"L'Unità" lo spalleggia
(Onore a Pol Pot) Veltroni paragona Pol Pot e il socialismo al nazismo Anche i revisionisti e i trotzkisti prendono le distanze da Pol Pot I rinnegati ex dirigenti del PCI revisionista vogliono completamente ripulirsi del loro passato da "comunisti" per compiacere i loro padroni capitalisti Il neosegretario del PD Walter Veltroni si è più volte vantato di non essere mai stato comunista, ma mai si era spinto fino a vomitare tanto veleno anticomunista arrivando a paragonare Pol Pot e il socialismo al nazismo. "Ho visto le foto dei campi di concentramento di Pol Pot - ha commentato in occasione della presentazione del libro di Cristina Comencini ("L'illusione del bene") -. Erano delle foto agghiaccianti non diverse da quelle che tra 10 giorni troverò andando ad Auschwitz. Sono diversi i colori delle bandiere, sono diverse le motivazioni, ma le vite degli esseri umani sono le stesse". Insomma la Cambogia socialista uguale alla Germania nazista, Pol Pot uguale a Hitler. E tutto questo proprio mentre il capogruppo dell'UDC alla Camera, Luca Volontè, avanza la sua provocatoria e aberrante proposta di legge "per il divieto di apologia del comunismo". Veltroni come tutti i rinnegati ex dirigenti del PCI revisionista hanno fretta di ripulirsi del proprio passato "comunista" per compiacere i loro padroni capitalisti e fornire la prova provata della loro affidabilità liberale e della loro fedeltà al regime capitalista, neofascista, federalista e imperialista. Così finiscono per eguagliare, se non addirittura qualche volta superare a destra, gli anticomunisti storici. E come spesso accade esponenti revisionisti e trotzkisti, come Marco Rizzo del PdCI e Nino Frosini, segretario regionale toscano del PdCI, nonché Franco Turigliatto, ex PRC, ora "Sinistra critica", invece di smascherare questa infame operazione anticomunista, finiscono col farne un pretesto per prendere le distanze da Pol Pot. Rizzo arriva addirittura a trasformare i carnefici in liberatori sostenendo che la "Cambogia è stata liberata dall'Esercito popolare del Vietnam comunista". Frosini ne sposa la stessa tesi spingendosi fino a definire comunque "paragone giusto" quello, sostenuto da Veltroni, fra il "feroce dittatore cambogiano" e il nazismo. Il trotzkista storico Turigliatto invece si limita a criticare la "superficialità storica" di Veltroni: "Non è da oggi che denuncio i crimini dello stalinismo ma se vuole fare una critica costruttiva, almeno spieghi le differenze". Nella sua crociata anticomunista Veltroni è stato spalleggiato da "l'Unità". All'indomani della sua sortita, il 31 ottobre, Lina Tamburrino firma un articolo in prima pagina dal titolo "Pol Pot, lo sterminio dimenticato" col quale tenta di dare fondamento alle tesi aberranti di Veltroni. Tentativo andato fallito tante sono le falsità e le mistificazioni storiche contenuti in quell'articolo che vorrebbe ricostruire gli "orrori" dell'esperienza cambogiana. A dire il vero, l'articolo si limita a riproporre la stessa immagine trita, le stesse menzogne, le stesse false accuse di "genocidio", di "sterminio", di "follia", di "terrore" che da decenni gli intellettuali al soldo dell'imperialismo e della reazione mondiale vomitano su Pol Pot e l'esperienza del socialismo da lui avviata nel 1975 nel Kampuchea Democratico. La Tamburrino aggiunge di suo solo due enormi falsità che la dicono lunga sull'obiettività e veridicità della sua ricostruzione storica. La prima è che Pol Pot si sarebbe suicidato, quando la verità ufficiale è che egli è morto, il 15 aprile 1998, per un attacco cardiaco. Pur gravemente malato da anni di malaria, aveva continuato a vivere nella giungla, fra il suo popolo, rifiutando sempre di rifugiarsi all'estero e di essere curato altrove. La seconda falsità è che Lon Nol fu "defenestrato" nel 1975, lasciando intendere che si trattò di una sorta di colpo di Stato interno al regime, ignorando completamente che la sua cricca fascista e l'esercito imperialista americano che aveva occupato il Paese furono cacciati dall'esercito rivoluzionario del Kampuchea dopo oltre 7 anni di guerra popolare e di liberazione nazionale. Il Kampuchea fu infatti il primo paese dell'Indocina a riportare la vittoria sull'imperialismo americano liberando definitivamente la capitale Phnom Penh il 17 aprile 1975. Come sempre pur di attaccare il socialismo e il comunismo si finisce con lo stravolgere la verità e oscurare completamente le ragioni non solo di un uomo, Pol Pot, ma di un intero popolo che ha conquistato con la lotta e col sangue la propria indipendenza e libertà. E come è ormai costume, si attacca Pol Pot per finire con l'attaccare Stalin, Mao, la Grande Rivoluzione Culturale proletaria, il socialismo che sarebbero stati i modelli ispiratori e la giustificazione ideologica di tale "sanguinaria follia". "Pol Pot - scrive la Tamburrino - non ha subito solo le suggestioni dello stalinismo francese, ha avuto come maestri anche i comunisti vietnamiti - diventati poi suoi nemici - e il maoismo della costruzione dell''uomo nuovo' e della 'rivoluzione culturale'". "Ma - aggiunge - l'allievo è più impietoso dei suoi maestri". I presunti "crimini" di Pol Pot A dire il vero la prima parte dell'elenco dei "crimini" di Pol Pot possono sembrare tali solo a dei liberali e servi dei padroni come i pennivendoli dell'"Unità". Infatti, Pol Pot "Abolisce moneta, mercato, proprietà privata", lamenta inorridita la Tamburrino. Poi aggiunge: "costringe gli abitanti delle città a trasferirsi in campagna per fare i contadini; vieta la religione buddista; smantella la famiglia; crea i killing fields, campi di concentramento dove lascia morire centinaia e centinaia di migliaia di suoi ritenuti avversari. Massacra anche i suoi compagni di partito per scovare - in un classico meccanismo stalinista - i traditori accusati di stare dalla parte dei vietnamiti. L'economia non esiste più e la gente muore di fame e di stenti. Il bilancio di quei quattro anni è noto: quasi due milioni di morti, il 20% della popolazione". Ovviamente di questi presunti "massacri" non è in grado di fornire uno straccio di prova che non siano quelle costruite ad arte dagli imperialisti. Come le macabre foto di teschi e ossa, ripubblicate per l'ennesima volta, che in realtà testimoniano il sacrificio di migliaia di kampucheani per difendere il proprio paese dalle aggressioni imperialiste americana e vietnamita. O come il film del 1984, "Killing fields" ("Urla del silenzio") del regista inglese Roland Joffé, che per questo si guadagnò anche tre Oscar nell'olimpo hollywodiano, il cui soggetto è stato fornito nientemeno che dal "best-seller" del giornalista del New York Times, Sidney Schanberg, corrispondente americano da Phnom Penh. Ma mentre si arrampicano sugli specchi per dimostrare l'indimostrabile sulle presunte "atrocità" di Pol Pot, tacciono colpevolmente sui crimini commessi in Cambogia dagli imperialisti francesi e americani prima, e dai revisionisti vietnamiti al soldo dell'allora socialimperialismo sovietico poi. Non una parola sui decenni di sfruttamento coloniale francese e di oppressione feudale; sull'aggressione americana e la cricca fascista di Lon Nol; sulle 5.000 tonnellate di bombe Usa sganciate ogni giorno in Cambogia; sulle 30 città e i numerosi villaggi rasi al suolo, le vie di comunicazione, le reti fognarie, gli ospedali e le scuole distrutti; sulla fiorente agricoltura devastata dai defolianti chimici e dal napalm; sugli 800 mila cambogiani, il 12% della popolazione, uccisi dai bombardamenti e dalla fame; sull'80% della popolazione afflitta dalla malaria grazie alla guerra. Non una parola, se non di plauso, sulla fulminea invasione di stampo hitleriano delle truppe vietnamite il 7 gennaio 1979 che provocò in un solo anno un milione di morti, devastazioni, stermini, carestia, un esodo forzato di centinaia di migliaia di profughi verso la Thailandia. Una guerra di genocidio, di sterminio di una nazione, di un popolo e di un'intera razza finalizzata all'antico sogno vietnamita di inglobare la Cambogia nel "grande Vietnam" e proseguire l'espansione nel sud-est asiatico. Criminale non fu Pol Pot che ricondusse la popolazione nelle campagne e ai propri villaggi di orgine per evitare una catastrofe immane che sarebbe stata inevitabile se avesse lasciato tre milioni di cambogiani concentrati in una città ormai distrutta, alla fame, incapace di provvedere ai bisogni più elementari e di aver cercato così, peraltro riuscendoci, di assicurare a tutto il popolo cibo sufficiente, un tetto sulla testa, cure e assistenza sanitaria. Non fu criminale Pol Pot che in appena tre anni di governo socialista riuscì ad alfabetizzare il 90% della popolazione, a sconfiggere quasi del tutto la malaria e la tossicodipendenza attraverso la diffusione capillare dei presidi ospedalieri, delle fabbriche di medicinali e dei farmacisti a livello di ogni villaggio. Se fosse stato un "dittatore", un "sanguinario", un "affamatore", avrebbe potuto rimanere alla testa del suo popolo per oltre un decennio ingaggiando una lunga guerra di resistenza e di guerriglia contro l'invasore vietnamita e i suoi governi fantoccio? Criminale fu chi soffocò con i tank, i gas tossici e le armi chimiche, i massacri, gli stupri e le torture la libertà di un popolo che aveva diritto a decidere da solo il proprio destino, che stava costruendo con sacrifici enormi le basi del proprio benessere, una società del tutto nuova e socialista, in cui era bandito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, regnava la giustizia sociale e la vera democrazia proletaria. Basta vedere che cosa è oggi la Cambogia per capire chi aveva e ha ragione e chi ha torto. 7 novembre 2007 |