Due avvisi dalla procura di Bari in 24 ore Vendola indagato: "Favori' un primario" e "una clinica ecclesiastica" Il governatore della Puglia è accusato di abuso d'ufficio, falso ideologico e peculato. Tra gli indagati anche il vescovo di Altamura Ha il dovere di dimettersi Un'altra violenta bufera giudiziaria ha travolto la sanità pugliese e in prima persona il governatore Nichi Vendola, segretario di Sel, che ha avuto notizia a distanza di 24 ore di essere indagato dalla procura di Bari in due distinti filoni di inchiesta: per aver pilotato un concorso da primario e favorito la clinica ecclesiastica Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari). La prima accusa Il primo avviso di garanzia recapitato a Vendola e all'ex direttore generale della Asl di Bari, Lea Cosentino (soprannominata Lady Asl, già accusata di associazione per delinquere e corruzione in diversi processi) è per concorso in abuso d'ufficio. È la seconda volta che il governatore pugliese incappa in tale reato. Anche due anni fa si trattava di presunte pressioni per la nomina di un manager sanitario. Ma la vicenda fu archiviata perché ritenuta legittimo spoil sistem (letteralmente: sistema del bottino), ossia la prassi delle forze politiche al governo di spartire le cariche istituzionali e di potere fra gli affiliati. Una prassi di importazione americana che rende "legittimo" quello che in Italia si definirebbe "clientelismo". Questa volta l'accusa è di aver favorito la nomina di un primario amico. La Cosentino nell'aprile scorso ha infatti raccontato ai magistrati di aver ricevuto, tra la fine del 2008 e la primavera del 2009, pressioni da Vendola perché "venissero riaperti i termini del concorso da primario di chirurgia toracica all'ospedale barese San Paolo in modo che potesse parteciparvi un medico che egli intendeva favorire, Paolo Sardelli".. E continua: "era chiaramente una forzatura, ma Vendola mi disse di farlo perché mi avrebbe tutelata". Il concorso fu riaperto e Sardelli lo vinse perché "era il più titolato", ammette la Consentino. Ancor prima dei fatti contestati a Vendola, l'ex assessore alla sanità, il plurinquisito Alberto Tedesco (poi eletto senatore PD per sottrarlo all'arresto e ora passato al gruppo misto) in una conversazione intercettata con un dirigente sanitario, Rocco Canosa, spiegava che "questo Sardelli si è arruffianato Maria Celeste Nardini", ex parlamentare, barese, del PRC, che era stata curata dal futuro primario. "Peraltro - aggiunge Tedesco - questo fa parte del gruppo di Carpagnano (Francesco Carpagnano, primario chirurgo a Bari, ndr)... Avevano creato una sorta di cartello". "Ora è chiaro - conclude l'ex assessore - che questi faranno casino, e secondo me arriveranno a Nichi attraverso la Nardini". Come poi si è avverato. "Ho solo fatto in modo che vincesse il più bravo" ha replicato stizzito Vendola. Ma il punto, e lo sa pure lui, non è questo. Un pubblico amministratore non può piegare la legge e le regole a vantaggio di nessuno, nemmeno di chi a suo esclusivo parere, lo "meriterebbe". E non è la prima volta. La seconda accusa La seconda inchiesta in cui è coinvolto Vendola è quella che riguarda una transazione finita male con l'ospedale regionale, nonché ente ecclesiastico "Miulli" di Acquaviva. In questo caso è indagato assieme agli ex assessori alla sanità Tommaso Fiore (chiamato da Vendola a sostituire Tedesco) e Alberto Tedesco, all'ex dirigente regionale Nino Messina, oggi al Miulli come direttore amministrativo, al vescovo di Altamura Mario Paciello governatore del Miulli, al reggente dell'ospedale don Mimmo Laddaga e all'ex direttore amministrativo Rocco Palmisano. Le accuse vanno dal falso ideologico, all'abuso d'ufficio, al peculato, con l'aggravante di aver commesso un reato per occultarne un altro. L'inchiesta si basa su una transazione che la Regione Puglia e l'ospedale Miulli dovevano stipulare su un debito di 150 milioni di euro che l'amministrazione regionale doveva al nosocomio di Acquaviva per opere edili e servizi sanitari per i quali erano previsti rimborsi non effettuati. L'accordo, che prevedeva una transazione di 45 milioni di euro, fu stipulato col Miulli nel 2008 dall'ex assessore Tedesco che però non completò l'opera perché costretto alle dimissioni. Fu il suo successore, Fiore, a portare in giunta l'accordo, siglandolo l'11 marzo 2009. Con delibera del 5 luglio 2010, però, fu disposta la sua revoca, in quanto sarebbe mancato un appoggio normativo e la relativa copertura finanziaria. Una decisione che spinge il Miulli a far ricorso al Tar il quale condanna la Regione a pagare ben 175 milioni di euro (più 17 milioni di ulteriori danni), 45 dei quali, la stessa somma della transazione, già pagati. Secondo i magistrati la decisione di annullare la delibera che autorizzava la transazione potrebbe essere stata una mossa per favorire il Miulli, in quanto era scontato il ricorso al Tar e la condanna della Regione al pagamento di una somma assai più cospicua. I PM al momento hanno messo nel mirino la firma della transazione e il pagamento della prima tranche. Un versamento di denaro per il quale Vendola avrebbe distratto somme che in bilancio erano destinate ad altri scopi. Nel frattempo vanno avanti anche gli altri filoni di indagini sulla sanità pugliese che ruotano sempre intorno al nome di Tedesco, che in tre giorni ha ricevuto ben quattro avvisi, dell'ex vicepresidente (PD) della giunta pugliese Sandro Frisullo, nonché di Lea Cosentino. Deve dimettersi Le responsabilità penali di Vendola saranno oggetto nei prossimi mesi degli accertamenti della magistratura barese. Ma le sue responsabilità politiche sono ormai certificate dalla catena di scandali che hanno investito la sanità pugliese negli ultimi tre anni, siamo ormai alla quinta inchiesta, e non solo. Decine e decine di indagati e rinviati a giudizio fra politici e amministratori, dirigenti Asl, imprenditori e boss mafiosi della sacra corona unita. Tutti accusati a vario titolo di reati gravissimi che vanno dall'associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, alla concussione, falso, truffa, abuso d'ufficio, voto di scambio e finanziamento illecito ai partiti. Scandali che dimostrano come la corruzione, il malaffare e gli intrecci politico-affaristico-mafiosi la fanno ancora da padrone nel sistema sanitario pugliese che come è noto assorbe oltre i tre quarti del bilancio regionale. Anche lo scandalo che ha investito Michele Emiliano, col quale Vendola aveva stretto un asse di ferro, a proposito dei legami del sindaco di Bari con gli imprenditori corruttori, lo chiama indirettamente in causa per mancanza vigilanza. Dov'era Vendola mentre accadeva tutto questo? La stessa Cosentino dichiarò in un lungo interrogatorio del 3 luglio 2009 che "il presidente Vendola non poteva non sapere" di tutto questo mercimonio che avveniva sotto i suoi occhi. Non basta certo l'abile mossa di aver "azzerato" la prima giunta sommersa dalla bufera giudiziaria a salvargli la coscienza. Vendola ha scelto e fortemente voluto Tedesco alla sanità, nonostante il suo palese conflitto d'interesse in quanto imprenditore, insieme ai figli, proprio nel settore sanitario. E poi ha scelto Fiore come suo sostituto e avrebbe voluto la stessa sua vecchia amica Cosentino come assessore se non fosse stata inghiottita dagli scandali. In possesso dei superpoteri di cui gode come governatore e forte della sua gestione di stampo presidenzialista e accentratrice del potere, egli aveva in prima persona la responsabilità di controllare e impedire per tempo che la melma della corruzione sommergesse la sanità pugliese. Aveva promesso la "primavera pugliese". Aveva incentrato fin dal 2005 tutta la sua campagna elettorale proprio sul malaffare della sanità pugliese rappresentato dal berlusconiano plurinquisito Fitto e promettendo "discontinuità e trasparenza". È stato un fallimento pieno, se non addirittura un puro inganno. Per manifeste responsabilità politiche, oltreché giudiziarie, Vendola ha il dovere di dimettersi. 18 aprile 2012 |