Dalle colonne compiacenti di "Repubblica" Veltroni invoca un'intesa tra le due coalizioni per le controriforme istituzionali L'ambizioso sindaco di Roma spinge per il partito democratico modello Usa. Anche Napolitano è per le "larghe intese" Montezemolo: "La riforma dello stato priorità delle priorità Il sistema politico italiano rischia la paralisi. Per uscirne occorrono riforme istituzionali presidenzialiste, da attuare con un'intesa bipartisan tra i due poli. Io sono pronto a guidare il polo dei "democratici" in una repubblica presidenziale bipolare sul modello Usa: questo in buona sostanza il succo della verbosa intervista che il neopodestà di Roma, Walter Veltroni, ha rilasciato al quotidiano portavoce della "sinistra" borghese, "La Repubblica", che gli ha dedicato un'intera pagina nell'edizione del 5 novembre, con tanto di foto del primo cittadino mentre fa la sua comparsata trionfale alla "festa del cinema" da lui voluta e organizzata di recente nella capitale. "Il sistema politico italiano è arrivato a un punto di non ritorno e ha bisogno di una radicale svolta", esordisce infatti Veltroni nel suo studio "con vista sui Fori imperiali" rispondendo alle domande di Massimo Giannini, il giornalista più usato dai leader rinnegati dei DS, in particolare D'Alema, Fassino e lo stesso Veltroni, per esternare posizioni e lanciare proposte politiche. La "svolta radicale", come la intende Veltroni, non è altro che un'ulteriore e più decisiva dose di presidenzialismo, da inoculare nella ormai moribonda repubblica parlamentare per affossarla definitivamente, riprendendo il filo della controriforma costituzionale stoppata dal referendum dello scorso giugno: "Per la sinistra - spiega infatti il neopodestà capitolino - è ormai giunto il momento di sfatare un altro dei suoi grandi tabù: il rapporto tra la sfera della decisione e la sfera del controllo. Nella nostra cultura, forgiata nell'antifascismo, la difesa del parlamento è stata per molti anni la difesa della democrazia. Ma riaffermare questo principio non può spingerci a considerare la sfera della decisione come un 'male'. La società è in continua trasformazione. La lentezza e la ferraginosità della politica rischiano, qui sì, di creare una crisi democratica". Insomma, suggerisce Veltroni cogliendo al balzo i primi scricchiolii nel governo Prodi e il ritorno in circolazione dell'ipotesi di un "governo di larghe intese", occorre che gli "uomini di buona volontà dei due schieramenti" si seggano intorno a un tavolo riprendendo subito il dialogo sulla controriforma costituzionale. La "strada maestra" per lui sarebbe una "Commissione costituente, che riscrive le regole del gioco, le norme che regolano i rapporti tra esecutivo e legislativo, in modo tale da avere un parlamento che controlli e dia gli indirizzi ad un governo che operi nella pienezza dei suoi poteri": in sostanza un "premierato forte" come quello già varato dalla Casa del fascio e bocciato dal referendum, che lo zelante paggio del regime neofascista si incarica di far rientrare dalla finestra. In via subordinata egli si accontenterebbe anche di una procedura "per via ordinaria", attraverso le commissioni parlamentari, per riscrivere la legge elettorale con l'indicazione del premier sulla scheda, sul modello presidenzialista adottato per l'elezione dei sindaci. Ovviamente, anche se non lo dice a chiare lettere, egli pensa di essere il candidato ideale della "sinistra" borghese per questo appuntamento con le prime elezioni in regime di premierato. È a questo punto, infatti, che il compiacente intervistatore inserisce opportunamente il tema del "partito democratico", fornendo all'intervistato la sponda per criticare il modello "federalista" che stanno portando avanti le segreterie dei DS e della Margherita, come "semplice somma" dei loro bacini elettorali, contrapponendo loro il "suo" modello, mutuato da quello del partito democratico degli Usa: un partito marcatamente interclassista, completamente sganciato da ogni retroterra ideologico ("anche la parola socialismo ha bisogno di essere ripensata, nel terzo millennio", dice infatti Veltroni), capace di aggregare le forze più eterogenee, sulla base di un programma genericamente riformista e "liberal", ma soprattutto intorno alla figura di un leader presidenzialista all'americana, anche se nell'accezione del "premierato forte", quale egli ovviamente si candida a impersonare. "Fino al 2011 sarò qui, a fare il sindaco di Roma. Poi si vedrà. Il mio futuro non è importante", conclude infatti sornione il neopodestà capitolino, lasciando invece capire di pensare a un futuro ben più ambizioso di quello di andare a fare il "missionario laico" in Africa. Del resto quella dell'Africa era stata una delle sue tante trombonate mediatiche che gli sono servite per scalare il Campidoglio, presto abbandonata dopo che con il secondo mandato le sue ambizioni politiche sono cresciute in proporzione al consenso che ha saputo abilmente costruirsi intorno manovrando le leve del potere locale, dalle lobby economiche al Vaticano, dagli ambienti della cultura e dello spettacolo ai gruppi movimentisti e trotzkisti, pescando consensi perfino nella destra reazionaria e neofascista con i suoi continui quanto infami attacchi al comunismo, l'esaltazione dei "martiri delle foibe", l'appoggio ai nazi-sionisti israeliani, ecc. La realtà è che egli punta invece ben più alto dello stesso Comune di Roma, che gli è servito solo come trampolino di lancio verso le più alte cariche istituzionali, spinto dalle forze economiche e politiche che lo foraggiano e puntano su di lui: tra le quali, a quanto pare, c'è nientemeno che la Confindustria, visto che il suo presidente Montezemolo ha immediatamente fatto eco alla proposta di Veltroni, anche lui dalle colonne di "Repubblica", dichiarando che "la riforma dello Stato è la priorità delle priorità. Per questo l'appello di Veltroni andrebbe raccolto da tutti coloro che hanno a cuore il futuro del Paese e la sua modernizzazione". Da notare che anche Forza fascisti del neoduce Berlusconi apre alla proposta di Veltroni, anche se, con Bondi, sottolinea che l'idea sarebbe realizzabile "solo facendo saltare Prodi" e dando vita "ad un governo di larghe intese". Un'ipotesi, quest'ultima delle "larghe intese" per fare la controriforma costituzionale, cara anche al rinnegato Giorgio Napolitano, visto che in una postfazione a un suo libro dedicato alla stagione "incompiuta" delle "riforme istituzionali" del 1992-94, recentemente pubblicata dal "Corriere della Sera", ha sottolineato come serva adesso "uno sforzo di maggior realismo nel perseguire un'evoluzione ulteriore del sistema politico e istituzionale", mirando in primo luogo "a ristabilire un clima di più costruttivo confronto tra tutte le forze politiche nell'era del bipolarismo". 15 novembre 2006 |