Dilagano tangenti e corruzione a Bari Truffati alle tasse 114 milioni 17 arresti. Indagato anche l'ex presidente della corte d'Appello giudici compiacenti aggiustavano le sentenze in cambio di soldi e favori Dal corrispondente dell'Organizzazione di Bari del PMLI Un "comitato d'affari" composto da imprenditori, commercialisti, avvocati, funzionari di banca e giudici della Commissione tributaria regionale pugliese ha truffato l'Agenzia delle entrate di Bari per un ammontare di oltre 114 milioni di euro. Si tratta dell'ennesimo scandalo di tangenti e corruzione che investe importanti organi istituzionali della Regione governata dal falso moralizzatore e imbroglione politico Nichi Vendola. Il 3 novembre la Guardia di finanza di Bari è riuscita, grazie al prezioso impiego d'intercettazioni ambientali e telefoniche, pedinamenti e appostamenti, a scovare una cricca di corruttori e corrotti, che per quartier generale avevano alcune delle Commissioni tributarie provinciali di Bari e regionali per la Puglia. Secondo gli inquirenti i giudici delle suddette commissioni manovravano abilmente le sentenze in cambio di "premi" di vario genere: laute somme di danaro, costosi televisori al plasma, computer o persino esclusivi capi d'abbigliamento. Al centro del malaffare c'era il giudice della Commissione tributaria regionale Puglia, Oronzo Quintavalle, al quale bastava pagare una tangente o far attribuire ricchi incarichi, anche come consulente di alcuni Pm di Bari per avere un provvedimento favorevole da parte dei magistrati contabili. In manette, insieme a Quintavalle, sono finiti altri 16 indagati fra funzionari amministrativi della Commissione tributaria regionale della Puglia e provinciale di Bari, noti professionisti e imprenditori pugliesi, commercialisti, avvocati e un funzionario di banca che si sono rivolti a Quintavalle o hanno beneficiato della sua influenza per "sistemare" i loro contenziosi col Fisco. Oltre all'arresto in massa dei "colletti bianchi" corrotti e degli affaristi corruttori, l'operazione della guardia di finanza ha portato al sequestro di beni mobili e immobili per un valore di circa 200 milioni di euro, tra cui 5 aziende, 22 appartamenti e 62 terreni. Nel registro degli indagati del Pubblico ministero (Pm) Isabella Ginefra figurano invece i nomi di altri 30 indagati accusati a vario titolo di concorso in corruzione, falsità materiale e abuso d'ufficio. Fra essi anche l'ex presidente della Corte d'Appello di Bari e presidente facente funzioni della Commissione tributaria regionale, Aldo D'Innella, e i giudici tributari Francesco Ferrigni, Vittorio Masiello, Francesco Paolo Moliterni e Giuseppe Savino, oltre a commercialisti, avvocati e amministratori di importanti società pugliesi, come Raffaele Putignano, della "Giovanni Putignano e figli Srl". Il Giudice per le indagini preliminari (Gip) Sergio Di Paola parla "dell'esistenza di un comitato d'affari che manovra sia l'assegnazione dei ricorsi innanzi alle Sezioni, sia soprattutto le designazioni a favore di determinati giudici delle Commissioni tributarie, al fine di ottenere decisioni favorevoli ai contribuenti con conseguente soccombenza dell'Amministrazione finanziaria. Non solo - ha precisato ancora il Gip - Vi erano alcune Sezioni della Commissione regionale, innanzi alle quali l'Amministrazione finanziaria otteneva decisioni a sé sfavorevoli nel 98% dei casi". E tra le società che hanno elargito tangenti, regalie e favori al giudice Quintavalle e all'ex presidente della Corte d'Appello di Bari, D'Innella, non c'è solo la Ingross Levante ma almeno altri 8 contenziosi tra società e l'Agenzia delle Entrate in cui il giudice è relatore e l'Amministrazione finanziaria perde. Quintavalle, per assicurare la vittoria alle società contro l'Agenzia delle Entrate incassava non solo mazzette di 500 e 5mila euro ma chiedeva anche ricchi incarichi professionali. Insomma, "un vero e proprio sistema - scrive il Gip nell'ordinanza - che il Quintavalle aveva certamente adottato da tempo e che era ben conosciuto da una larga schiera di professionisti". Da sottolineare che tutto ciò non sarebbe mai emerso se la legge del governo del neoduce Berlusconi per limitare le intercettazioni fosse operativa: è evidente come la masnada di gerarchi e servi di regime al governo voglia favorire tale corrotto sistema eliminando uno strumento prezioso come le intercettazioni, in grado di svelare tutto il malaffare radicato nell'economia e nei circoli di potere dello Stato borghese. 10 novembre 2010 |