Nella seconda repubblica L'università sta diventando un lusso per ricchi Ridotto al lumicino il "diritto allo studio": poche borse di studio, poche mense, pochissimi alloggi per i fuori sede, fitti alti e tante tasse da pagare Al Sud condizioni di vita e di studio da Terzo mondo Se le controriforme in materia di istruzione, avviate dai governi della "sinistra" del regime neofascista e completate dalla destra, e le ultime finanziarie di lacrime e sangue del neoduce Berlusconi sono state un attacco durissimo alla scuola e all'Università pubbliche, la micidiale stangata finanziaria che è alle porte sarà il colpo mortale a quel "diritto allo studio" conquistato con il sangue e il sudore dalle masse popolari e studentesche. Proviamo a dare un quadro, certamente non esaustivo, delle condizioni di vita e di studio delle studentesse e degli studenti universitari del nostro Paese, cominciando col dire che, dai dati Ocse pubblicati nel 2002, in Italia la percentuale di popolazione in possesso del titolo di studio universitario è pari al 10% contro una media del 23% nei paesi Ocse. Mentre la percentuale di popolazione in età tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo universitario è del 12% in Italia contro il 28% degli altri Paesi. Posti letto e affitti per i fuori sede Il numero di posti letto messi a disposizione dallo Stato nel 2002 era di 29mila a fronte di una popolazione di fuori sede di oltre 500mila studenti. Sono 150mila i posti della Francia e 223mila in Germania. Si pensi solo che in Campania si registrano appena 92 posti letto gestiti dall'Edisu, in Abruzzo giusto 100. Senza contare che molto spesso le "case dello studente" e gli "studentati" si riducono a dormitori poco attrezzati e socializzanti. Quasi mai sono previsti spazi ricreativi, sale studio, laboratori multimediali. Anche a seguito della legge 431/98 (governo Prodi), sostitutiva della legge sull'equo-canone e dei patti in deroga, la stragrande maggioranza degli studenti universitari fuori sede, soprattutto al Sud, è costretta a fare i salti mortali per trovare un alloggio in affitto, con oltre il 95% dei contratti a nero, il che significa stipulare un contratto con valenza normativa pari a zero, verbalmente o su un pezzo di carta, la cui sorte è destinata ai buoni rapporti "commerciali" tra le parti, e senza alcuna garanzia sul rispetto delle più elementari norme di igiene, sicurezza e abitabilità. In definitiva, chi non può permettersi di pagarsi l'affitto nelle zone universitarie delle grandi città, o rinuncia a proseguire gli studi, come sempre più spesso accade, o è costretto a cercare casa in zone periferiche, dove gli alloggi sono ancora più scadenti, e i collegamenti sempre peggiori. Dai dati delle segreterie emerge che il 71,9% degli studenti universitari milanesi, per far fronte a questa condizione, abita in un appartamento con altri studenti. Da un'inchiesta sui costi d'affitto nell'anno accademico 2003-2004 condotta incrociando interviste ai rappresentanti delle associazioni studentesche con i dati raccolti nei database del servizio "Cercalloggio" dell'Unione degli Universitari (Udu) si evince infatti che il costo degli affitti in Italia è letteralmente esploso negli ultimi anni. Solo di affitto uno studente fuori sede in Italia spende da un minimo di 1.200 euro l'anno in camera doppia a Lecce ad un massimo di 6.000 euro per una singola a Roma o a Milano. "Se si considera che il potere d'acquisto in Italia è sceso del 13% e che il numero dei posti letto in alloggi pubblici copre appena l'1,7% della popolazione studentesca - conclude l'indagine - sempre più persone sono impossibilitate a `scegliere' e sono costrette all'Università sotto casa. Infatti secondo i dati del CNVSU la mobilità studentesca è diventata bassissima: l'81% si iscrive nella regione di residenza". Se a questo si aggiunge la carenza assoluta di aule studio e multimediali, costo altissimo dei testi, costo dei trasporti, costo dei testi, le biblioteche aperte per poche ore al giorno, si capisce perché, per i figli degli operai, l'università è diventata una chimera. Secondo un'indagine di Eurostudent solo il 14% degli universitari italiani proviene dalla classe operaia, intesa in senso largo. Tasse e balzelli A partire dall'introduzione dell'autonomia finanziaria (DM 509/99, governo di "centro-sinistra"), la vessazione degli studenti con tasse e balzelli regionali si è andata inasprendo in maniera insopportabile. Generalmente lo studente paga una cifra di tasse che è differenziata in base alla facoltà di appartenenza, oppure a gruppi di facoltà (umanistiche e scientifiche). In teoria ciò avviene in base "al costo dei servizi che offrono le Facoltà", ma nella maggior parte dei casi tale costo non è né trasparante né verificabile, e per questo non reso pubblico. Altre differenziazioni possono riguardare gli studenti in corso e fuoricorso, part-time e full-time, oppure le lauree triennali e specialistiche. Dilagano persino le differenziazioni interne agli Atenei, tra facoltà e facoltà, tra corsi di laurea e corsi di laurea della stessa facoltà. Immaginiamo cosa accadrà con la devolution che inasprisce il federalismo già voluto e sancito nella modifica costituzionale dal "centro-sinistra". Anche per quanto riguarda "il reddito" i meccanismi di calcolo sono differenti in tutti gli atenei. Vengono generalmente determinate delle fasce, in cui la tassa minima corrisponde mediamente alla quota di reddito inferiore a 20.000 euro, la tassa media è intorno ai 30.000 euro, la tassa massima è sopra i 40.000 euro. Queste cifre dovrebbero corrispondere al reddito annuo generalmente calcolato secondo il metodo Isee (riccometro). Si tratta di un sistema di fasciazione complicato, ma talmente antipopolare e odioso che ha determinato un aumento notevole dei beneficiari di "sconti sulle tasse" per gli studenti provenienti da famiglie il cui reddito deriva da lavoro autonomo, a scapito di famiglie il cui reddito proviene da reddito dipendente e di famiglie con più figli iscritti all'università. Per quanto riguarda "il merito", si è assistito ad un aumento indiscriminato del numero di Cfu (crediti formativi) richiesti per accedere e/o continuare ad usufruire dei "benefici del diritto allo studio", la limitazione dell'accesso agli stessi benefici solo per gli studenti "in corso", la diminuzione delle agevolazioni per gli invalidi, anche gravi. In sostanza buona parte delle facoltà ha instaurato un sistema di agevolazioni, peraltro misere, unicamente basato sul concetto borghese dei "capaci e meritevoli". Attualmente è stabilito un "tetto massimo del 20%" dell'ammontare complessivo delle tasse universitarie in rapporto al fondo di finanziamento ordinario per l'università (FFO). Esso è sforato in molti atenei, per cui le cifre nominali che si stanno raggiungendo (vedi Bologna e Milano) sono delle insormontabili barriere d'accesso ad alcuni corsi di laurea per gli studenti di estrazione proletaria e popolare. Nel 2004/2005 sono 540 euro per la prima rata, fino a 2.660 euro per la seconda rata della facoltà di medicina e chirurgia. Numero chiuso Sempre in base alle leggi sull'autonomia, questa volta didattica, alcuni corsi universitari prevedono ormai da anni un numero limitato di posti (numero programmato) definito a livello nazionale. Nella maggior parte dei casi la selezione degli studenti viene effettuata in base al voto di maturità e al risultato di un test attitudinale predisposto dal ministero dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, con annesso bollettino di pagamento per la partecipazione alle prove, costo del materiale per la preparazione al quiz, eventuali lezioni private, ecc. Per molti anni queste prove si sono svolte nella totale illegalità, infatti in mancanza di una disciplina (legge) nazionale le facoltà introducevano il numero chiuso senza averne il diritto. Conseguentemente, il legislatore ha approvato la normativa richiesta: si tratta della legge 264 del 2 agosto 1999 (detta Zecchino-D'Alema). Essa prevede che siano a numero programmato definito a livello nazionale "i corsi di laurea in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, in architettura, in scienza della formazione primaria; i corsi universitari di nuova istituzione o attivazione per un numero di anni corrispondente alla durata legale del corso; i corsi o le scuole di specializzazione individuate da specifici decreti; le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario; i corsi di formazione specialistica dei medici; le scuole di specializzazione per le professioni legali; infine, sono programmati dalle università corsi di laurea per i quali l'ordinamento didattico preveda l'utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti-studio personalizzati; i corsi di diploma universitario afferenti alle facoltà mediche o per i quali l'ordinamento didattico prevede l'obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, da svolgere presso strutture diverse dall'ateneo". Poi è venuta l'approvazione del documento dei requisiti minimi (gennaio 2002), il famoso "bollino blu" della Moratti. Cosicché tutti quei corsi con strutture e docenti insufficienti rispetto al numero degli iscritti, ossia la stragrande maggioranza a seguito del prolungato blocco delle assunzione nel pubblico impiego e del turn over (per la prima volta dal governo Berlusconi esteso non solo ai ricercatori ma anche ai docenti universitari), o hanno sdoppiato il corso o hanno dovuto instaurare il numero chiuso, pena l'eliminazione dei finanziamenti statali. Un solo dato, per spiegare cos'è il numero chiuso: il numero degli studenti che possono accedere ai corsi di laurea per tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro è in tutta Italia di 513, di cui 20 alla Federico II di Napoli e 15 all'Università di Palermo! Attualmente non ci sono solo studenti che vengono sbattuti fuori dalla facoltà, ma anche studenti "ammessi sub-judice", per i quali vengono indicati specifici obblighi formativi aggiuntivi da soddisfare nel primo anno di corso. Tali obblighi formativi aggiuntivi sono assegnati anche agli studenti dei corsi di laurea ad accesso programmato che siano stati ammessi ai corsi con una votazione inferiore a una quota minima prefissata. Borse di studio Nel passaggio dalla prima alla seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista gli enti per il diritto allo studio sono stati esternalizzati e aziendalizzati, i criteri per stabilire l'accesso ai benefici del cosiddetto "diritto allo studio" sono andati stravolti in senso peggiorativo, anche dal punto di vista legislativo, basti ricordare che le forme di sostegno per gli studenti "privi di mezzi" si limitano alla cosiddetta "borsa di studio". Nell'anno accademico 2001/02 essa infatti ha assorbito il 95,1% della spesa in questo settore, una spesa peraltro che negli anni non è stata adeguata né all'inflazione reale né alle variazioni demografiche che influenzano la popolazione universitaria. Il numero di studenti borsisti nel 2001/02 è stato di quasi 137.000, ovvero il 14% degli studenti iscritti regolari, meno del 5% degli iscritti totali. Le cifre dell'elemosina di Stato parlano da sole: uno studente "idoneo" (cioè che ha diritto secondo la normativa in vigore alla borsa di studio) che studia nelle università della Basilicata, se riesce a venir fuori dai mille obblighi burocratici e meritocratici minuziosamente elencati nel bando dell'Ardsu, dovrebbe ricevere 4.101,43 euro se è fuori sede, 2.261,04 euro se è pendolare, 1.545,92 euro se risiede dov'è l'università ma è nell'ultima fascia del reddito. L'Udu ha calcolato che unicamente per la casa, per il mangiare, per i trasporti, per i libri e per le tasse, il costo totale mensile medio per un fuorisede è di 474 euro. Secondo gli ultimi dati forniti dal Cnsu (Consiglio nazionale studenti universitari), ad oggi la percentuale di studenti idonei in rapporto al numero di studenti totali si attesta mediamente intorno al 10%, di questi però solo una parte si vede assegnata la borsa di studio (il 75% in media a livello nazionale). Un'altra cospicua parte di "idonei", ammontante nel 2002 a circa 65mila studenti e nel 2003 a 45.600 studenti, è esclusa, di fatto illegalmente, dal cosiddetto "livello essenziale del diritto allo studio universitario". Il grado di copertura degli studenti idonei era del 79,2% nell'a.a. 1999/2000, mentre è sceso al 66% nel 2001/02, e il Sud, come ammette lo stesso Miur in un rapporto del 22 luglio 2003, è sempre più fanalino di coda, con un grado di copertura nell'anno 2001/2002 del 48,1% (era il 65,2 l'anno precedente), il che significa appena 37.436 borse di studio erogate, e masse popolari tagliate letteralmente fuori dall'istruzione universitaria. 12 ottobre 2005 |