La Tesi universitaria di Federico Picerni Uno studio marxista-leninista per approfondire la conoscenza delle tesi reazionarie di lin biao e confucio Il Bolscevico pubblica la tesi di laurea in cultura e letteratura cinese del compagno Federico Picerni, attuale Responsabile della Commissione giovani del CC del PMLI ed ex studente dell'Università di Bologna, dal titolo: Sulle ceneri della tradizione. Critica filosofica, letteraria e storica durante il Pi Lin Pi Kong. Per Pi Lin Pi Kong si intende la campagna di critica a Lin Biao e Confucio, svoltosi intorno al 1974, nell'ambito della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976), l'immortale capolavoro di Mao volto a impedire la restaurazione del capitalismo in Cina. La campagna fu una vittoriosa lotta antirevisionista di massa che ebbe anche il merito di sbarrare la strada ai revisionisti, specie di destra, dopo lo smacco dei revisionisti di "sinistra" con la caduta di Lin Biao. Ecco perché questa campagna, come tutta la GRCP, è condannata dalla cricca revisionista e fascista attualmente al potere a Pechino. In realtà essa ha dato prova dell'autentica democrazia proletaria che esisteva nella Cina socialista ed ha registrato grandi successi in campo ideologico e politico, ma anche economico. La sintesi migliore ci è offerta dall'editoriale congiunto del Quotidiano del popolo, di Bandiera rossa e del Quotidiano dell'Esercito di liberazione del 1° gennaio 1975: "Centinaia di milioni di operai, contadini, quadri e intellettuali rivoluzionari hanno smascherato ancor più in profondità i crimini della cricca antipartito di Lin Biao e, alla luce delle condizioni concrete, criticano la linea revisionista controrivoluzionaria di Lin Biao e le dottrine di Confucio e Mencio che predica la restaurazione, la regressione e il tradimento nazionale, e hanno così accentuato la loro coscienza sulla necessità di continuare la rivoluzione sotto la dittatura del proletariato. La rivoluzione socialista nella sovrastruttura, compresi tutti i campi della cultura, avanza. Contingenti di massa di operai teorici marxisti crescono con notevole rapidità, e molte organizzazioni danno prova di grande ardore nello studio della teoria, della storia e delle condizioni concrete, come dice il presidente Mao. La rivoluzione nell'educazione, nella letteratura, nell'arte e nel lavoro medico e sanitario si approfondisce costantemente. Godiamo di fiorenti innovazioni socialiste. Il movimento per criticare Lin Biao e Confucio ha consolidato e rafforzato le vittorie della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. Tutto il Partito, tutto l'esercito e il popolo di tutte le nazionalità in Cina sono più uniti che mai. La dittatura del proletariato del nostro Paese è più consolidata che mai. La rivoluzione ha spinto in avanti la produzione. In agricoltura, il raccolto è stato il più ricco dopo i ricchi raccolti ottenuti consecutivamente negli scorsi 12 anni. Il valore totale della produzione industriale e agricola dimostra nuovi aumenti rispetto al 1973. L'industria, l'infrastruttura, la scienza e la tecnologia hanno registrato nuovi successi. Il mercato nazionale è vivace, i prezzi sono stabili e la produzione e la costruzione fioriscono. Tutto questo è in stridente contrasto col declino della produzione, l'aumento della disoccupazione e l'inflazione del mondo capitalista, che si trova in una profonda crisi economica, e dimostra l'immensa superiorità del sistema socialista". Approvata il 4 novembre 2013, la tesi è stata redatta sotto la supervisione dei professori Claudia Pozzana e Alessandro Russo, studiosi fra le altre cose della GRCP. Entrambi hanno vissuto in Cina dal 1974 al 1976. Si tratta comunque di una tesi in una università borghese in cui non si può dire, per motivi tattici, tutto quello che si potrebbe dire. La consideriamo comunque uno studio marxista-leninista utile a conoscere meglio un periodo fondamentale nella storia della costruzione del socialismo nella Cina di Mao. E che dimostra tra l'altro, in particolare agli studenti marxisti-leninisti, che si possono conseguire buoni o ottimi risultati scolastici e universitari senza trascurare le attività del PMLI e della lotta di classe. Un incoraggiamento e un esempio per tutti i giovani militanti e simpatizzanti del Partito. SULLE CENERI DELLA TRADIZIONE critica letteraria, filosofica e storica durante il Pi Lin Pi Kong (campagna di critica a Lin Biao e Confucio) Introduzione Nell'immaginario collettivo occidentale, l'austera figura di Confucio, con la barba e i lunghi baffi sottili, sintetizza l'interezza della cultura cinese. Ciò non è dovuto soltanto ad una approssimazione (poiché, a ben vedere, la cultura cinese è assai più composita e articolata), bensì al fatto che le idee, i principi, i concetti, gli usi proposti da questo antico pensatore, vissuto più di duemila anni fa, stanno alla base di questa cultura ultra-millenaria. La studiosa della filosofia orientale Anne Cheng sottolinea: "Confucio non rappresenta soltanto un uomo o un pensatore, o una scuola di pensiero, ma un vero e proprio fenomeno culturale che si fonde con il destino di tutta la civiltà cinese". In un'occasione, l'Autore si sentì dire da una studentessa cinese che il suo popolo ricorre al taoismo e al buddhismo (gli altri due elementi che compongono il triplice sincretismo cinese) come quando si va in farmacia, alla ricerca di rimedi per problemi particolari, ma si serve del confucianesimo come quando si va in panetteria, per procurarsi il sostentamento quotidiano. Tuttavia, il confucianesimo non visse sempre giorni felici, né fu semplice e indolore la sua elevazione al ruolo di cardine del pensiero cinese. Un evento a noi temporalmente vicino può forse essere utile a comprendere la contraddittorietà del confucianesimo in Cina. Nel 2011 si assisté infatti al curioso caso della statua di Confucio in piazza Tian'anmen: l'11 gennaio, da un giorno all'altro, gli abitanti di Pechino videro una imponente statua bronzea di quasi dieci metri dell'antico saggio sorvegliare l'esterno del Museo nazionale cinese. Al culmine di un ampio dibattito, svoltosi prevalentemente in rete con il coinvolgimento anche di chi si dichiarava favorevole alla sua rimozione, il 21 aprile la statua svanì senza lasciare traccia; si seppe successivamente che era stata ricollocata nel cortile interno del Museo. Questa tesi in cultura e letteratura cinese si propone di analizzare un momento della storia cinese, finora unico nel suo genere, in cui il confucianesimo venne criticato letteralmente da cima a fondo, su ogni piano e in ogni ambito della vita, e specificamente le forme che assunse tale critica, con particolare attenzione all'ambito letterario e filosofico. Si tratta del movimento di critica a Lin Biao e Confucio, Pi Lin Pi Kong in cinese, che ebbe luogo fra il 1973 e il 1975, durante la Rivoluzione culturale (1966-1976), un decennio particolarmente fecondo dal punto di vista del rifiuto della tradizione. L'elemento più affascinante di questo periodo, che lo differenzia anche dalle altre esperienze anticonfuciane e antitradizionaliste di inizio Novecento, il Movimento di Nuova cultura e il Movimento del 4 maggio, fu l'evasione di questa critica dal solo ambito accademico per estendersi a livello e proporzioni di massa. La tesi, dopo un'introduzione alle precedenti esperienze novecentesche di critica al pensiero confuciano in Cina e una presentazione della vita dei due personaggi storici di cui il movimento porta il nome, Lin Biao e Confucio, illustrerà il corso storico del Pi Lin Pi Kong, per poi trattare sinteticamente i principali campi nei quali si concentrò la critica anti-Lin e anticonfuciana e i principali attori che ne furono protagonisti. Considerazioni conclusive sintetizzeranno l'analisi compiuta nella tesi, in relazione con i giudizi storici posteriori occidentali e cinesi sul Pi Lin Pi Kong. La tesi è stata realizzata ricorrendo principalmente a fonti cinesi d'epoca, larga parte delle quali rintracciata nel fondo Pozzana-Russo presso la Biblioteca di Discipline umanistiche dell'Università di Bologna. Il materiale cinese e inglese è stato interamente tradotto dall'Autore. Le citazioni dai Dialoghi di Confucio sono tratte generalmente dall'edizione curata da Anne Cheng (traduzione italiana di C. Lamparelli), Mondadori, Milano 1989, tranne dove espressamente indicato. 1. Antefatto. Un lungo filo anticonfuciano fra il 4 maggio e la Rivoluzione culturale Da quando venne assunto come ideologia di stato dalla dinastia Han, che regnò tra il 206 a.C. e il 220 d.C., il confucianesimo ha segnato in profondità non soltanto il modo di governo e le istituzioni dell'impero, ma anche (e soprattutto) la cultura e la mentalità del popolo cinese. Pressoché tutte le dinastie che si susseguirono, autoctone come straniere, approfittarono dei principi di disciplina politica e ordinamento sociale espressi dal confucianesimo (come si vedrà più diffusamente nel capitolo "3. Confucio. Padre della tradizione") per consolidare il proprio dominio. Ciò avvenne fino alla dinastia Qing, l'ultima dinastia regnante dell'impero di mezzo, benché non fosse cinese ma mancese. Questo, specialmente negli intellettuali di inizio Novecento, sempre più insofferenti verso i Qing e la loro debolezza nei confronti dell'espansionismo giapponese, e sempre più affascinati dalle idee di rinnovamento nazionale in ascesa, doveva portare ad un graduale rifiuto della tradizione confuciana ben prima della Rivoluzione culturale. L'onda della rivoluzione repubblicana del 1911, le tendenze progressiste prevalenti fra gli intellettuali e gli studenti e le aggressioni imperialistiche del Giappone e delle potenze occidentali alla Cina portarono all'esplosione di questo rifiuto nel Movimento del 4 maggio 1919, una prima "rivoluzione culturale" cinese, che si intrecciò saldamente alle lotte politiche dell'epoca senza restare in un ambito prettamente culturale o accademico. Mao Zedong, il quale partecipò da protagonista al Movimento del 4 maggio, che influenzò la sua scelta marxista, scrisse che "il Movimento del 4 maggio mostrò che la rivoluzione democratica borghese contro l'imperialismo e il feudalesimo in Cina era entrata in una nuova fase. [...] Il sorgere e lo svilupparsi, in quel periodo, di nuove forze sociali, portò al costituirsi di uno schieramento che divenne più tardi una forza importantissima della rivoluzione democratica borghese contro l'imperialismo e il feudalesimo in Cina: lo schieramento composto dalla classe operaia, dalle masse studentesche e dalla giovane borghesia nazionale. Nel corso del Movimento del 4 maggio combatterono nelle prime file centinaia di migliaia di eroici studenti; e per questo aspetto il Movimento del 4 maggio rappresentò un passo avanti in confronto alla rivoluzione del 1911"1. Il Movimento ebbe inizio il 4 maggio 1919, quando una manifestazione di studenti pechinesi fu duramente repressa. Gli studenti, molto delusi dalle aspettative che avevano riposto nel presidente statunitense Wilson all'indomani della prima guerra mondiale, chiedevano di non firmare il trattato di Versailles, in quanto cedeva lo Shandong al Giappone violando la sovranità nazionale della Cina. Il 4 maggio "acquista in realtà il suo pieno significato storico soltanto se lo si vede inquadrato dall'esperienza della rivoluzione intellettuale che lo precedette dal 1915 in poi", e che va sotto il nome di Movimento di Nuova cultura. Tale movimento, che aveva fatto seguito alla delusione post-rivoluzione del 1911 e aveva mobilitato politicamente gli intellettuali progressisti principalmente attorno al giornale Gioventù nuova, fu marcato da una profonda critica del confucianesimo. Come afferma Qin Xiaoying: "Quando governi corrotti e dittatori senza scrupoli ricorrevano al confucianesimo, quando il governo dei signori della guerra, che avevano ceduto la Cina alle potenze straniere, cercava di usare il confucianesimo per incatenare il popolo, come potevano i protagonisti del movimento e i giovani patrioti non criticare a fondo e distruggere il confucianesimo, che si pronunciava per l'ordine sopra ogni altra cosa?". A dare grande impulso al carattere antimperialista del 4 maggio furono gli ideali di libertà dallo sfruttamento di classe e dall'oppressione imperialista prodotti dal trionfo della Rivoluzione d'Ottobre in Russia nel 1917 e dalla nascita della Terza Internazionale nel marzo 1919. Il marxismo cominciò a diffondersi in Cina, grazie specialmente alle traduzioni di Marx e Lenin realizzate da Li Dazhao. Come conclude Han Suyin: "Il riferimento al marxismo, che caratterizzò il Movimento del 4 maggio, come anche l'anticonfucianesimo e le esigenze di "democrazia" e di "scienza", furono un punto chiave nella storia della Cina. Tutto cambiò durante il 1919, quando furono attaccate tutte le superstizioni e tutte le tradizioni. Gli intellettuali lanciarono campagne a favore dei servizi speciali; le ragazze si tagliarono i capelli; si sostenne il libero matrimonio; il fumo dell'oppio e l'uso di fasciare i piedi vennero denunciati anche nelle province più remote. Le pubblicazioni progressiste ebbero un enorme sviluppo; più di quattrocento ne uscirono durante la primavera e l'estate. Esse esprimevano il carattere e la funzione di quei giorni". Un ruolo di primo piano sul fronte culturale fu giocato dalla rivoluzione letteraria, impersonata da Lu Xun, padre della letteratura moderna. Lo stesso libro con il quale debuttò su Gioventù nuova, Diario di un pazzo, è emblematico dell'attacco alla tradizione condotto da Lu Xun. Il giovane pazzo che studia i testi antichi ma non vi legge altro che "mangiare le persone" - in evidente contrapposizione al confuciano "amare le persone" - è una denuncia del carattere "cannibalistico" della società confuciana, nella quale i forti divorano i deboli. La pazzia, ossia il rifiuto dei valori confuciani di virtù, qui altro non è che un'allegoria della ribellione. Insomma, il confucianesimo per la prima volta viene attaccato come ostacolo al progresso e alla modernizzazione, lascito di un passato oppressivo e tirannico. Questa idea sarebbe sopravvissuta allo stesso Movimento del 4 maggio, perché, come ricorda Han Suyin, "cedimento non vuol dire ritorno alla situazione precedente. La Cina era cambiata per sempre". Le guerre civili scoppiate nel 1927 fra il Partito comunista cinese e il Guomindang portarono al costituirsi ed all'ampliarsi delle "zone rosse". Qui la lotta contro la cultura confuciana e tradizionale ebbe un seguito: si pensi alla sostituzione della legalità rituale e consuetudinaria con la legalità rivoluzionaria, o alle norme sul matrimonio della Repubblica sovietica cinese (1931-1937) volte a incrinare il modello familiare tradizionale e promuovere la partecipazione attiva delle donne alla vita politica e sociale. Le stesse massime maoiste per cui "Il potere politico nasce dalla canna del fucile" e "la rivoluzione non è un pranzo di gala. [...] La rivoluzione è insurrezione, un atto di violenza" erano aperte sconfessioni dei principi di umanità universale predicati da Confucio. Con la nascita della Repubblica popolare cinese, di cui moltissimi dirigenti, a partire dallo stesso Mao, avevano preso parte attiva al 4 maggio 1919, una serie di riforme scardinarono il modello sociale confuciano. Ne sono un esempio le leggi sul matrimonio e la riforma dell'istruzione con l'abolizione dello studio a memoria dei classici. Non si tornò però ad una esplicita lotta attiva contro il confucianesimo sul piano ideologico, anche se Mao, ben prima della vittoria della rivoluzione, aveva detto: "Esiste poi in Cina una cultura semifeudale, che è un riflesso della politica e dell'economia semifeudale; questa ha come i suoi rappresentanti tutti coloro che si oppongono alla nuova cultura e alla nuova ideologia e consigliano lo studio di Confucio, lo studio dei canoni confuciani, dei vecchi canoni etici e delle vecchie ideologie. [...] Se non la spazzeremo via, non potrà sorgere una nuova cultura"2. Nei primi anni Sessanta, quando si consolidò l'autorità di Liu Shaoqi, presidente della Repubblica dal 1959, si assistette ad una vera e propria "ondata nazionale di venerazione di Confucio". Nel 1960, Feng Youlan, eminente studioso di filosofia, invitò a ristudiare i classici confuciani. Nel novembre del 1962, Liu stesso si recò a rendere omaggio al paese natio di Confucio a Qufu. Nello stesso anno, infine, il libro di Liu Come essere un buon comunista (libera interpretazione occidentale del titolo, Sull'auto-educazione dei comunisti) venne ristampato in 60 milioni di copie, superando abbondantemente il numero delle opere di Mao in circolazione. Tale libro, che si richiamava esplicitamente a Confucio (la stessa "auto-educazione" è un concetto confuciano), sarebbe stato duramente criticato durante la Rivoluzione culturale per "predicare senza ritegno gli insegnamenti di Confucio e Mencio". Questa "ondata" avrebbe subito un brusco arresto con la lotta alle quattro cose vecchie - vecchie idee, vecchia cultura, vecchi costumi, vecchie abitudini - nei primi anni della Rivoluzione culturale, che avrebbe ripreso l'attacco al confucianesimo e avrebbe influenzato il successivo Pi Lin Pi Kong. 2. Lin Biao. A cavallo della tigre Lin Biao nacque a Huanggang, nella provincia dello Hubei, il 5 dicembre 1907 da una famiglia agiata che cadde in rovina quando il padre, a causa delle tasse eccessive, fu costretto a chiudere la piccola officina che aveva aperto. Ciò costrinse Lin Biao a dedicarsi al lavoro manuale in età molto prematura, anche se riuscì a completare gli studi. La carriera politica di Lin Biao ebbe inizio quando, allo scoppio della prima guerra civile rivoluzionaria nel 1927, questo giovane ventenne, appena diplomatosi alla famosa Accademia militare di Whampoa, decise di seguire Mao Zedong e i comunisti sui monti Jinggang, i leggendari monti della rivoluzione cinese. Qui, nel corso della guerra civile, Lin, a capo del I Corpo d'armata dell'Esercito popolare di Liberazione (allora "Esercito rosso degli operai e contadini cinesi") accrebbe rapidamente la sua fama di brillante comandante militare, al punto da indurre Edgar Snow, una decina di anni dopo, a ritrarlo in questi termini: "Impegnato in più di un centinaio di battaglie, comandante di campo per circa dieci anni, esposto a privazioni che pochi uomini hanno conosciuto e con una taglia di centomila dollari sulla testa, è riuscito tuttavia a rimanere illeso e conservarsi in ottima salute. [...] Grazie soprattutto allo straordinario talento tattico di Lin, il I corpo d'armata distrusse, sconfisse e sviò senza mai subire una sola sconfitta, tutte le forze governative che gli furono mandate contro". L'operato di Lin non era immacolato come poteva sembrare dall'esterno, anche se questi fatti vennero alla luce soltanto nella seconda fase della Rivoluzione culturale. Venne rivelato, ad esempio, che il famoso scritto di Mao del gennaio 1930, Una scintilla può dare fuoco alla prateria, ufficialmente volto a sfatare "certe vedute pessimistiche", era in realtà una lettera a Lin Biao. Nel 1938, poco dopo l'invasione giapponese, Lin Biao rimase gravemente ferito e riparò a Mosca per seguire le cure di cui necessitava. Malgrado la degenza lo tenne lontano dalla Cina per quasi tutta la durata della guerra di resistenza al Giappone (poté infatti rimpatriare solo nel 1942), nel 1945 fu eletto nel Comitato centrale del PCC. Quando la guerra civile riprese nel 1947, Lin svolse un ruolo di primo piano: a lui fu infatti assegnato il compito di assicurare ai comunisti il controllo della Cina settentrionale. Nel novembre del 1948, al termine di una campagna durata due mesi, le forze di Lin occuparono Shenyang, strappando ai nazionalisti la Manciuria. Nel gennaio del 1949, le sue truppe entravano a Tianjin e a Pechino. Venticinque anni più tardi, la stampa cinese avrebbe denunciato la disobbedienza di Lin agli ordini di Mao in questo periodo e l'avrebbe accusato di avere deliberatamente offerto una via di fuga al Guomindang. Con la vittoria su scala nazionale e la proclamazione della Repubblica popolare cinese, Lin Biao mantenne inizialmente un basso profilo, forse a causa di gravi problemi di salute causati dai postumi della ferita del 1938. Ciononostante, fu uno dei dieci generali che ricevettero il titolo di maresciallo della Repubblica popolare cinese nel settembre 1955; nell'aprile dello stesso anno, era stato eletto membro dell'Ufficio politico del Comitato centrale del PCC. Lin Biao, che era stato peraltro nominato fra i cinque vicepresidenti del Comitato centrale nel 1958, tornò alla ribalta nel fuoco della conferenza di Lushan dell'agosto 1959, prima resa dei conti sulla politica del Grande balzo in avanti e delle comuni popolari agricole perseguita da Mao, che vide quest'ultimo in opposizione al maresciallo Peng Dehuai. Nel corso della conferenza, Lin si schierò apertamente dalla parte di Mao, anche se in privato sembra condividesse la posizione di Peng e ritenesse che Mao aveva "agito arbitrariamente sulla base di fatti inesistenti". Ad ogni modo, con la destituzione di Peng, Lin venne scelto per sostituirlo come ministro della Difesa e vicepresidente della Commissione militare centrale. Da questo momento, Lin si dedicò all'applicazione della linea militare di Mao per incrementare la propria posizione agli occhi del weida lingxiu (grande dirigente) della Cina popolare: campagne di educazione politica e di propaganda del pensiero di Mao vennero così avviate all'interno delle forze armate. Seguirono, nel 1965, un lungo articolo firmato da Lin Biao dal titolo Viva la vittoria della guerra popolare, nel quale invitava i popoli oppressi dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina a seguire e applicare le idee di Mao sulla rivoluzione nei paesi coloniali, e la prima edizione delle Citazioni dalle opere del presidente Mao (il famoso "libretto rosso"). La direttiva del 7 maggio del 1966, con la quale Mao invitava l'intero Paese a prendere esempio dall'Esercito popolare di Liberazione, ebbe anche l'effetto di rafforzare la posizione di Lin. All'alba della Rivoluzione culturale quindi, l'esercito (e, per associazione, Lin Biao) era visto come l'entità più fedele alla linea di Mao, mentre la burocrazia di Partito veniva generalmente associata a Liu Shaoqi, il "principale dirigente avviatosi sulla via capitalista". Con la decadenza di quest'ultimo dal rango di implicito successore alla guida del Partito, Lin era in prima linea per sostituirlo: fu così che l'XI Sessione plenaria dell'VIII Comitato centrale (agosto 1966) lo proclamò vicepresidente unico del Comitato centrale. Due anni dopo, il nuovo statuto del PCC approvato dal IX Congresso nazionale del Partito lo avrebbe consacrato a chiare lettere "stretto compagno d'armi e successore" di Mao. Diversi studiosi attribuiscono a Lin Biao un ruolo prevalentemente passivo nel corso della Rivoluzione culturale, per evitare di essere epurato a sua volta. Uno sguardo più attento ci mostra invece un Lin Biao molto attivo nel rivolgere la Rivoluzione culturale contro l'apparato del Partito e dello Stato cinesi, nell'esasperare il culto di Mao per legittimare se stesso, nel collocare i propri alleati nei posti chiave e nel promuovere la cosiddetta "ultrasinistra". Già nei primi giorni della Rivoluzione culturale, precisamente alla riunione dell'Ufficio politico del 18 maggio 1966, Lin aveva parlato della possibilità di un colpo di Stato reazionario che avrebbe restaurato il capitalismo in Cina; su questa base tentò di screditare veterani della rivoluzione come Zhu De, Chen Yi e He Long e altri dirigenti a capo di ministeri o istituti militari nevralgici. Segretamente si lanciò contro lo stesso Zhou Enlai manovrando il gruppo terroristico noto come "5.16". L'idea del colpo di Stato era però contraria al "pacifico scivolamento" prospettato da Mao, il quale era convinto che il capitalismo non sarebbe stato restaurato con una prova di forza o un'invasione esterna, bensì attraverso l'azione pacifica dei revisionisti, gli "agenti della borghesia" all'interno del Partito comunista, che non avrebbero distrutto ma sfruttato l'apparato del Partito e dello Stato socialista per instaurare "una dittatura di tipo fascista tedesco, una dittatura di tipo hitleriano". Lin Biao poteva inoltre contare su alleati potenti: primo fra tutti Chen Boda, sua eminenza grigia e presidente del potente Gruppo centrale per la Rivoluzione culturale. A capo dell'apparato propagandistico del Partito, Chen poteva promuovere l'immagine di Lin Biao, coprendolo dietro l'adulazione ossessiva di Mao. Oltre a Chen, anche il capo di Stato maggiore dell'Esercito popolare, Huang Yongsheng, il comandante dell'aviazione, Wu Faxian, e il commissario politico della marina, Li Zuopeng, dovevano a Lin la loro fortuna; successivamente Mao li avrebbe definiti i "gran generali" di Lin Biao. Infine, la sua ambiziosa moglie (nonché segretaria) Ye Qun sfruttò ampiamente la posizione del marito, arrivando a sedere nella Commissione militare e nell'Ufficio politico. Il IX Congresso del PCC del 1969 segnò la vittoria della linea maoista e la sconfitta della "linea revisionista borghese" di Liu Shaoqi. Benché Lin Biao si trovasse indubbiamente sul carro dei vincitori, la caduta di Liu rendeva ormai incontenibili le contraddizioni con Mao. Tali contraddizioni sarebbero esplose in occasione della II Sessione plenaria del IX Comitato centrale del PCC, convocata a Lushan fra agosto e settembre 1970 in preparazione della nuova Assemblea popolare nazionale. Nel corso della riunione, Chen Boda presentò un documento per attestare che Mao fosse un "genio" (formulazione che invece il diretto interessato respingeva, e che Chen utilizzava per favorire l'immagine di Lin Biao) e propose di restaurare la carica di presidente della Repubblica, vacante dalla destituzione di Liu Shaoqi nel 1968. Dal momento che Mao aveva già chiarito di non volere tale titolo, si trattava di una manovra per favorire l'ascesa di Lin Biao, unico candidabile al suo posto. Allarmato, Mao lanciò una campagna di critica contro Chen e l'idealismo; benché non nominato, il bersaglio implicito era in realtà lo stesso Lin Biao. A questa campagna politica corrisposero infatti misure pratiche quali la riorganizzazione della Commissione militare, delle regioni militari e dei comitati provinciali del Partito escludendo gli uomini di Lin. Come notano MacFarquhar e Schoenhals, "un fatto appare incontestabile: dal plenum di Lushan in avanti, Mao mise Lin Biao e i suoi alleati sotto continua e sempre maggior pressione. [...] Lin Biao non poteva avere dubbi che il suo radioso futuro politico come erede designato fosse al tramonto". Fu in un estremo tentativo di risollevarsi che Lin Biao, suo figlio Lin Liguo, Ye Qun e altri progettarono di ricorrere ad un colpo di Stato, e nella primavera del 1971 elaborarono un manifesto: lo Schema di Progetto 571 (in cinese, 571 wǔqīyī è quasi omofono di wǔqǐyì, "insurrezione armata"). In questo piano, Mao (soprannominato B-52) veniva accusato di essere "paranoico e sadico" e si scriveva di lui: "Oggi si serve di un gruppo per batterne un altro. Domani si serve di questo per battere quello [...] uno può essere suo ospite oggi e suo prigioniero domani". Ormai, a detta dei cospiratori, era in corso una "lotta all'ultimo sangue". Apparentemente, il piano precipitò quando Lin Liguo tentò invano di fare assassinare Mao nel settembre 1971, mentre stava facendo ritorno a Pechino a seguito di un viaggio di ispezione nel sud durante il quale aveva parlato di una "decima lotta fra le due linee" in corso contro Lin Biao. Nella concitazione che ne seguì, il 13 settembre Lin e la sua famiglia tentarono di fuggire in volo verso l'URSS, ma l'aereo sul quale viaggiavano, a corto di benzina per via della frettolosa partenza, precipitò in Mongolia uccidendo tutti i passeggeri. L'esito della vicenda di Lin Biao (che fu tacciato come "arrivista borghese, cospiratore, doppiogiochista controrivoluzionario, rinnegato e traditore") appare tuttora sorprendente a molti studiosi, che trovano inspiegabile il tragico esito del rapporto fra lui e Mao appena due anni dopo la proclamazione di Lin a successore, generalmente attribuito all'arbitrio e alla sete di potere del "grande timoniere". In realtà tra i due esistevano da tempo profonde contraddizioni ideologiche e politiche che non potevano restare sopite dopo la liquidazione di Liu Shaoqi, il nemico comune che li aveva tenuti uniti. Perché allora Mao lo accettò come "stretto compagno d'armi" all'inizio della Rivoluzione culturale se tanto profonde erano le divergenze fra i due? Come nota Han Suyin, "in quel periodo Mao era in minoranza, e il primo problema era quello di liberarsi dei "seguaci della linea capitalistica all'interno del partito"". Parafrasando un proverbio cinese, è altrettanto probabile che Lin Biao, tutt'altro che passivo spettatore degli eventi che lo coinvolgevano, abbia "cavalcato la tigre senza riuscire a scenderne", ossia abbia tentato di sfruttare la situazione favorevole per elevare la propria posizione, finendone però travolto. 3. Confucio. Padre della tradizione Come si è già detto, alla cultura cinese tout court viene generalmente associato il nome di Confucio; un nome peraltro latinizzato (forse ad opera di Matteo Ricci) dall'originale Kǒng Fūzǐ, letteralmente "maestro Kong" (nei Dialoghi è solitamente indicato semplicemente come "il Maestro"), a sua volta un onorifico del suo vero nome: Kong Qiu. Confucio nacque e visse nel periodo delle Primavere e degli Autunni (771-476 a.C.), un'epoca di passaggio alla società feudale, caratterizzato dalla crisi dell'impero Zhou (una sorta di archetipo del più noto e longevo impero cinese del 221 a.C.-1911 d.C.) e dai primi scontri fra le tante nazioni minori che si sarebbero combattute nel successivo periodo degli Stati Combattenti (475-221 a.C.). Come spesso accade nelle epoche di grande disordine, questi periodi furono molto fecondi dal punto di vista filosofico, vedendo infatti la nascita delle cosiddette "cento scuole di pensiero", fra le quali, oltre al confucianesimo, anche altre destinate a segnare in profondità la storia e la cultura della Cina: il taoismo, il legismo, il moismo. Le informazioni biografiche a nostra disposizione sono estremamente ridotte, nonché assai posteriori. La tradizione vuole che Kong Qiu nacque il 28 settembre 551 a.C.; lo Shiji di Sima Qian narra che crebbe nello stato di Lu (penisola dello Shandong), dopo che la sua famiglia fu costretta ad abbandonare lo stato di Song per problemi politici. Egli apparteneva al ceto sociale in ascesa degli shi, intermedia fra aristocrazia e gente comune, e in gioventù svolse numerosi lavori umili prima di dedicarsi all'insegnamento. È Confucio stesso, nei Dialoghi, a fornirci alcuni stringati cenni autobiografici: "A quindici anni ero dedito allo studio, a trenta ero saldo [nell'osservanza delle norme rituali], a quaranta non avevo più dubbi, a cinquanta compresi il decreto celeste, a sessanta sapevo ascoltare e a settanta seguivo gli impulsi del mio cuore senza incorrere in trasgressioni". Ben presto, ancora giovane, radunò attorno a sé un gruppo di discepoli con i quali viaggiò di regno in regno. Prima di fare ritorno a Lu, sostò presso lo stato di Qi, il cui duca Jing prese l'abitudine di consultarlo sul governo e sugli antichi riti. Rimpatriato, Confucio intraprese la carriera politica. Da incarichi più modesti venne via via promosso fino a diventare ministro dei lavori pubblici, poi ministro della giustizia e infine, all'età di cinquantasei anni, primo ministro del duca Ding. Nel tentativo di distrarre quest'ultimo dagli affari di governo con piaceri mondani, il duca Jing dello stato rivale di Qin gli inviò in dono cavalli e bellissime danzatrici. Infastidito dall'immoralità del duca, Confucio lasciò il regno di Lu per oltre dieci anni di peregrinazioni che lo portarono (sempre accompagnato dai fidi discepoli) negli stati di Cai, Chen, Chu, Song e Wei, in nessuno dei quali ricoprì incarichi di governo, ma non si risparmiò nei suoi consigli sull'arte del governare. Fatto ritorno a Lu, passò gli ultimi anni in solitudine e morì nel 479 a.C. a settantadue anni. Nell'assolvimento dei suoi compiti politici, Confucio fu instancabile nel (sia pure vano) tentativo di educare i sovrani presso i quali prestò servizio ai principi di moralità e virtù che egli esprimeva. Infinitamente più delle azioni, furono le idee e il pensiero a sopravvivere a Confucio. Essi costituiscono la base della scuola Ru, letteralmente la "scuola degli intellettuali" (in cinese, infatti, il termine "confucianesimo" non esiste). I fondamenti del pensiero di Confucio sono racchiusi nei già citati Dialoghi, ma a lui è attribuita anche la compilazione (o quantomeno l'ispirazione) dei Cinque Classici: il Classico dei mutamenti, il Classico dei versi, il Classico dei documenti, il Libro dei riti e gli Annali delle primavere e autunni. Il cuore della dottrina confuciana è il concetto di ren, del quale è difficile dare una traduzione univoca; è possibile renderlo come "senso di umanità" o "benevolenza" (lo stesso carattere si compone del radicale di "persona" e del numero due, quasi a sottolineare il rapporto di reciprocità che esprime). Questa idea di rapporto benevolo e altruistico con gli altri è ulteriormente sintetizzato da shu, la "mansuetudine": "Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri". Indissociabile dal ren è lo spirito rituale li: l'osservanza dei riti tradizionali "attiva" il ren e, allo stesso tempo, il ren si manifesta attraverso i riti. Così Confucio istruiva il discepolo Yan Hui: "Vincere il proprio io per rivolgersi ai riti, questo è il ren [...] Non guardare e non ascoltare ciò che è contrario ai riti; non dire e non fare ciò che è contrario ai riti". La scrupolosa osservanza dei riti, a partire dalla pietà filiale xiao, assicura l'armonia sociale. L'ordine sociale, infatti, comincia proprio dal rispetto della gerarchia familiare tradizionale, per traslare al rispetto della gerarchia sociale e politica: il suddito deve rispettare lealmente il sovrano esattamente come il figlio deve rispettare il padre in virtù dei loro ruoli sociali. "Che il sovrano agisca da sovrano, il ministro da ministro, il padre da padre e il figlio da figlio", sentenzia Confucio. Come spiega Anne Cheng: "Poiché la famiglia è percepita come un'estensione dell'individuo e lo stato come un'estensione della famiglia, e poiché il principe è rispetto ai suoi sudditi ciò che è un padre rispetto ai suoi figli, non v'è soluzione di continuità fra etica e teorica politica, in quanto la seconda altro non è che un'estensione della prima alla dimensione comunitaria". Secondo l'ideale politico confuciano, l'uomo di valore junzi reso sovrano dovrebbe governare unicamente grazie alla virtù de, ossia "il carisma che promana da qualcuno e che fa sì che egli si imponga senza alcuno sforzo particolare", e avrebbe il compito di armonizzare i rapporti sociali. Confucio del resto fu profondamente turbato dagli sconvolgimenti dell'epoca nella quale si trovò a vivere e rimpianse l'ordine garantito dall'età d'oro della dinastia Zhou, che idealizzò come modello del buongoverno. Tale ideale politico fu ulteriormente approfondito da Mencio (370-289 a.C.), l'erede spirituale di Confucio i cui insegnamenti approfondiscono e sviluppano il confucianesimo, specialmente sul piano della teoria politica. Mencio dichiarò che il sovrano, per poter essere legittimato a governare, deve essere uomo di valore osservante del ren; in caso contrario, è delegittimato ed è pertanto lecito il suo rovesciamento. Addirittura, in un passaggio del Mengzi, viene esplicitata la superiorità dell'etica confuciana rispetto alla politica: "Zi Si disse al sovrano di Lu: "Se si considera la nostra rispettiva posizione, voi siete sovrano e io sono suddito; come potrei osare stringere amicizia con un principe? Ma se si considera la nostra rispettiva virtù, siete voi che dovete servirmi: come osate ambire alla mia amicizia?". Mencio recuperò l'idea del mandato celeste, conferito (o revocato) ai sovrani in base alla loro moralità. Tale idea del mandato celeste (retaggio della dinastia Zhou) avrebbe tormentato gli imperatori successivi, i cui sottoposti, in caso di disastri naturali o altre sventure, si sarebbero sentiti legittimati a insorgere contro di loro, considerando queste calamità come un segno della revoca del mandato da parte del Cielo. Il sovrano che governa secondo ren (cioè secondo gli insegnamenti di Confucio e Mencio) è quindi il sovrano ideale che gode del favore del Cielo, è "padre e madre del popolo" e deve pertanto godere dell'assoluta obbedienza dei suoi sudditi. "Mencio", precisa Anne Cheng, "non esce comunque dallo schema tradizionale, autoritario e piramidale. Il governo tramite il ren non implica una soppressione della gerarchia politica e sociale, al contrario: il ren rappresenta il miglior avallo della gerarchia in quanto ne costituisce la giustificazione morale". 4. Il Pi Lin Pi Kong All'indomani del fallimentare tentativo di colpo di Stato di Lin Biao, il Partito comunista venne attraversato dalla campagna di critica a Lin e rettifica dello stile di lavoro, sovrintesa da Mao e coordinata dal primo ministro Zhou Enlai, il quale era stato incaricato di occuparsi dal lavoro quotidiano del Comitato centrale. Venne resa pubblica una mole di documenti dettagliati, fra cui le dichiarazioni di Mao durante il viaggio d'ispezione dell'agosto-settembre 1971, tre opuscoli dal titolo La lotta per abbattere il colpo di Stato controrivoluzionario del blocco antipartito Lin-Chen, il rapporto del gruppo d'inchiesta sul caso Chen Boda. Dal 21 maggio al 23 giugno 1972 a Pechino si tenne una conferenza nazionale che vide la partecipazione di responsabili del Comitato centrale, delle istanze locali e degli organi militari. In questa occasione, Zhou disse che lo "spirito" della campagna consisteva in "criticare, smascherare e distruggere il blocco antipartito di Lin Biao, educare e unire le grandi schiere dei quadri". Analoghe conferenze a livello locale si sarebbero tenute fra luglio e agosto. Infine vennero prese misure pratiche per invertire le tendenze ultrasinistre nell'apparato economico (che Lin fu accusato di avere sabotato con il suo "stile anarchico"), nelle comuni popolari, nel lavoro di fronte unito e nella politica verso le minoranze nazionali. L'obiettivo ideologico della campagna era criticare a fondo e liberarsi dell'influenza della linea di Lin, che Mao definì ultrasinistra nella forma ma ultradestra nella sostanza. Questa definizione sarebbe stata molto importante per la successiva evoluzione nel più esteso Pi Lin Pi Kong. La campagna, inoltre, doveva preparare il terreno ideologico e politico al X Congresso nazionale del Partito, che si sarebbe tenuto di lì a poco, anticipato di un anno rispetto alla naturale scadenza statutaria a causa dell'affare Lin-Chen. Il X Congresso si tenne dal 24 al 28 agosto 1973, in rappresentanza di 28 milioni di militanti. Esso fu molto importante perché sconfessò chi si aspettava che la caduta di Lin Biao avrebbe portato al ritiro o alla sconfitta della Rivoluzione culturale: infatti, tirando le somme della critica a Lin, riaffermò la validità della linea del Congresso del 1969, rilanciò la teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato e ribadì la lotta al revisionismo. Nel rapporto politico a nome del Comitato centrale, Zhou Enlai disse: "Prima di tutto, dobbiamo continuare a svolgere bene la critica a Lin e rettifica dello stile di lavoro" Il Congresso lanciò inoltre una parola d'ordine che sarebbe stata centrale nella successiva campagna anticonfuciana: quella di "andare controcorrente". "È necessario per noi", disse Zhou, "acquisire la capacità di riconoscere e correggere in tempo [le tendenze negative]. Nel momento in cui vediamo una tendenza sbagliata avvicinarsi a noi come una corrente impetuosa, non dobbiamo avere paura di fronteggiarla, dobbiamo osare andare controcorrente e raccogliere il nostro coraggio per reggere all'impatto. Come dice il presidente Mao: "Andare controcorrente è un principio marxista-leninista"". Mao intanto aveva maturato la convinzione che la sola critica contro Lin Biao non era sufficiente. Era invece necessario andare ancora più a fondo nella trasformazione della concezione del mondo del popolo cinese, per poter evitare il ripetersi di casi come quelli di Liu Shaoqi e Lin Biao (i quali erano passati dalla posizione di successore designato a quella di "principale dirigente avviatosi sulla via capitalista", il primo, e "superspia", il secondo), scongiurare il pericolo di restaurazione del capitalismo dopo la morte di Mao ed educare non uno ma "milioni di successori alla causa del proletariato". Ciò non sarebbe stato possibile senza eliminare alla radice un pensiero giudicato tanto reazionario, tanto controrivoluzionario e tanto inibitore delle coscienze, ma al contempo tanto radicato nella mentalità dei cinesi, come il confucianesimo. Mao sollevò la questione nel luglio del 1973, quando disse: "Dobbiamo prestare attenzione alla sovrastruttura e a padroneggiare la linea politica. Dobbiamo studiare un po' di storia. Dobbiamo criticare Confucio e l'ideologia del rispetto del confucianesimo"3. Successivamente aggiunse: "[...] i confuciani si riempiono la bocca di umanità, rettitudine, via e valore, sono per riverire il passato e negare il presente, vogliono invertire le ruote della storia"4. Il concetto marxista della sovrastruttura, evocato più volte nel corso della Rivoluzione culturale, sarebbe divenuto centrale nel corso del Pi Lin Pi Kong. Elaborando la sua critica della società divisa in classi, Marx aveva scritto: "Nella produzione sociale delle loro esistenze, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendenti dalle loro volontà, in particolari relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo delle loro forze materiali di produzione. La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura della società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura politica e sociale ed a cui corrispondono forme definite di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale della vita sociale, politica ed intellettuale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza"5. Al cambiamento della base economica fa quindi seguito il cambiamento della sovrastruttura ideologica. Lenin e Mao avrebbero successivamente approfondito il concetto precisando che questo mutamento non avveniva in via meccanica: alla base economica socialista avrebbe potuto corrispondere, per un certo periodo di tempo, una sovrastruttura non socialista, lascito della precedente società capitalista. Su questa base Mao affermò che la lotta di classe, le contraddizioni e i conflitti di classe perdurano anche nella società socialista, principalmente sul piano ideologico e culturale. Nel discorso marxista-leninista, quindi, conformare la sovrastruttura alla base economica socialista significa eliminare ciò che resta della cultura (politica, morale, diritto, arte, letteratura, ecc.) capitalista, che altrimenti può essere fonte di corruzione ideologica per il popolo e per lo stesso Partito comunista. Una corruzione perlopiù inconscia, perché nel tempo esse diventano "abitudine[,] la più terribile delle forze"6. Il consueto editoriale di capodanno del 1974 dei tre principali giornali cinesi (Renmin Ribao, Hongqi e Jiefangjun Bao) fu la prima occasione in cui la critica a Lin Biao venne ufficialmente e pubblicamente accostata ad una nuova campagna di critica contro Confucio: "Tutti i reazionari cinesi ed esteri", vi si lesse, "e i capi di tutte le linee opportuniste comparse nel corso della storia sono veneratori di Confucio. La critica a Confucio è parte integrante della critica a Lin"7. Sempre nel gennaio del 1974, l'Università di Pechino e l'Università Qinghua elaborarono congiuntamente un documento dal titolo: Lin Biao e i precetti di Confucio e Mencio. Questo lavoro, mettendo criticamente a confronto parole pronunciate o scritte da Lin Biao con le citazioni classiche di Confucio e Mencio, voleva dimostrare la loro sostanziale affinità ideologica. Mao diede la propria approvazione affinché il documento fosse diffuso su scala nazionale. Ciò avvenne tramite una circolare del Comitato centrale del PCC diramata il 18 gennaio, preceduta da una introduzione: "[Lin Biao] appartiene alla stessa categoria dei reazionari sull'orlo dell'estinzione. È uno di quelli che venerano Confucio e combattono il legismo, attacca Qin Shi Huang, fa degli insegnamenti di Confucio e Mencio l'arma ideologica reazionaria alla base del suo vano complotto per usurpare il potere nel Partito e restaurare il capitalismo. Questo materiale raccolto dall'Università di Pechino e dall'Università Qinghua sarà di grande aiuto per continuare e approfondire la critica a Lin, criticare l'essenza ultradestra della linea di Lin Biao, continuare a sviluppare la critica dell'idea di venerare Confucio e combattere il legismo, rafforzare l'educazione ideologica e sul piano della linea politica"8. L'accostamento di Lin Biao a Confucio fu favorito dal rinvenimento di notevoli quantità di libri, opere di calligrafia, citazioni riguardanti Confucio e Mencio nell'abitazione dell'ex maresciallo a Pechino, prove materiali della venerazione di Lin per il confucianesimo che andavano ad aggiungersi alle già abbondanti prove teoriche individuate dai teorici cinesi. Il 2 febbraio, l'editoriale del Renmin Ribao, significativamente intitolato Portiamo fino in fondo la lotta per criticare Lin Biao e Confucio, diede inizio alla campagna Pi Lin Pi Kong. Nel corso della campagna, che investì tutta la Cina, si assistette ad una enorme diffusione dello studio della storia, della filosofia e della cultura a livello di massa. Venne promosso lo studio dei classici del marxismo-leninismo e degli scritti di Mao; significativamente, nel 1972 era stata pubblicata l'edizione cinese delle Opere scelte di Marx ed Engels. Un elenco sterminato di contributi originali, approfonditi e documentati, riguardanti una miriade di questioni e campi di indagine, venne prodotto da gruppi teorici, gruppi di critica, gruppi di scrittura organizzati all'interno delle fabbriche, delle comuni, delle scuole, delle università, degli uffici, dei comitati del Partito e delle compagnie dell'Esercito popolare di Liberazione. I giornali traboccavano di articoli che incoraggiavano la campagna a proseguire la lotta contro il revisionismo e la "rivoluzione nella sovrastruttura", rifiutando radicalmente concetti e costumi entrati nella mentalità e nella quotidianità del popolo cinese. Il mondo letterario e artistico fu investito in pieno e sollecitato a produrre opere che respingessero i valori tradizionali e promuovessero quelli rivoluzionari. Sul piano della ricerca storica, ebbe grande risalto e diffusione lo studio della lotta fra la scuola confuciana e quella legista, le due scuole di pensiero più antitetiche della storia cinese, ribaltando verdetti storici dati per certi, come quello su Qin Shi Huang. Grande popolarizzazione ebbero le opere di Lu Xun, considerato il precursore della Rivoluzione culturale. È particolarmente interessante notare che, se nel corso dei secoli i valori confuciani vennero assorbiti passivamente dalla stragrande maggioranza illetterata della popolazione cinese, soprattutto attraverso quella "forza dell'abitudine" denunciata da Lenin, durante il Pi Lin Pi Kong quegli stessi valori vennero ripudiati attivamente dalle masse popolari, molto spesso criticando direttamente i testi antichi e il loro significato contemporaneo. Alla critica verso l'arroganza degli intellettuali e le tendenze burocratiche fecero seguito rinnovati appelli rivolti ai quadri affinché prestassero ascolto alle masse popolari. Vennero attaccati i "confuciani dei giorni nostri", anche nelle persone di dirigenti del PCC e dei Comitati rivoluzionari (i nuovi organi di governo sorti durante la Rivoluzione culturale). All'inizio del 1974 si sviluppò con particolare vigore un movimento contro chi aveva sfruttato la propria posizione altolocata per far ammettere i figli all'università o evitare che fossero inviati a rieducarsi nelle campagne. "Caratteristica significativa del movimento", nota Han Suyin, "è stata la partecipazione rilevante delle donne. [...] Già nel corso della rivoluzione culturale le masse femminili si erano risvegliate, partecipando in prima persona all'attività politica; questa campagna le ha ulteriormente mobilitate, concentrandosi sulle pressioni culturali e psicologiche, sulla secolare oppressione a cui sono state sottoposte le donne". Numerosi articoli sull'emancipazione femminile apparvero sui giornali, casi di donne comuniste modello che osavano "andare controcorrente" vennero pubblicizzati su scala nazionale e venne ripreso il controllo delle nascite. È importante notare che la campagna cominciò con una forte spinta dal basso ed ebbe una larga partecipazione di massa, sempre comunque sotto la direzione politica del Partito9. La sua straordinarietà sta nel fatto che temi considerati accademici ed elitari vennero discussi e criticati dalle vaste masse popolari, ribaltando completamente le gerarchie sociali di stampo confuciano. A riguardo è molto interessante quanto ha scritto Han Dongping nell'ambito della sua indagine sullo svolgimento della Rivoluzione culturale in un villaggio cinese: "Per molti appartenenti all'élite istruita, la campagna anti-Lin Biao e anti-Confucio sembrava vaga e astratta. Ma aveva un significato specifico per la gente ordinaria. Il tema principale della campagna era criticare la mentalità elitaria presente nella cultura cinese. [...] Agli occhi dell'élite cinese, il lavoro agricolo era un'occupazione di basso rango. Il movimento incoraggiò la gente delle campagne a rialzare la testa e l'aiutò a riconoscere il proprio valore. In questo senso, la campagna aiutò i comuni abitanti dei villaggi cinesi a scoprire la propria dignità". Non è facile identificare una data di conclusione del Pi Lin Pi Kong, anche perché in effetti non venne mai emanato alcun editto ufficiale dichiarandone la fine. Nel rapporto sulla revisione della Costituzione della Repubblica popolare presentato alla IV Assemblea popolare nazionale nel gennaio 1975, Zhang Chunqiao disse: "Dobbiamo allargare, approfondire e continuare il movimento in corso per criticare Lin e Confucio e occupare tutti i fronti con il marxismo". Nei mesi successivi l'enfasi si spostò sulle successive e più urgenti campagne, ma i temi sollevati dal Pi Lin Pi Kong avrebbero continuato a occupare l'ambiente politico e culturale cinese fino alla morte di Mao. 4.1. La scintilla: la questione del genio Nella prima fase della Rivoluzione culturale, l'apparato propagandistico nelle mani di Tao Zhu prima e di Chen Boda dopo esaltò Mao al massimo livello, presentandolo come un condottiero infallibile e un teorico impareggiabile il cui pensiero aveva superato addirittura il marxismo-leninismo. Mao non era entusiasta del culto costruito attorno alla sua figura e in più occasioni intervenne in via diretta per attenuarlo. In realtà, questi espedienti propagandistici erano probabilmente rivolti più a consolidare l'immagine dello "stretto compagno d'armi" Lin Biao all'ombra del "maestro" Mao, nonché a rappresentare quest'ultimo come un nuovo imperatore lontano e inaccessibile dal popolo, contrariamente alla sua abitudine di scendere fra le masse e stare a contatto con loro. Questa idea sembra supportata da Han Suyin, la quale scrive: "Per assicurarsi la successione, Lin Biao aveva utilizzato una tradizione molto più antica del marxismo, quella del capo confuciano, superuomo, genio, rappresentante della volontà del cielo, fedele ai "riti" e alla tradizione". La questione esplose nel 1970, nell'ambito del dibattito sulla nuova Costituzione, quando Lin e il suo gruppo cercarono di aggiudicarsi la presidenza della Repubblica popolare. Naturalmente, ciò non poteva essere fatto per via diretta: era necessario che fosse Mao ad accettare la carica, e Lin ne sarebbe stato il naturale vice. L'esplicito rifiuto di Mao a ricoprire nuovamente il ruolo di capo di Stato, già svolto dal 1954 al 1959, e la sua espressa contrarietà a reinserire la carica di presidente nella nuova Costituzione non bastarono a calmare le acque nella commissione incaricata della revisione costituzionale, dove gli uomini di Lin e Chen si scontrarono ripetutamente con Kang Sheng e Zhang Chunqiao. La II Sessione plenaria del IX Comitato centrale del PCC si tenne fra l'agosto e il settembre dello stesso anno proprio per approvare il progetto di Costituzione. Inaspettatamente, Chen Boda presentò un documento per dimostrare che Mao era un "genio" e che tale formulazione non era in contraddizione con il marxismo; anzi, affermare il contrario avrebbe significato opporsi a Mao. L'obiettivo celato era però rafforzare ulteriormente l'autorità di Lin, il quale, in quanto successore di Mao, sarebbe stato a sua volta presentato come il capo geniale rivestito di un'aura di sacralità. "Ignorando l'ordine del giorno prestabilito e il lavoro dei gruppi di lavoro del Comitato centrale nei quattro mesi precedenti durante i quali Mao Zedong aveva ottenuto la maggioranza sulla questione di non ricostituire la presidenza, Lin Biao, nascondendosi dietro le lodi a Mao, parlò abbondantemente della questione del genio, affermando: "Sarà vantaggioso confermare in via legale la posizione del grande dirigente il presidente Mao come capo della nazione e comandante supremo"". Mao replicò con un contro-documento nel quale definì "chiacchiere e sofisterie" le parole di Chen, "che si spaccia per conoscitore del marxismo ma all'atto pratico fondamentalmente non ne sa nulla", e ribadì: "Quello che ho inteso dire principalmente è che è grazie alla pratica sociale degli uomini, e non grazie al genio degli uomini, che il mondo fa progressi"10. La successiva campagna contro l'idealismo e l'apriorismo ideologico venne diretta contro Chen, ma Mao era consapevole che il vero beneficiario della questione del genio sarebbe stato Lin, come palesò successivamente: "Io e il compagno Lin Biao abbiamo parlato", dichiarò durante un viaggio di ispezione, "ma alcune cose che ha detto non sono molto appropriate. Ad esempio ha detto che una volta ogni centinaia di anni nel mondo e ogni migliaia di anni in Cina compare un genio. Vi pare che questo corrisponda ai fatti? Marx ed Engels erano contemporanei e fra loro e Lenin e Stalin non sono passati neanche cento anni, quindi come si può dire che un genio compare una volta ogni centinaia di anni? In Cina abbiamo avuto Chen Sheng e Wu Guang, poi Hong Xiuquan e Sun Yat-sen, quindi come si può dire che un genio compare una volta ogni migliaia di anni? E poi c'è tutto il vociare sui "picchi" raggiunti e sul fatto che "una frase ne vale diecimila". Non vi pare un po' esagerato? Una frase resta pur sempre una frase, quando mai potrebbe valere quanto diecimila altre frasi?". Nemmeno quella del genio era un'idea originale di Lin Biao, ma affondava le sue radici nel pensiero confuciano. La sua critica, ripartendo dalla campagna anti-idealista del 1970-1971, trovò largo spazio nel Pi Lin Pi Kong, dal momento che il concetto di "genio" è in netto contrasto con il principio maoista secondo cui "il popolo e solo il popolo è la forza motrice che crea la storia del mondo"11. Se è vero che Confucio diede sempre grande importanza all'educazione per migliorare le proprie qualità morali, è altrettanto vero che credeva nell'esistenza del genio innato, come dimostrato da un brano fondamentale dei Dialoghi, che così recita: "Coloro che sin dalla nascita sono dotati di sapienza sono uomini superiori; seguono quelli che acquistano la sapienza con lo studio, poi quelli che pur versando nelle difficoltà si sono applicati allo studio e infine, ultimi tra gli uomini, coloro che, versando nelle difficoltà, non sono riusciti ad applicarvisi". Secondo un'interessante edizione critica dei Dialoghi pubblicata nel 1974 dall'Università di Pechino, il passaggio finale andrebbe reso in questo modo: "Imbattendosi nelle difficoltà e non potendo studiare, la gente comune appartiene a questa categoria di uomini inferiori". Questo, secondo gli autori, rende ancora più esplicito quanto è già implicito nella versione classica: le prime due categorie sono individuabili negli elementi della classe schiavistica dominante sotto la dinastia Zhou e soppiantata dal feudalesimo in epoca Qin, mentre le ultime due categorie corrispondono agli schiavi ed ai lavoratori, in una "svergognata adulazione di Confucio verso i proprietari di schiavi". Secondo questo schema, applicabile a tutte le classi sfruttatrici succedutesi, la plebe e i lavoratori vengono considerati di rango inferiore, "perciò il loro sfruttamento e la loro oppressione sono giustificati, ma la ribellione del popolo lavoratore e la rivoluzione sono sbagliate. Anche l'arrivista borghese Lin Biao, nel tentativo di giustificare il suo complotto controrivoluzionario per restaurare il capitalismo, si è appoggiato a questa assurdità reazionaria". Pare inoltre che Lin abbia affermato in una occasione che le capacità intellettuali e materiali degli individui dipendono per metà da caratteristiche innate e per metà dall'istruzione, rispecchiando il pensiero di Confucio. Un altro articolo del Renmin Ribao conteneva un esplicito ribaltamento dell'idea di genio. Esaltando i successi del socialismo cinese, esso affermava: "Abbiamo ottenuto tutto questo grazie al duro lavoro dei nostri operai e sulla saggezza collettiva. Colui che Confucio definisce "saggio" in realtà non è che un parassita ignorante distaccato dal lavoro manuale, distaccato dalle masse e distaccato dalla pratica concreta, che non muove mai un dito e non sa distinguere i cinque cereali". Quindi, se il genio non è l'individuo dotato di capacità innate fuori dal comune, ma la saggezza collettiva della classe rivoluzionaria e del popolo stesso, la cui "pratica sociale" consente al mondo di progredire, è evidente come questa idea sia da una parte profondamente anti-elitaria, e dall'altra combaci con l'obiettivo di Mao di creare "milioni di successori alla causa rivoluzionaria del proletariato". 4.2. "Autocontrollo e ritorno ai riti": un piano di restaurazione Come si è già visto nei capitoli precedenti, Confucio era considerato dalla storiografia comunista il rappresentante ideologico per eccellenza della classe dominante schiavista in declino che rimpiangeva i fasti del passato, di fronte all'ascesa della classe che si sarebbe definitivamente imposta con l'unificazione della Cina ad opera di Qin Shi Huang. Questa lettura è validata dall'esplicita ammirazione del grande pensatore cinese per la passata epoca Zhou, durante la quale la scrupolosa osservanza delle norme rituali avrebbe garantito l'esistenza della società ideale. Rifarsi alla formula "Autocontrollo e ritorno ai riti" avrebbe garantito, secondo Confucio, di poter agire secondo ren (senso dell'umanità, benevolenza). Il Pi Lin Pi Kong capovolse il significato del ritorno ai riti: non più una positiva riscoperta della rettitudine in un tempo di sconvolgimenti, bensì restaurazione dell'ordine sociale preesistente. Questa interpretazione è chiara nella già citata edizione critica dei Dialoghi, dove il suddetto brano viene così commentato: "È chiaro che per "ritorno ai riti" si intende restaurazione, e che "autocontrollo e ritorno ai riti" rappresenta il piano reazionario di Confucio per proteggere e restaurare la società schiavista. Successivamente, tutte le classi dominanti reazionarie della storia avrebbero fatto ricorso alla parola d'ordine reazionaria di "autocontrollo e ritorno ai riti" per soffocare sul piano ideologico le aspirazioni rivoluzionarie delle masse popolari". Negli stessi termini si era espresso, già nel 1973, anche Yang Rongguo, professore dell'Università Zhongshan di Guangzhou, in un articolo che è corretto definire "pionieristico" ai fini del Pi Lin Pi Kong: Confucio, un pensatore che sostenne testardamente il sistema schiavistico (Renmin Ribao, 7 luglio 1973). Allo stesso principio confuciano si sarebbe rifatto lo stesso Lin Biao, il quale, fra la fine del 1969 e l'inizio del 1970, tratteggiò più volte la medesima opera calligrafica: "In ogni tempo, di tutte le cose, l'unica veramente importante è esercitare autocontrollo e tornare ai riti". Non occorre precisare il palese collegamento fra queste parole, che vennero ritenute la quintessenza della linea reazionaria di Lin Biao, e l'insegnamento dell'antico Maestro, a sua volta fulcro del confucianesimo. L'editoriale del Renmin Ribao del 20 febbraio 1974 inquadrò il precetto confuciano di restaurazione dei riti come arma ideologica dell'intera cospirazione di Lin Biao: "Il piano politico di Lin Biao per "restaurare i riti" consisteva nella ricostituzione della carica di presidente della Repubblica. [...] Il piano teorico di Lin Biao per "restaurare i riti" consisteva nella "teoria del genio". [...] Il contenuto di classe della "restaurazione dei riti" di Lin Biao è riportare alla ribalta la borghesia feudale e istituire la dinastia fascista Lin". Da quel momento, la critica contro questo fondamentale principio confuciano abbondò sui giornali e sulle riviste di critica, sviluppandosi principalmente su due fronti: da una parte, proseguirono gli articoli volti a dimostrare la natura reazionaria del concetto di "ritorno ai riti", che in ultima analisi significava tornare ai valori tradizionali contro i quali la Rivoluzione culturale si stava scagliando con tanta veemenza. Dall'altra, fu approfondita la critica del "piano reazionario" di Lin Biao basato su tale concetto. Il Wen Hui Bao di Shanghai, ad esempio, sottolineò come la restaurazione dei riti fosse un espediente ideologico a disposizione di tutte le classi dominanti in declino o delle classi rovesciate per mantenere o restaurare il proprio potere a discapito della nuova classe sociale in ascesa: "Le epiche lotte condotte per migliaia di anni dal popolo cinese contro le classi sfruttatrici reazionarie sono state tutte rivolte a rompere le catene dei "riti" e rovesciare il potere dei reazionari. Al contrario, le lotte all'ultimo sangue condotte dalla classe dei proprietari di schiavi, dalla classe feudale e dalla borghesia sono state tutte rivolte a salvaguardare questi "riti". Persino dopo il loro rovesciamento sperano di poter restaurare questi "riti"". Particolarmente interessante l'uso dell'espressione "catene dei "riti"" poiché, in effetti, Confucio individuava nell'osservanza delle norme rituali il metodo per fissare l'ordinamento gerarchico della società. Tutto il discorso inoltre si inserisce perfettamente nel contesto della Rivoluzione culturale e nel suo dichiarato obiettivo di impedire il ritorno al potere della borghesia attraverso una restaurazione del capitalismo per subdole vie pacifiche e culturali. Una ulteriore analogia quasi testuale a supporto dell'immagine di Lin come devoto discepolo di Confucio in materia di restaurazione fu possibile interpretando uno degli ultimi brani dei Dialoghi, nel quale viene lodato il governo benevolo della dinastia Zhou: "Restaurò i regni distrutti, assicurò discendenza alle stirpi interrotte, promosse i talenti perduti". È chiaro che, nell'interpretazione del Pi Lin Pi Kong, questo brano di chiara lode per un governo rispettoso delle norme del passato, ribadisce l'intenzione di Confucio di riportare in auge il sistema schiavistico con un esplicito appello alla restaurazione dell'aristocrazia schiavistica. Impossibile non scorgere una certa affinità con quanto Lin Biao e i suoi congiurati enunciavano in uno dei punti nello Schema di Progetto 571 (si ricordi che B-52 era il nome in codice per indicare Mao): "Concessione dell'emancipazione politica a tutti coloro che sono stati perseguitati da B-52 in passato in base ad accuse infondate". La critica del Pi Lin Pi Kong investì anche un altro fondamentale precetto confuciano strettamente legato ai riti: quello della rettifica dei nomi. Secondo Confucio, è necessario chiamare ogni figura istituzionale o familiare con il proprio nome affinché possa espletare appieno il suo ruolo e posizionarsi correttamente nella gerarchia sociale in base ai principi di pietà filiale e lealtà al sovrano. Anche la rettifica dei nomi venne messa in discussione, vista non come principio di riordino, bensì come gerarchizzazione della società per giustificare il dominio della classe dominante sfruttatrice. Su questa base i polemisti del Pi Lin Pi Kong si scagliarono contro i richiami di Lin Biao all'ordine e alla disciplina, e nel concreto contro il suo tentativo di ricostituire la carica di presidente della Repubblica: "[Lin] parlò della necessità di avere un "capo" dello Stato e, basandosi sulla "rettifica dei nomi" utilizzata da Confucio per "restaurare i riti", farfugliò che, senza un "capo" dello Stato, "i nomi non sarebbero rettificati e le parole non avrebbero peso"". Insomma, nonostante le epoche storiche differenti separate da un abisso di duemila anni, il ruolo del "ritorno ai riti" significa invariabilmente invertire la storia e bloccare lo sviluppo della lotta di classe, che nella dottrina marxista rappresenta il vero motore del progresso storico. "Il "ritorno ai riti" di Lin Biao e il "ritorno ai riti" di Confucio, malgrado siano diverse le epoche e il sistema di sfruttamento che intendono restaurare, in sostanza sono la stessa cosa. La loro linea politica consiste nella restaurazione della vecchia società sfruttatrice marcia e decaduta, nell'opporsi al progresso ed alla rivoluzione e nel vano tentativo di invertire le ruote della storia". 4.3. Umanità e mansuetudine: miùlùn reazionarie Come si era già accennato nel capitolo "3. Confucio. Padre della tradizione", nel vocabolario confuciano esiste un termine importantissimo, che Anne Cheng definisce "una parola in grado di guidare la condotta di tutta una vita": shu, la mansuetudine. È solo attraverso l'esercizio della mansuetudine che è possibile attivare ren, il senso dell'umanità, la benevolenza che è al centro di tutta la dottrina confuciana. Così infatti raccomanda il Maestro ai suoi discepoli: "Mansuetudine non è forse la parola chiave? Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri". In un altro passaggio, i discepoli riprendono la parola e riflettono sugli insegnamenti a loro impartiti (non va infatti dimenticato che i Dialoghi non sono un lavoro diretto di Confucio, bensì un'opera posteriore considerata la raccolta delle sue citazioni ad opera dei discepoli), giungendo a questa conclusione: "La Via del Maestro consiste nell'agire secondo mansuetudine e lealtà". È interessante menzionare che Anne Cheng, ripresa in italiano da Lamparelli (1989), rende zhōng con "lealtà verso se stessi"; al contrario, Lippiello (2006) si limita ad una traduzione più letterale: "massima lealtà". Si tratterebbe insomma di un'idea di benevola reciprocità e di fratellanza estesa a tutte le persone ("Fra i quattro mari tutti gli uomini sono fratelli", recita l'adagio confuciano). Del tutto diversa è l'interpretazione degli attivisti del Pi Lin Pi Kong. In premessa occorre precisare che questi ultimi, nella loro lotta per "innalzare la bandiera rossa su tutti i regni della sovrastruttura", si rifacevano ad un importante insegnamento di Mao secondo cui: "Nella società divisa in classi, ogni individuo vive come membro di una determinata classe"12. L'utopia della fratellanza universale si scontra così con l'esistenza di classi sociali in lotta fra di loro che dividono la società (e la stessa umanità) in campi antagonisti: "Quanto al cosiddetto "amore per l'umanità", da quando l'umanità è divisa in classi non è mai esistito un amore come questo, un amore che abbraccia tutto e tutti. Alle varie classi dominanti del passato piaceva predicare un tale amore, e molti saggi hanno fatto altrettanto, ma nessuno l'ha messo realmente in pratica, perché nella società divisa in classi questo amore è impossibile"13. In queste parole di Mao, sarebbe difficile non scorgere il ren nel "cosiddetto "amore per l'umanità"" e Confucio stesso fra i "molti saggi" che l'hanno teorizzato. Il Pi Lin Pi Kong respinse quindi la "lealtà" interpretandola come fedeltà "ai potenti" da parte dei sudditi, "al sovrano" da parte dei funzionari e "all'imperatore Zhou" da parte dei vassalli, allo scopo di non turbare l'ordine schiavistico. In altre parole, quella predicata da Confucio sarebbe una "lealtà" che lega i sottomessi ai propri superiori, ma soprattutto gli sfruttati ai loro sfruttatori. Al fine di comprendere il senso attribuito dai contingenti di critica del Pi Lin Pi Kong al fondamentale concetto di mansuetudine confuciana, è molto interessante citare integralmente il commento realizzato dalla succitata edizione critica dei Dialoghi apparsa nel 1974: "La cosiddetta "mansuetudine" di Confucio consiste nel principio da lui diffuso a destra e a manca: "Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri". In altre parole, all'interno della classe dei proprietari di schiavi tutti devono agire secondo le norme dei riti Zhou e conformarsi alla propria posizione, applicando reciprocamente il principio di "trattare gli altri come tratteresti te stesso", allo scopo di salvaguardare l'unità controrivoluzionaria dell'aristocrazia schiavistica e soffocare la lotta rivoluzionaria fra i proprietari di schiavi e le nuove forze feudali in ascesa; al contrario, nei confronti degli schiavi e dei fautori del progresso, la via della "mansuetudine" di Confucio si trasforma in una crudele repressione: "Ciò che non vuoi sia fatto a te, fallo agli altri"". Un'analisi molto simile doveva investire un altro elemento fondamentale del percorso confuciano verso la condizione virtuosa ideale: zhōng yōng, la dottrina del mezzo, resa anche come giusto mezzo o come "Mezzo giusto e costante" (Anne Cheng), definita da Confucio l'"esigenza suprema" di ciascuno, un'operazione spirituale interna per soddisfare una "esigenza di equilibrio, d'equità e di misura" che conduce alla mansuetudine e, attraverso quest'ultima, come si è già visto, al ren, alla propria realizzazione come "uomo di valore". I contingenti critici cinesi individuarono immediatamente il contrasto fra la dottrina del mezzo e la teoria della violenza rivoluzionaria come "levatrice di ogni vecchia società, gravida di una nuova società" (Marx). Secondo la loro lettura, la dottrina del mezzo dice che "non bisogna esagerare, non bisogna oltrepassare il limite, in ogni cosa bisogna tenere un atteggiamento neutrale e al di sopra delle parti. Pertanto, tutto ciò che si poteva fare verso la classe schiavistica marcia e decadente, era proteggerla, non distruggerla". Non è secondario che praticamente tutti gli articoli dedicati alla critica della dottrina del mezzo mettessero il mezzo confuciano in relazione alle critiche rivolte da Liu Shaoqi e Lin Biao a quelli che ritenevano essere gli eccessi del socialismo cinese, come il Grande balzo in avanti, che i maoisti consideravano invece grandi successi. Fu scritto, in particolare, che Lin giudicava la dottrina del mezzo "una delle grandi virtù della nostra nazione". Secondo questa impostazione critica, tutto il concetto di ren perde completamente di significato a livello teorico, mentre diventa un'arma ideologica e culturale di oppressione e regresso a livello pratico. In definitiva quindi il ren non sarebbe altro che una miùlùn, termine molto usato durante la Rivoluzione culturale che sta ad indicare un argomento assurdo, o ancora una falsità, una vera e propria fallacia. 4.4. La storia rivista: ribaltare i verdetti confuciani Uno dei filoni di maggior successo e importanza del Pi Lin Pi Kong, estremamente interessante per chiunque si occupi di storia e cultura cinesi, è costituito dalla critica storica che si sviluppò durante la campagna. Una gigantesca mole di articoli e saggi venne prodotta nel periodo per rivalutare la millenaria storia cinese dal punto di vista del marxismo, con particolare riferimento, naturalmente, alle epoche degli Stati Combattenti e delle Primavere e Autunni, quando visse Confucio. Un primo tentativo di analisi di questo tipo era già stato compiuto dopo la fondazione della Repubblica popolare da storici cinesi, fra cui Guo Moruo, ma in ambito strettamente accademico e con un taglio meno netto rispetto a quello dei critici formatisi nella Rivoluzione culturale. Particolarmente esemplificativo e sintetico dell'enorme produzione del Pi Lin Pi Kong in merito, è il seguente scritto del già menzionato Yang Rongguo, una delle principali menti teoriche della campagna: "Confucio e successivamente i seguaci della scuola confuciana come Zi Si e Mencio erano i rappresentanti dell'ideologia della classe dei proprietari di schiavi in declino di allora, mentre i rappresentanti dell'ideologia della nuova classe feudale in ascesa erano personaggi come Shang Yang e Han Fei della scuola legista. [...] Dalla lotta ideologica fra i confuciani e i legisti possiamo vedere i cambiamenti epocali della società di allora. Promuovere lo sviluppo del nuovo sistema o cercare di preservare quello vecchio; rispondere ai bisogni della classe in ascesa in base allo sviluppo storico, o cercare di invertire la storia seguendo l'esempio degli antichi "re saggi"; promuovere la "legge" appropriata per lo sviluppo della nuova epoca, o cercare ostinatamente di mantenere i cosiddetti "riti" del vecchio sistema; risolvere i problemi contemporanei tenendo ben presente la lotta contemporanea concreta, o usare concetti soggettivi per definire la realtà oggettiva in evoluzione: tutto questo doveva trovare espressione nella lotta fra la classe progressista e la classe reazionaria dell'epoca". Il carattere progressista del legismo, insomma, stava nella sua enfasi sulla superiorità e l'efficacia dell'azione della legge, qui interpretata come veicolo per l'ascesa della classe feudale a classe dominante, diametralmente opposta al richiamo confuciano ai riti tradizionali, alla consuetudine e al passato. La dinastia Qin e la successiva dinastia Han, cioè la classe feudale eretta a dominio, si sarebbero servite del legismo per consolidare il proprio potere, per poi adottare il confucianesimo al fine di mantenerlo. In effetti il legismo, propugnando la superiorità della legge rispetto all'appartenenza ad una classe sociale o ad un ceto politico, con l'unica eccezione dell'imperatore, si adattava ad una fase di avvicendamento del potere politico e favoriva la delegittimazione del vecchio regime, mentre l'osservanza confuciana delle tradizioni, della consuetudine e dell'ordine prestabilito incarnata dai riti favoriva la reazione. Se i legisti erano i rappresentanti ideologici della classe feudale, il primo imperatore e unificatore della Cina, Qin Shi Huang, ne "era il principale rappresentante". Questo punto è degno di nota principalmente per due motivi. In primo luogo, Lin Biao nello Schema di Progetto 571 aveva definito Mao "il Qin Shi Huang di oggi"; una formulazione che non dispiaceva affatto al diretto interessato, il quale aveva espresso la sua ammirazione verso il Primo Imperatore in più occasioni. In secondo luogo, benché generalmente popolare fra i cinesi in quanto artefice dell'unificazione della Cina, Qin Shi Huang è considerato un tiranno sanguinario, accusato di avere sepolto vivi i saggi confuciani e bruciato i loro testi. Durante il Pi Lin Pi Kong questa immagine fu completamente capovolta e lo stesso rogo dei libri fu inquadrato storicamente nel contesto della lotta anticonfuciana e antireazionaria. Vediamo quindi una fedele applicazione del principio marxista per cui "Tutta la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classe": il progresso storico è determinato dall'avvicendamento delle classi al potere, che si verifica quando la nuova classe in ascesa, rappresentata dalle forze produttive avanzate, adegua le relazioni di produzione arretrate sostituendosi per via rivoluzionaria alla classe dominante. Al contempo, la lotta storica fra legismo e confucianesimo dimostrava l'esistenza di due linee contrapposte nel corso di tutta la storia cinese: una progressista, l'altra reazionaria. Secondo Mao, la lotta fra le due linee è il riflesso ideologico della lotta di classe: ciascuna linea rappresenta l'ideologia della classe dominante o della classe in lotta. Era perciò necessario che i comunisti restassero sulla linea proletaria e rivoluzionaria, mentre Liu Shaoqi e Lin Biao erano stati accusati di seguire la linea borghese e controrivoluzionaria pur facendo parte del Partito comunista. Lo studio del legismo e del suo scontro con il confucianesimo era perciò funzionale alla lotta contro il revisionismo, nella misura in cui dimostrava l'effettiva esistenza della lotta fra le due linee. In quest'ottica vennero pubblicate edizioni critiche e annotate di scritti di contemporanei di Confucio o autori della Cina antica e pre-imperiale ritenuti progressisti. Più in generale, la Rivoluzione culturale in tutto il suo corso prestò grande importanza allo studio della storia. Non va tralasciato che la stessa causa scatenante della Rivoluzione culturale fu proprio una questione storica: l'opera teatrale La destituzione di Hai Rui di Wu Han, che allegoricamente, attraverso la storia dell'onesto ministro Hai Rui che osa contestare l'avido imperatore a costo della sua carriera, voleva attaccare Mao sul caso Peng Dehuai. Centrale durante tutta la Rivoluzione culturale fu proprio la lotta fra la concezione materialista e idealista della storia: due concezioni opposte fondate, la prima, sulle leggi oggettive della lotta di classe, e, la seconda, sull'esaltazione del ruolo degli eroi e dei grandi personaggi. "I piccoli personaggi possono fare grandi cose", si sarebbe detto durante il Pi Lin Pi Kong. Non è esatta l'affermazione di Anne Cheng secondo cui l'analisi storica della Rivoluzione culturale, e quindi del Pi Lin Pi Kong, ridusse "il dibattito fra tutte le correnti di pensiero degli Stati Combattenti alla "lotta fra la linea confuciana e legista"": in effetti, pur focalizzandosi sul suddetto aspetto, non certo marginale, la campagna non mancò di interessarsi anche ad altre correnti ed epoche della storia cinese. È interessante notare che, mentre in riferimento al confucianesimo la critica era netta e decisa e i vari articoli si occupavano di approfondirla in relazione a vari aspetti, nella trattazione di questi ultimi casi trovarono spazio opinioni anche molto diverse, o comunque in evoluzione. Una rivista nata nel 1973 a Shanghai, Xuexi yu pipan (Studio e critica), ospitò sulle sue pagine molti di questi saggi, accostandosi al già esistente Lishi yanju (Ricerca storica), un periodico specializzato voluto da Mao già nel 1954. Il taoismo, ad esempio, venne considerato da più autori come una copertura del legismo, usata dalla dinastia Han per nascondere la sostanziale continuità con i metodi dei Qin attraverso dettami docili e accettabili, dove per esempio il "non agire" taoista è un invito a non mettere in discussione le leggi. Yan Feng sostenne che il fondamentale testo legista Han Feizi era in ultima analisi lo sviluppo in senso materialista del Laozi. Un ulteriore esempio interessante è la valutazione di un altro personaggio storico poco avvezzo all'insegnamento confuciano e al quale la tradizione successiva imputò crudeli nefandezze: Cao Cao. Questi, protagonista della fase iniziale del periodo dei Tre Regni (220-280), nei libri di testo di Beida del 1973 era visto in una luce assai negativa per il suo ruolo nel reprimere le rivolte contadine dell'epoca, ma i medesimi testi nell'edizione del 1975 rividero il giudizio, identificando in lui un rappresentante dei piccoli proprietari terrieri progressisti. Nel 1974 Lishi yanju riportava contemporaneamente entrambe le posizioni. 4.5. I protagonisti e le forme: le masse popolari e i gruppi di critica Leggendo gli articoli e i saggi pubblicati durante il Pi Lin Pi Kong, un aspetto molto interessante da rilevare è l'assenza di singoli autori preminenti. Certamente vi furono articoli firmati individualmente e figure maggiormente rappresentative, come Yang Rongguo, ma anche in questi casi si trattava spesso di quadri di basso livello, come segretari di cellula del PCC, o addirittura singoli operai. Si assistette invece alla costituzione e diffusione di un gran numero di gruppi teorici, gruppi di discussione e gruppi di critica a livello di base, i quali si accollarono il compito di proseguire e approfondire la critica del Pi Lin Pi Kong. Molti di questi gruppi vennero costituiti nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro, esprimendo la necessità di legare lo studio della teoria e della storia al lavoro produttivo, e sarebbero stati molti attivi anche nelle successive campagne teoriche lanciate da Mao dopo il 1974. L'esperienza di queste forme auto-organizzate, che si estinsero rapidamente dopo il 1976, assume ancora maggiore importanza se si pensa che l'elaborazione ideologica e culturale nella Cina odierna è saldamente tenuta dal PCC e dagli organi accademici, ad esso legati. L'edizione critica dei Dialoghi che si è citata più volte nelle pagine precedenti, ad esempio, era pubblicata dagli "studenti operai, contadini e soldati della Facoltà di Filosofia dell'Università di Pechino". Possono inoltre essere citati a titolo esemplificativo, senza alcuna pretesa di esaustività, il gruppo operaio di discussione della fabbrica di pneumatici di Tianjin, il gruppo operaio di studio teorico dell'officina n. 2 dell'acciaieria n. 5 di Shanghai, il gruppo di critica di massa dell'Università di Pechino e dell'Università Qinghua; quest'ultimo in particolare pubblicò circa duecento articoli fino all'ottobre del 1976. Fervente fu l'attività in siti operai come i cantieri navali Bandiera rossa di Dalian. Intere fabbriche, comuni, scuole e università divennero insomma delle piccole case editrici. Molti di questi articoli venivano raccolti in volumetti, spesso tematici, talvolta addirittura su argomenti inaspettati, come Raccolta di articoli di critica a Lin e Confucio. La lotta fra confucianesimo e legismo e lo sviluppo della scienza e della tecnica mediche in Cina, tanto era penetrante ed estesa la critica del Pi Lin Pi Kong. Vennero stampate perfino lianhuanhua, storie illustrate, su episodi della Cina antica riguardanti prevalentemente la storia del legismo. 5. Considerazioni conclusive A seguito della morte di Mao e della conseguente chiusura della Rivoluzione culturale, mentre il gruppo diretto da Deng Xiaoping consolidava (e, in certi casi, recuperava) il proprio controllo sul Partito comunista, il Pi Lin Pi Kong fu uno dei primi aspetti ad essere presi di mira in anticipazione della negazione totale della Rivoluzione culturale, che si sarebbe avuta nel 1981, in ciò preceduto soltanto dalla riforma dell'istruzione, sconfessata già nel settembre 1977. Il Renmin Ribao del 18 luglio 1978, ad esempio, si scagliava contro la "assurdità antistorica di rompere nettamente con ogni retaggio storico e ripudiare completamente Confucio". Man mano che l'economia cinese passava dalla pianificazione al mercato, durante la politica di Gaige Kaifang (riforma e apertura), il confucianesimo riacquistò sempre più popolarità. Nel 1989 Jiang Zemin, appena nominato segretario generale del PCC, partecipò alle celebrazioni per il 2540° anniversario della nascita di Confucio e ne promosse ufficialmente il recupero, che prosegue tuttora non senza contraddizioni, come il caso della statua di Confucio in piazza Tian'anmen richiamato nell'introduzione. Le motivazioni di questo recupero sono probabilmente molteplici. Da un lato, la dirigenza cinese avverte l'utilità dei principi gerarchici del confucianesimo e del recupero delle tradizioni nazionali per la realizzazione dell'armonia sociale e del "sogno cinese". Dall'altro, contestualmente alla riscoperta del taoismo e del buddhismo, costituisce un rifugio spirituale dai nuovi problemi morali generati dall'avanzata dirompente dell'economia di mercato e dallo smantellamento delle strutture collettive di epoca socialista. Con l'evidente abbandono della critica sviluppatasi durante il Pi Lin Pi Kong, gli studi occidentali contemporanei sul periodo sembrano tendere a sottovalutare questa esperienza, a differenza di diverse analisi compiute mentre la campagna era ancora nel pieno del suo corso, complice il fascino che la Cina di Mao esercitava su molti intellettuali di sinistra, diversi dei quali avrebbero successivamente cambiato opinione. Ciò può essere dovuto ad una ripresa pressoché acritica del giudizio cinese attuale, rigido e inossidabile al punto da essere ripetuto quasi parola per parola in varie pubblicazioni sul tema, e del tutto concentrato sui giochi di potere della banda dei quattro. Secondo questo giudizio, Mao, incapace di negare sul piano ideologico la Rivoluzione culturale che lui stesso aveva ideato, volle evitare che la campagna contro Lin Biao andasse proprio in questa direzione. Per questo la accostò alla campagna anticonfuciana, favorendo inconsapevolmente Jiang Qing (sua moglie, dalla quale però viveva separato) e la cosiddetta banda dei quattro nei suoi presunti attacchi contro Zhou Enlai in vista del post-Mao. Certamente la banda dei quattro in quel periodo aveva un ruolo di primo piano: oltre a Chiang Qing, che peraltro si occupava di un settore, quello letterario e artistico, fondamentale durante il Pi Lin Pi Kong, Wang Hongwen era vicepresidente del Comitato centrale e incaricato, insieme a Zhou Enlai, del lavoro esecutivo; Zhang Chunqiao era membro del Comitato permanente dell'Ufficio politico e segretario municipale di Shanghai; Yao Wenyuan infine era responsabile della propaganda. È altrettanto vero che in questo periodo Mao criticò Zhou Enlai per questioni di politica estera. Tuttavia è nel medesimo periodo che Mao rivolse dure critiche alla stessa Jiang Qing. La nomina di Hua Guofeng a primo ministro e primo vicepresidente del Comitato centrale, nell'aprile del 1976, su iniziativa di Mao, precluse le due posizioni rispettivamente a Zhang e Wang. Tuttavia, sarebbe estremamente riduttivo e non corretto restringere l'intera esperienza del Pi Lin Pi Kong alle vicende al vertice del Partito comunista. Una tale visione, infatti, risulta restrittiva o addirittura superficiale alla luce dell'importanza storica, dell'estensione e della profondità del movimento. Occorre anche notare che la critica dell'epoca ebbe effettivamente una notevole vivacità, in quanto realizzata attraverso discussioni e contributi dalla base stessa, a volte, come è stato detto, addirittura producendo giudizi contrastanti. Uno stile che può apparire a prima vista stereotipato, ad esempio per via dell'utilizzo delle stesse citazioni di Confucio e Lin Biao e di formule praticamente analoghe negli articoli in cui si criticava l'"autocontrollo e ritorno ai riti", andrebbe visto in relazione alla necessità di insistere sui concetti per scardinare in pochi anni una mentalità radicatasi da millenni. Gli stessi richiami critici al "duca Zhou", considerati attacchi allegorici contro Zhou Enlai, risultano piuttosto secondari. Bisogna comunque tenere presente che l'allora primo ministro cinese condivideva il cognome, Zhou, con il nome della dinastia decantata dai confuciani, forse suo malgrado. Tale interpretazione cinese contemporanea, quindi, non può essere condivisa dalla lettura proposta da questa tesi, soprattutto perché, indipendentemente dalla loro fonte ideologica, ignora gli elementi di fortissima originalità offerti dalla critica del periodo. 20 novembre 2013 |