È il mercato la causa della tragedia del Giglio Dall'inizio della tragedia della Costa Concordia all'isola del Giglio, non ancora conclusa perché incombe sempre il pericolo di una catastrofe ambientale, sono emersi abbastanza elementi per farsi un'idea chiara di come è potuta succedere e a chi ne vanno attribuite le principali responsabilità. Calato il polverone mediatico dei primi giorni, tutto incentrato sulla "follia" e l'incapacità del comandante quale unico responsabile del disastroso impatto e del ritardato, caotico e tragico abbandono della nave, cominciano a venir fuori i retroscena che allargano il cerchio delle responsabilità e delle cause ben oltre il pur folle, criminale e codardo comportamento di Schettino, del resto ampiamente documentato dalle testimonianze dirette e dalle registrazioni. Viene fuori per esempio che quella degli "inchini", cioè dei passaggi ravvicinati a isole, promontori, spiagge e altre località turistiche famose, era una pratica abituale delle navi della Costa Crociere. Che la compagnia ne era non solo a conoscenza, ma che la richiedeva e la incoraggiava a scopo pubblicitario e promozionale. Che il comandante Schettino non era il solo a praticarli, benché sicuramente tra i più spericolati e irresponsabili tra questi "specialisti" del brivido. E che le capitanerie di porto non potevano non conoscere questo andazzo, ma lo tolleravano chiudendo tutti e due gli occhi alle pericolose evoluzioni sotto costa di questi mostri del mare. Viene fuori anche che l'inqualificabile ritardo di oltre un'ora tra il momento dell'impatto negli scogli e l'ordine di abbandonare la nave, nascondendo volutamente ai passeggeri e alle autorità a terra la gravità della situazione, è stato una conseguenza del tentativo, discusso a lungo via telefono tra il comandante della nave e il responsabile della Costa per le emergenze, Ferrarini, di evitare fino all'ultimo la dichiarazione di abbandono nave per non pagare le penali assicurative e le spese dei soccorsi. Con l'assurda speranza di poter ancora farla trainare in porto, magari a Livorno, con tutti i passeggeri ancora a bordo. Un calcolo gretto quanto sciagurato, che ha causato a sua volta il ritardo dei soccorsi, l'abbandono dei passeggeri a se stessi e in preda al panico, lo sbarco caotico - e per alcuni fatale - per via della nave inclinatasi nel frattempo di quasi 90 gradi, la morte di numerose persone rimaste intrappolate nelle cabine o nei punti di raccolta. La corresponsabilità della compagnia Costa Questo spiega anche perché, dopo averlo in un primo tempo difeso a spada tratta, e man mano che emergevano i fatti accaduti durante quel tragico ritardo e le numerose telefonate tra Schettino e la Costa Crociere, quest'ultima abbia poi cercato di tirarsi fuori dalle responsabilità buttando tutta la colpa sul solo comandante, negando di aver autorizzato l'"inchino" di quella sera al Giglio e accusandolo di aver mentito anche alla compagnia circa la gravità dell'incidente. Cosa peraltro smentita recisamente dall'interessato di fronte ai magistrati, il quale invece sostiene di averla messa al corrente della gravità della situazione e che l'ora e passa al telefono con il responsabile della compagnia è trascorsa in affannose e inconcludenti consultazioni sul da farsi, mentre la nave era alla deriva e l'equipaggio e i passeggeri continuavano a essere tenuti all'oscuro della realtà. Così come ha confermato testualmente che la compagnia sapeva dell'"inchino" al Giglio e anzi lo aveva concordato fin dalla partenza da Civitavecchia, che ce n'erano stati altri, l'ultimo dei quali, sempre al Giglio, era avvenuto il 17 dicembre, e che questa era una "prassi ricorrente in tutto il mondo", tanto che "gli annunci vengono stampati la mattina a bordo delle navi". A conferma di ciò basti pensare che la stessa Costa Crociere pubblicava sul suo sito Internet un filmato pubblicitario, poi ritirato dopo l'incidente, con l'"inchino" effettuato proprio dalla Concordia lo scorso agosto all'isola di Procida. E basti pensare alla prassi davvero criminale, ignota finora al grande pubblico, di far attraccare simili bestioni da centomila tonnellate fin dentro la città di Venezia, a cento metri da piazza San Marco, con tutti gli enormi rischi ambientali che ciò comporta, solo per permettere ai turisti di fotografare la città dall'alto e averne un ritorno pubblicitario di portata mondiale. E viene fuori altresì (ma solo grazie a pochissime fonti di informazione fuori dal circuito dei grandi media di regime), dietro questa luccicante industria del divertimento che sono le crociere a basso costo, l'esistenza di un mondo fatto di supersfruttamento dei lavoratori, con personale reclutato da tutti i paesi del mondo, che viene praticamente sequestrato a bordo fino alla scadenza del contratto tramite il ritiro del passaporto, con paghe da fame di 500 euro per 11-12 ore di lavoro per sette giorni alla settimana, che si deve pagare il guardaroba e deve dormire in due in una cabina da 6 metri quadrati senza finestra (vi sono stati anche casi di suicidi a bordo), che spesso non parla altro che la propria lingua e solo qualche parola d'inglese e non riceve, se va bene, che un sommario addestramento alle situazioni di emergenza: come si è capito anche dall'impreparazione del personale di bordo durante l'abbandono della Concordia e dal fatto che tra i morti e i dispersi vi sono molti lavoratori stranieri, forse addirittura dei clandestini. Un'industria che risponde solo al dio mercato Vengono fuori, insomma, tutta l'insensatezza e la pericolosità di un intero sistema di sfruttamento capitalistico del turismo basato esclusivamente sul mercato e sulla ricerca del massimo profitto, in mano a multinazionali dell'industria della vacanza low cost, l'americana Carnival nella fattispecie: un gigante da 16 miliardi di dollari di fatturato, 101 navi e 70 mila dipendenti, alla quale appartiene anche la Costa Crociere. Compagnie che per abbassare i prezzi del biglietto e attirare i polli in queste gabbie dorate per spennarli poi al bar e ai tavoli da gioco, devono costruire navi sempre più gigantesche e capienti, e quindi anche più difficili da manovrare e più disastrose in caso di incidente; con gravi carenze (come si è visto sulla Concordia) nei sistemi di sicurezza, nell'equipaggiamento di emergenza e nella sua manutenzione; con personale sempre meno qualificato e addestrato e sempre più sfruttato e senza diritti. E che devono battere la concorrenza offrendo emozioni come le pagliacciate degli accostamenti da brivido ai luoghi più famosi e spettacolari, infischiandosene di mettere in pericolo l'ambiente, la sicurezza della navigazione e la vita dei loro stessi passeggeri. In questo sistema dominato dal dio mercato e dedito esclusivamente a macinare profitto ad ogni costo, in cui i rischi per le persone e per l'ambiente sono una variabile secondaria, e comandanti esibizionisti, sbruffoni e codardi alla Schettino non solo riescono a far carriera, ma sono perfettamente funzionali alle regole del gioco, c'è da chiedersi allora non perché sia successa una tragedia come questa, ma quante altre potrebbero ancora succedere. Anche i ministeri della Marina e dell'Ambiente, le autorità marittime e le capitanerie di porto hanno la loro grossa parte di responsabilità: possibile che non si fossero mai accorte della pericolosa pratica degli "inchini" (ben 52 lo scorso anno solo quelli della Concordia, secondo rilevamenti radar internazionali)? Perché il sistema radar Aisi della capitaneria di Livorno non aveva rilevato il fuori rotta e l'impatto della Concordia al Giglio, tanto da dover essere allertata solo in seguito a una telefonata ricevuta dai carabinieri? Perché il nuovo sistema radar Vtims di Finmeccanica, capace di monitorare in tempo reale l'intero traffico marittimo nazionale, e per il quale sono già stati spesi 320 milioni, non è ancora operativo nonostante che dovesse entrare in funzione nel 2009? E perché il governo non ha ordinato subito le operazioni di svuotatura dei serbatoi della nave, contestualmente alle ricerche dei dispersi, cosa che comincerà non prima di due settimane dal disastro? Che cosa si aspetta ancora a proibire il traffico di questi mostri pericolosi vicino alle coste, alle isole e perfino dentro città d'arte delicatissime come Venezia? Infine, a completare il quadro, va aggiunto l'assordante silenzio di Palazzo Chigi e del Quirinale, tanto più vergognoso e intollerabile quanto questa spaventosa tragedia ha acceso ancor più i riflettori dell'attenzione internazionale sul nostro disastrato Paese, sulle autorità che non fanno rispettare le regole e lasciano che simili disastri succedano, e sulle evidenti carenze e disorganizzazioni nei soccorsi che puntualmente si verificano dopo che sono successi. 25 gennaio 2012 |