lo accusa di ritorno allo "statalismo", ha risposto stizzito: "Mi si dica una sola frase, un solo episodio in cui io abbia fatto un minimo accenno a un ritorno di centralismo, di statalismo. Io sono stato l'uomo che ha cominciato le privatizzazioni dieci anni fa". Noi invece vogliamo davvero la nazionalizzazione della Telecom e di Tim, che è il solo modo per sottrarre questa importante azienda strategica alla speculazione e al rischio di un suo smembramento e svendita ai pescecani capitalisti italiani e stranieri. È --anche il solo modo per difendere l'avvenire delle sue migliaia di lavoratori e tutelare i diritti e gli interessi di milioni di consumatori, recuperando all'interesse pubblico un servizio basilare, ora che la politica delle privatizzazioni sta rivelando proprio con la Telecom un clamoroso fallimento. 27 settembre 2006 |