Dopo i rinnegati Fassino e Violante Anche Veltroni si autocritica sulle foibe Dopo la visita ufficiale alla foiba di Basovizza il sindaco diessino di Roma ha dichiarato: "Non sono mai stato comunista, il comunismo ha prodotto un immenso dolore" I fascisti cantano vittoria L'anno scorso fu Piero Fassino a fare solenne autocritica sulle foibe e sulla questione dei cosiddetti esuli istriano-dalmati, rinnegando e condannando la linea tenuta allora dallo stesso PCI, per preparare il terreno al voto della Quercia assieme ai fascisti sull'istituzione del "giorno del ricordo" da celebrare ogni 10 febbraio. Quest'anno, a pochi giorni dalla prima celebrazione, è stato il suo compare Walter Veltroni a fare la stessa sporca operazione, recandosi il 31 gennaio in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza alla testa di una delegazione del Comune di Roma, in quei luoghi dove ormai anche i rinnegati della Quercia hanno fatto il viottolo da quando ci andò per primo Fassino già nel 1989. Prima di partire, però, il sindaco della capitale ha voluto preparare convenientemente il terreno con un articolo pubblicato il 28 gennaio sul principale quotidiano romano, "Il Messaggero" del costruttore Caltagirone, e ripetuto pressappoco con le stesse parole su "l'Unità" del 1• febbraio, in cui nell'annunciare il pellegrinaggio nella Venezia Giulia, ha unito la sua voce "sinistra" al coro assordante della Casa del fascio e dei mass-media di regime, che sulle foibe e sul cosiddetto esodo degli italiani dall'Istria e dalla Dalmazia ha imbastito un'asfissiante e becera campagna anticomunista e di riscrittura della storia del dopoguerra in chiave nazionalista e fascista. Dando per oro colato il falso storico fabbricato ad arte dalla destra dei "massacri" di italiani ad opera dei partigiani jugoslavi, e trattando invece come fatti secondari e marginali i crimini commessi dal fascismo in quelle terre fino al 1945, Veltroni così pontifica: "Il punto è che nulla, nessun rancore storico, nessuna 'resa dei conti', può giustificare l'uccisione di migliaia di persone e il modo orribile in cui ciò avvenne. I morti delle foibe appartengono alla sterminata schiera di vittime delle follie ideologiche, dell'intolleranza, delle pulizie etniche che hanno attraversato il Novecento e l'Europa". Ed ha aggiunto: "Per lunghi anni su questa vicenda è calato, nel nostro Paese, un sostanziale oblio. Ha contribuito a tale colpevole rimozione una parte della cultura della sinistra, rimasta prigioniera dell'ideologia, subalterna per dirlo con chiarezza alle esigenze del comunismo internazionale... ora si deve dire, nel modo più netto, che non sono ammesse amnesie, né reticenze o rimozioni di sorta: quella dell'esodo-espulsione e quella delle foibe sono pagine vergognose della nostra storia. Pagine che non si possono dimenticare o espungere, ma che appartengono per intero alla storia di tutti gli italiani". Quindi non solo Veltroni sposa in pieno e senza nemmeno fiatare le falsità storiche sulle foibe e sull'"esodo", ma si spinge fino a condannare il PCI, il movimento operaio e gli antifascisti, che quelle falsità si trovarono allora a dover confutare e combattere in quanto agitate strumentalmente dal risorgente fascismo in chiave nazionalista, revanscista e anticomunista viscerale. Per arrivare dove? A offrire alla destra del regime neofascista, (e segnatamente ad AN, con cui il sindaco della capitale, tramite il governatore del Lazio, il fascista Storace, ha un rapporto di collaborazione) un patto di reciproco riconoscimento tra ex fascisti e rinnegati del comunismo; sulla base, secondo le parole dello stesso Veltroni, di "una memoria collettiva che significhi riconoscimento della verità storica, di una storia comune, come valore civile condiviso". Cioè, in pratica, della storia riscritta come vuole il regime neofascista, in chiave anticomunista e antiresistenziale. Non c'è da meravigliarsi, allora, se il quotidiano fascista "Secolo d'Italia" del 29 gennaio, nell'esultare per l'"autocritica di Veltroni sulle foibe", così scrive: "Oggi un esponente dell'ex PCI compie finalmente un'autocritica salutare per tutte le parti politiche, organizzando una visita istituzionale a Basovizza, cioè facendo seguire alle parole i fatti. E una destra matura e consapevole del ruolo avuto in passato su questo spinoso tema non può che accogliere la visita di Veltroni con quello spirito di superamento della partigianeria politica che deve contraddistinguere tutti gli italiani dinanzi a tragedie come queste, anche quando sono avversari, anche quando si combattono lealmente". E nemmeno c'è da meravigliarsi che dopo aver incassato l'autocritica di Veltroni il foglio fascista rilanci la posta proponendo che l'anno prossimo ad accompagnarlo in pellegrinaggio a Basovizza sia il governatore del Lazio Storace, a sancire lo squallido sodalizio anticomunista tra la destra e la "sinistra" del regime neofascista. Intanto, comunque, della delegazione capitolina faceva già parte un fascista: Fabrizio Ghera, consigliere comunale di AN, che accompagnava il sindaco assieme al consigliere diessino Rino Gasparri. Come fascista doc è Roberto Menia, il deputato triestino di AN promotore della legge sul "giorno del ricordo", che assieme al Sindaco di Trieste, il berlusconiano Di Piazza, ha fatto gli "onori di casa" al penitente Veltroni, che davanti alla foiba di Basovizza li ha mandati in visibilio non esitando a dichiarare che "il comunismo ha prodotto un immenso dolore". Davvero una degna compagnia per questo rinnegato del comunismo! Che poi, a essere esatti, non è nemmeno tale, nel senso che è per sua stessa ammissione anticomunista da sempre. Non è cioè mai stato "comunista", nemmeno quand'era dirigente del PCI revisionista, come peraltro aveva già dichiarato in un'intervista e come ha voluto ribadire anche in questa occasione a un giornalista del berlusconiano "Il Giornale". Alla domanda "Ma lei, dopo lo strappo di oggi, si sente un ex comunista o un post comunista?", Veltroni ha risposto infatti: "Né l'uno né l'altro, davvero. Io non sono cambiato, non ho cambiato nulla di quello che pensavo dieci o vent'anni fa su queste tragedie". E rispondendo poi alla domanda se l'aver dichiarato a suo tempo di non essere mai stato comunista fu una forzatura, ha aggiunto. "No, è la verità. Chi aveva una formazione politica e culturale come la mia non poteva non sentire il comunismo reale come odioso e nemico". 9 febbraio 2005 |