Un processo storico abbandonato da Ingroia Trattativa Stato-mafia, alla sbarra uomini delle istituzioni e di cosa nostra insieme Tra gli imputati Mannino, Dell'Utri, Riina, Mori e Ciancimino Sarà fatta piena luce sulle stragi del '92-'93? Dopo quattro mesi di udienze preliminari, il 6 marzo il Gup (Giudice per l'udienza preliminare) Piergiorgio Morosini ha rinviato a giudizio tutti gli imputati protagonisti della trattativa Stato-mafia. Alla sbarra il prossimo 27 maggio nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo compariranno insieme uno a fianco all'altro i vertici delle istituzioni e di Cosa nostra. Accanto ai boss mafiosi Salvatore Riina, Antonino Cinà, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Massimo Ciancimino, ci saranno gli ex ufficiali del Ros dei Carabinieri, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, l'ex senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino. "Gli imputati hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato Italiano e in particolare del governo della Repubblica": è questa l'accusa per i mafiosi e gli uomini delle istituzioni, mossa dal pool composto dai sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia e coordinati dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia che però a ottobre 2012 ha abbandonato questo processo storico per candidarsi premier con Rivuluzione Civile. Tutti gli imputati dovranno rispondere del reato sancito dall'articolo 338 del codice penale, ossia violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l'aggravante dell'articolo 7, per aver favorito Cosa nostra. Mentre Massimo Ciancimino, uno dei principali testimoni dell'accusa figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo che nel 2008 ha aperto con le sue dichiarazioni l'inchiesta sulla trattativa, sarà processato invece per concorso esterno in associazione mafiosa, dato che è stato il "postino" del papello con le richieste di Riina allo Stato. Mancino, invece, è imputato per falsa testimonianza in quanto secondo la procura ha mentito sui reali motivi che lo portarono al Viminale in successione di Vincenzo Scotti nel giugno del 1992. Ha scelto invece il rito abbreviato l'ex ministro democristiano Calogero Mannino accusato dalla procura di Palermo di aver materialmente avviato i primi contatti con Cosa nostra. Agli atti risulta che: Mannino era stato inserito nella black list di politici stilata da Riina. Politici che dovevano essere puniti con la morte dopo che non avevano mantenuto le promesse fatte in passato con particolare riferimento alla decisione della corte di Cassazione del 30 gennaio 1992 che conferma la sentenza del primo maxiprocesso contro Cosa nostra. L'inchiesta fu avviata nel 2008 ed è stata chiusa a maggio scorso quando sono stati depositati tutti gli atti contenuti in 120 faldoni. Fra le carte dei pubblici ministeri e del centro operativo Dia di Palermo, le audizioni di sei pentiti e di 67 testimoni, poi anche le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura sulle utenze di alcuni indagati. Nelle registrazioni sono finite pure quattro conversazioni fra l'ex ministro Mancino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: sono state l'oggetto di un conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale. Dopo la decisione della Consulta, i Pm hanno inviato gli audio dei dialoghi Mancino-Napolitano al Gip, per la distruzione. La conclusione di questa vicenda finita con l'insabbiamento delle indagini inerenti il coinvolgimento di Napolitano a difesa di Mancino non lascia però ben sperare sul fatto che con questo processo si faccia finalmente piena luce sulle stragi politico-mafiose del '92-'93. 3 aprile 2013 |