Le truppe russe raddoppiate rimangono in Abkhazia e Ossezia del Sud Il 13 settembre le truppe russe hanno lasciato l'accampamento nei pressi del porto georgiano di Poti e chiuso i cinque campi che si erano impegnati a smantellare nell'ovest della Georgia in base all'accordo concluso l'8 settembre tra Mosca e l'Unione Europea. Le colonne russe si sono dirette verso l'Abkhazia dove rafforzeranno il contingente già presente. Come aveva precisato il ministro della Difesa russo Anatoly Serdyukov annunciando il raddoppio delal presenza dei soldati russi nelle due regioni; prima della crisi georgiana la Russia aveva una forza di 1.000 uomini in Ossezia del Sud e 2.500 in Abkhazia. Diventeranno oltre 7.500. Il braccio di ferro innescato tra gli imperialisti di Russia e Usa, con la Ue a fare da terzo incomodo, per il controllo del Caucaso è segnato da un continuo botta e risposta fra le due capitali. Il 12 settembre la candidata repubblicana alla vicepresidenza americana, Sarah Palin, nel primo intervento in televisione ha lanciato una pesante minaccia alla Russia: gli Usa vogliono far entrare Georgia e Ucraina nella Nato e se la Russia ripetesse l'invasione della Georgia sono pronti anche a rispondere con le armi. Se Tbilisi fosse stata già parte dell'Alleanza o se la Russia invadesse uno stato membro, ha affermato la Palin, gli Usa potrebbero entrare in guerra contro Mosca "perché questo è l'accordo che prendi quando sei un alleato della Nato: se un altro paese viene attaccato, devi aspettarti di venir chiamato in aiuto". La secca risposta di Dimitri Medvedev è stata che Mosca non esiterebbe ad attaccare la Georgia anche se avesse già avviato il percorso di adesione alla Nato. Il 15 settembre il presidente russo prometteva inoltre risposte "simmetriche" a possibili sanzioni contro il suo Paese. "Se qualcuno - dichiarava - cercherà di introdurre sanzioni, le perdite avranno un carattere simmetrico. Le sanzioni sono un'arma a doppio taglio. Difficile credere che qualcuno ne abbia bisogno e in ogni caso la Russia non ne ha bisogno". Una minaccia a chiudere per ritorsione i rubinetti di petrolio e gas, un tasto cui è molto sensibile l'Europa che comunque si appresta a mettere un piede nella crisi georgiana con l'invio dei 200 osservatori nel paese. 17 settembre 2008 |