Un nero disegno bipartisan La "tessera del tifoso" è inaccettabile e va assolutamente respinta 300 gruppi ultrà di destra e sinistra, del Nord, del Centro e del Sud, hanno sfilato uniti per Roma contro le nuove tecniche di repressione e di controllo sociale del ministro Maroni. La "tessera del tifoso" alimenta le solite lobby affaristiche, è una misura da Stato di polizia Il calcio capitalistico va sciolto e rifondato su basi democratiche e popolari Oltre 300 gruppi provenenti da tutta Italia hanno sfilato il 14 novembre per Roma, dall'Esquilino fino alla Bocca della Verità, contro la tessera del tifoso dietro lo striscione d'apertura "Se i ragazzi sono uniti non saranno mai sconfitti" (citazione del celebre gruppo rock anni '60 degli Who). Un corteo partecipato e determinato, eterogeneo e unitario, animato non già da bandiere e sciarpe riconducibili ai gruppi ultras di appartenenza, ma dalla parola d'ordine "No alla tessera del tifoso", per contrastare tutti uniti la repressione portata avanti contro le tifoserie organizzate dal ministro degli Interni fascio-leghista Roberto Maroni, a colpi di decreti e sulla base di una legislazione d'emergenza. I tantissimi tifosi giunti a Roma, "sorvegliati" da un imponente e spropositato dispiegamento di "forze dell'ordine", hanno lanciato numerosi cori, il più gettonato "Gabriele uno di noi", in memoria del giovane tifoso della Lazio Gabriele Sandri - di cui proprio nei giorni della manifestazione ricorreva l'anniversario della morte - ucciso a freddo dall'agente Luigi Spaccarotella. Non sono mancati slogan in ricordo di Stefano Cucchi, peraltro supporter della Roma, ucciso all'ospedale Sandro Pertini, sulla cui morte per chiedere verità erano già apparsi diversi striscioni in numerose curve d'Italia nel corso della precedente giornata di campionato. La "tessera del tifoso" è anti-costituzionale La "tessera del tifoso", voluta già dall'allora ministro Giuliano Amato nel 2007 in seguito all'assassinio presso lo stadio di Catania dell'ispettore capo della polizia Filippo Raciti, ha l'aspetto di un bancomat, contiene i dati anagrafici e la foto del suo possessore, può essere usata come documento d'identità valido per l'acquisto dei biglietti e, ragiona il Viminale, rende certa l'identificazione ai tornelli degli stadi. Inoltre, prevede verifiche della Questura in accordo ad apposita direttiva ministeriale. Non appena la "tessera del tifoso" sarà attiva, le società ospitanti potranno vendere i biglietti ai soli tifosi in trasferta in possesso della tessera. In realtà, dal momento che si affida a tecnologie di rintracciabilità elettronica, la "tessera del tifoso" è un evidente strumento di controllo sociale, degno di un "regime totalitario", come ha denunciato persino l'amministratore delegato del Catania, Pietro Lo Monaco. Non solo, l'articolo 9 della legge 41/2007 (Legge Amato), il più contestato dagli ultras, è chiaramente anticostituzionale, perché nega l'ingresso allo stadio anche a chi, colpito negli ultimi cinque anni dal Daspo (Divieto di accesso alle manifestazioni sportive), ha già pagato il suo debito con la giustizia sportiva e penale. Voluta dall'ex craxiano Amato, ministro degli Interni nel secondo governo Prodi, portata avanti dal fascio-leghista Maroni, la prima tessera di fidelizzazione italiana ha i colori rossoneri del Milan, il club della squadra del neoduce Berlusconi. Su questo progetto, il regime neofascista, la destra come la "sinistra", s'è schierato a favore al gran completo. Un affare per banche e lobby commerciali La "tessera del tifoso" è un business per i soliti pescecani capitalisti, da Telecom Italia, che ha stretto un accordo con 90 club di Lega Pro (ex serie C) per la fornitura del tesserino e dei lettori mobili (Rfid, quelli degli ski pass) per i varchi degli impianti, a Banca Intesa San Paolo, cui è stata affidata l'emissione della tessera, e uno dei due gruppi bancari italiani più importanti. Lo stesso istituto è nel patto di sindacato che regge RCS Mediagroup cioè tutta una serie infinita di quotidiani come il "Corriere della Sera" e soprattutto la "Gazzetta dello Sport", il più venduto giornale sportivo non a caso fortemente favorevole alla "tessera del tifoso". Nello stesso patto di sindacato è di Mediobanca la quota più significativa, ovvero di quel Cesare Geronzi ex patron di Capitalia, uomo e banca che nel calcio sono molto conosciuti visti i rapporti economici con alcuni presidenti travolti da scandali finanziari e debiti (Parma-Tanzi, Lazio-Cragnotti, Roma-Sensi). Uomo molto vicino a Capitalia era Franco Carraro, che in passato ha fatto un po' di tutto, anche il politico e che recentemente è stato presidente della Figc e presidente di Mediocreditocentrale, banca facente parte appunto del gruppo Capitalia. In RCS troviamo anche il gruppo Benetton: forse con la "tessera del tifoso" Autogrill potrebbe offrire sconti per i tifosi in viaggio? O magari per restare in famiglia potrebbero esservi bonus con Autostrade o Grandi Stazioni spa? Ad essa è favorevole anche il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, cioè il fratello di Luigi Abete, vicepresidente dell'Associazione Bancaria Italiana e presidente della banca romana BNL. Da Mediobanca a RCS, da Telecom Italia a Gruppo Benetton, da Intesa San Paolo al neoduce Berlusconi, la "tessera del tifoso" arricchisce i soliti noti pescecani, pronti a lucrare ulteriormente sul calcio rendendo sempre più commerciale e individualistica la sua fruizione, a danno del suo carattere popolare. Il regime neofascista la presenta come la classica tessera per fidelizzare i tifosi-clienti, promuovendo una serie di agevolazioni e convenzioni con aziende di trasporto e di ristoro, corsie dedicate, borsellino elettronico e molto altro. In realtà il rapporto con il tifoso diviene di tipo commerciale, attivando un meccanismo di individuazione dei "clienti migliori". Non a caso, in Inghilterra le "membership card" hanno in pratica sostituito il pubblico da popolare a ceto benestante. Non tutti possono permettersi la "gold card". La "tessera del tifoso" è una misura da Stato di polizia Ancora più preoccupante, poi, è il fatto che il nullaosta per la "tessera del tifoso" è rilasciato dalla questura e sarà perciò la polizia a decidere niente meno chi può entrare o non entrare in un luogo pubblico (non solo negli stadi, ma in tutti quelli convenzionati dalla tessera), con strumenti assai arbitrari (legge Amato, diffide). La "tessera del tifoso" è uno strumento che divide, esclude, toglie diritti senza concedere alcuna garanzia di autotutela. Si tratta perciò dell'ennesima misura di controllo e di repressione sociale messa in campo dalla destra e dalla "sinistra" del regime neofascista per uccidere ciò che di popolare e democratico resiste nel calcio capitalistico, il cui prossimo grande affare è la famigerata privatizzazione degli stadi che, dal decreto Pisanu del 2005 in avanti, tra biglietti nominali e tornelli, appaiono sempre più dei fortini militarizzati anziché degli impianti sportivi. Per ottenere la "tessera del tifoso", non a caso, non si compila un modulo, ma una vera e propria autocertificazione: chi sbaglia qualcosa, commette reato. Nel resto d'Europa, è vero, esistono le "tessere del tifoso", ma non sono affatto gestite dallo Stato. Per questo, nell'Italia neofascista, anziché di "tessera del tifoso" è più corretto parlare di "tessera del Viminale" e di misura da Stato di polizia. La "tessera del tifoso" non piace nemmeno al commissario tecnico dell'Italia, Marcello Lippi: "è una cosa che ghettizza e sa di schedatura", ha dichiarato in estate smarcandosi dal sostegno ufficiale dato al progetto dalla Federcalcio, facendo irritare non poco Maroni, fautore persino di una "tessera azzurra" per le partite della nazionale. Grazie all'avversione delle tifoserie organizzate e dei rilevanti oneri organizzativi che i padroni dei club devono affrontare per sostenerla, il 21 novembre l'introduzione della "tessera del tifoso" è stata rinviata da Maroni dal 1° gennaio 2010 all'avvio della stagione 2010/2011. Sei mesi prima o dopo, poco importa. La "tessera del Viminale" non deve essere adottata né ora né mai, dato che vuole disgregare i corpi sociali del tifo, ovvero i gruppi ultras e i club (nati spontaneamente attraverso l'aggregazione popolare), affinché lo stadio sia vissuto individualmente e in modo assolutamente commerciale. Il calcio capitalistico va sciolto e rifondato su basi democratiche e popolari, per un calcio pubblico, senza alcun apporto diretto o indiretto dei privati, gestito direttamente dai tifosi e in cui i giocatori ricevano stipendi da lavoratori. 25 novembre 2009 |