Manifestazione davanti al Senato Universitari e ricercatori in lotta contro la "riforma Gelmini" Occupati i rettorati. Sciopero dei ricercatori Il coperchio mediatico, soprattutto televisivo, che ha lo scopo di non fare conoscere alle masse la macelleria sociale che sta compiendo il governo del neoduce Berlusconi, non ha potuto impedire il riesplodere della protesta degli studenti universitari e dei ricercatori contro la "riforma Gelmini". Per la prima volta c'erano tutte le organizzazioni sindacali e di categoria e ricercatori provenienti da tutti gli Atenei d'Italia, oltre che tante studentesse e studenti romani, al combattivo sit-in che mercoledì 19 maggio si è svolto sotto le finestre di Palazzo Madama, dove la Commissione Istruzione del Senato stava "discutendo" il ddl Gelmini, l'ultima e probabilmente la più grave e incisiva delle tante controriforme universitarie che si sono abbattute, senza soluzione di continuità, sull'università pubblica nell'ultimo ventennio e che ha lo scopo di privatizzarla e fascistizzarla. Studenti e ricercatori l'hanno bocciata senza appello con una selva lunghissima di fischi e invocando a più riprese le immediate dimissioni del ministro. Il movimento, composto dagli "strutturati" e dai precari della ricerca pubblica, è dunque cresciuto in numero e coscienza di sé, grazie alle reti telematiche intessute negli ultimi anni per informarsi e confrontarsi sul contenuto dei provvedimenti governativi. Ma anche e soprattutto nel contatto diretto, con l'Onda studentesca in avanzata fase di ebollizione, che li ha "trascinati" a lottare uniti nelle piazze, alla luce del sole, anziché nei retrobottega delle istituzioni universitarie e dei ministeri. Il disegno di legge Gelmini va ritirato, sostengono all'unisono gli studenti dell'onda, i rappresentanti della Rete nazionale dei ricercatori precari (Rnrp) e i ricercatori della Sapienza riuniti nella rete "Laboratori Precari", perché "è un provvedimento che intende scardinare il sistema nazionale dell'università pubblica, concentrando le scarse risorse in pochi atenei ritenuti eccellenti e ridimensionando il ruolo di tutti gli altri". Sulla stessa lunghezza d'onda il segretario nazionale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo: "Mentre in Parlamento si discute, il malato muore: tanti atenei nei prossimi mesi rischiano il collasso finanziario e altri sono già dovuti ricorrere all'esercizio provvisorio". Si riferisce alla lotta contro i tagli, in parte già attuati (con la stangata contenuta nella legge 133 del 2008) e in parte da attuare nel prossimo biennio che "compromettono fortemente il diritto allo studio, la qualità di didattica e ricerca e la sicurezza lavorativa di precari ed esternalizzati, spingono soprattutto le università più povere e del Sud, se non a chiudere bottega, ad aumentare la contribuzione studentesca per coprire i tagli e ad abolire corsi di laurea". PD complice del ministro della d-istruzione Gelmini È avvenuto così che la maggioranza dei ricercatori "strutturati" e dei precari, e non solo sparute avanguardie, si è resa conto che "il ddl Gelmini (1905) è inemendabile" e che nessuna fiducia va riposta nell'opposizione di burro, che al massimo ambisce a strappare al governo in camicia nera qualche piccola elemosina. Senza neanche riuscirvi, come dimostra il fatto che gli emendamenti che sono stati approvati dalla commissione cultura della Camera sono riusciti persino a peggiorare il testo iniziale: inasprimento del blocco del turn-over, tagli generalizzati agli stipendi, tagli per il personale a tempo determinato, co.co.co. e co.co.pro. (al 50% dei contratti fatti nel 2009), ulteriori tagli del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) per i prossimi anni. E poi la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Neanche uno degli 800 emendamenti presentati riguarda la figura del ricercatore universitario cui non solo non viene riconosciuto lo status giuridico di docente, nonostante siano proprio i ricercatori a ricoprire da decenni in media oltre il 40% della didattica ufficiale, ma che scompare di fatto dall'organigramma universitario. Respinto invece un emendamento dell'opposizione parlamentare che prevede il pensionamento di quei professori che all'età di 65 anni abbiano maturato 40 anni d'anzianità contributiva. Le senatrici del PD Vittoria Franco, Maria Pia Garavaglia e Anna Maria Serafini hanno votato insieme agli esponenti della maggioranza contro la proposta di emendamento presentata dal loro gruppo parlamentare, che negli stessi giorni aveva avanzato pubblicamente la proposta di pensionamento a 65 anni su iniziativa di Maria Chiara Carrozza, responsabile del Forum Università Saperi e Ricerca del partito di Bersani. Dal Nord al Sud si accende la protesta Le lezioni sono "saltate" in tanti atenei italiani per far spazio alla protesta. A organizzare gli scioperi e le mobilitazioni sono state le reti di ricercatori e gli studenti, insieme ad un ampio cartello di sindacati, che comprende anche il personale tecnico e amministrativo e le associazioni della docenza (una ventina di sigle), Tra gli striscioni e i cartelli più significativi "Siamo tutti e tutte sotto scacco", "Scuola e università non pagheranno la vostra crisi" e "Tremonti, benefattore di banchieri e mafiosi, Gelmini, ladra di scuola: decidiamo noi quando la partita è chiusa". Si è cominciato lunedì 17 e martedì 18 maggio con assemblee e occupazioni simboliche che si sono susseguite dal Nord al Sud della penisola. A Milano il rettorato della Statale è stato occupato simbolicamente per circa un'ora da un corteo di circa 150 persone, soprattutto personale amministrativo e studenti, che hanno calato uno striscione esplicito: "L'università pubblica è un diritto. Difendiamola. No ai tagli e alla legge Gelmini". Occupazione simbolica del rettorato anche al Politecnico di Torino mentre a Padova i ricercatori sono arrivati in bicicletta fino all'Università e poi hanno consegnato simbolicamente al rettore Giuseppe Zaccaria una "due ruote" per dire "siamo stanchi di pedalare". A Roma i primi a occupare sono stati i ricercatori e gli studenti dell'ateneo di Tor Vergata, che hanno presidiato pacificamente il rettorato per chiedere ai vertici una posizione netta a favore del carattere pubblico dell'università e contro i tagli. A proseguire la staffetta sono stati gli universitari della Sapienza, occupando il rettorato del proprio ateneo, mentre nel pomeriggio lo stesso tipo di protesta si è spostata all'università di Roma Tre. Mobilitazione in Toscana, vedi articolo a parte. A Bari gli studenti hanno occupato la sede dell'Ateneo impedendo l'accesso al personale docente e amministrativo e bloccando anche le attività didattiche. Tra le richieste la convocazione di una conferenza di ateneo e di una conferenza regionale per ottenere il ritiro degli aumenti previsti per le tasse universitarie. Anche in Sicilia i rettorati delle università sono stati occupati simbolicamente. A Palermo oltre duecento professori e studenti hanno indetto un'assemblea prima di occupare lo Steri, sede del rettorato. Un'assemblea con presidio permanente al rettorato si è svolta a Catania dove è stato fortemente contestato anche il rischio "chiusura" e la dismissione della facoltà di Lettere accorpata con la sede di Ragusa. Stessa musica da Napoli a Messina dove centinaia tra docenti e dipendenti hanno occupato le sedi universitarie. La mobilitazione è durata quasi ovunque fino a sabato 22 e oltre; in diverse occasioni è sfociata in manifestazioni cittadine unitarie di lavoratori e studenti di università, scuole elementari, medie e superiori. Il carro-armato guidato da Tremonti, Gelmini e Brunetta non si ferma Come da copione berlusconiano, da viale Trastevere il ministro della d-istruzione Maria Stella Gelmini ha fatto sapere che la "riforma" dell'università "non contiene alcun tipo di taglio" e che dunque non c'è nulla da protestare. La legge "elimina sprechi e privilegi, rivede la governance degli atenei, punta sul merito, apre le porte ai giovani" (sic!). Non solo, "consente ai ricercatori di poter avere due contratti triennali al termine di ciascuno dei quali ci sarà una valutazione e poi la possibilità di accedere all'abilitazione nazionale e quindi entrare in ruolo con una progressione di carriera e con uno scatto stipendiale nell'università o di lavorare all'interno della pubblica amministrazione o nelle aziende private". Ha provato, poi, a giustificare l'imposizione d'imperio, per giunta probabilmente con l'ennesimo voto di fiducia, di una legge che è stata bocciata dalla stragrande maggioranza del mondo dell'università e della ricerca, accennando ai risultati (ridicoli in termini di partecipazione al voto) delle elezioni per il rinnovo del Cnsu (Consiglio nazionale degli studenti universitari), dove la maggioranza dei seggi è stata conquistata dal PDL, e arrivando a dire che "la stragrande maggioranza degli studenti ha voglia di cambiare e non ha nessun'intenzione di seguire chi cerca di strumentalizzarli". Il che, per inciso sta a significare ciò che andiamo dicendo da tempo ossia che il Cnsu è solo un orpello e una stampella delle istituzioni con il compito di spegnere i movimenti di lotta degli universitari per far passare i provvedimenti governativi. Viva l'unità dei lavoratori del pubblico impiego L'università che vuole il trio Gelmini, Tremonti e Brunetta è un'università meritocratica e manageriale, che estrometta i figli della classe operaia e delle masse, con larga presenza di privati nei Consigli d'amministrazione (Cda) e ricercatori sotto ricatto e a tempo determinato, privi di diritti, come gli studenti e i loro cosiddetti "rappresentanti", in assoluta minoranza negli organi di governo e privi di ogni potere decisionale. In questa direzione puntano anche i provvedimenti che privatizzano l'assunzione del personale tramite la chiamata diretta ed altre forme clientelari di rapporto di lavoro che assoggettano i lavoratori alle scelte di presidi e rettori manager, di nuovi e vecchi baroni e i provvedimenti che parlano di aziendalizzazione, ossia di trasformare le scuole e le università in fondazioni private gestite come aziende con finanziamenti privati e sussidi statali, dove il potere passa ai Cda eletti fra i finanziatori che hanno assoluto potere di controllo su offerte formative e "libertà d'insegnamento" e dove la contrattazione sindacale è annientata, come le Rsu. Insomma, la "riforma" Gelmini, come la "riforma" Aprea per la scuola, va affossata perché nel nome di Gelli e Gentile, uccide l'università pubblica e instaura l'università di classe del regime neofascista. Per farlo occorre l'unità degli studenti medi e universitari, l'unità tra ricercatori a tempo indeterminato e precari ma anche dei docenti democratici e del personale tecnico e amministrativo e, più in generale, l'unità di tutti i lavoratori del pubblico impiego. Occorre lo sciopero generale di 8 ore con manifestazione sotto Palazzo Chigi per abbattere il governo del nuovo Mussolini! 26 maggio 2010 |