Calunnie imperialiste contro la Cina di Mao e il socialismo nel film anticomunista "Kundun" di Scorsese
( Mao sul Dalai ) -
( Accordo in 17 punti del 23 maggio 1951 ) La verità sul Tibet La questione del Tibet è stata creata ad arte dalla cricca reazionaria e semifeudale tibetana istigata e sostenuta dall'imperialismo e dalla sua politica aggressiva contro l'allora Cina socialista (articolo de "Il Bolscevico" n. 17 - 30 aprile 1998) Della nauseabonda orgia anticomunista scatenata dalla borghesia e dall'imperialismo che vomitano altro veleno e calunnie sul socialismo nel tentativo di cancellarlo definitivamente dalla mente del proletariato e dissuadere le nuove generazioni dall'aprire i libri del socialismo e del marxismo-leninismo-pensiero di Mao per spingerle ad abbandonare definitivamente l'aspirazione a trasformare il mondo, abbattere la società borghese e conquistare il socialismo fa parte a pieno titolo il film filobuddista, anticomunista e antiMao di Martin Scorsese, "Kundun"; il film riporta una parte della vita dell'attuale Dalai Lama, il XIV, dalla nascita alla fuga dal Tibet nel 1959, con la pretesa di raccontare la "vera storia" della questione tibetana. Scorsese legge la storia con le lenti della borghesia, della reazione e dell'imperialismo, deforma o nasconde in parte la realtà di come si sono svolti i fatti, per portare chi va a vedere il film a pensare, come Bobbio, che il comunismo per sua natura è dispotico e che si è imposto dovunque col terrore. Solo che ha sbagliato completamente esempio. La liberazione del popolo tibetano dalle catene della schiavitù feudale, la partecipazione della minoranza nazionale tibetana nel pieno rispetto dei suoi costumi e tradizioni allo sviluppo della società socialista nella Cina di Mao poteva essere un fatto compiuto in breve tempo; all'esercito popolare sarebbero bastati pochi giorni nel 1950 per spazzare via dal potere il governo reazionario tibetano e il pugno di nobili e ecclesiastici che opprimevano la popolazione, quella parte cioè dei circa 60 mila componenti la classe superiore che sfruttava i restanti quasi 1,2 milioni di tibetani tenuti in condizioni di schiavi. Come bastava un semplice ordine affinché il Dalai Lama fosse arrestato nel suo palazzo, il Norbou Linka, per impedirne la fuga in India. Il governo popolare centrale poteva prendere sotto il suo controllo non solo le questioni di politica estera e non lasciare intatto il sistema politico e sociale, l'esercito e la moneta, in attesa che il governo locale e il popolo tibetano decidessero da soli i tempi e i modi delle riforme. Tutto ciò non è avvenuto. L'esercito popolare non si è comportato in Tibet come un esercito occupante, è stato autosufficiente e autonomo per non pesare sulla popolazione; non ha represso e arrestato gli elementi reazionari istigati dall'imperialismo, che pure dal 1951 al 1959 hanno organizzato bande armate e compiuto violenze in varie parti della regione, lasciando il compito al governo locale nonostante che nella sua maggioranza fosse il centro interno della controrivoluzione; non ha sparato il primo colpo ma solo reagito una volta aggredito nella insurrezione controrivoluzionaria del 1959. Il governo centrale ha sottoscritto e mantenuto accordi affinché la trasformazione politica ed economica del Tibet avvenisse gradualmente e soprattutto col pieno consenso e la cooperazione degli strati superiori del Tibet. L'accordo in 17 punti per la liberazione pacifica del Tibet sottoscritto dal governo centrale e quello locale il 23 maggio 1951 traccia questa linea. Nelle parti riguardanti la riorganizzazione dell'esercito e le riforme ancora nel 1959, dopo otto anni, era al punto di partenza per il boicottaggio dei reazionari tibetani, eppure il governo popolare centrale aveva concesso altri anni di tempo affinché maturassero le condizioni per una sua piena applicazione. Si realizzeranno con la sconfitta delle forze reazionarie tibetane, costruita con le loro stesse mani. Ciò rispondeva alla lungimirante e corretta politica del governo popolare centrale, della Cina socialista guidata da Mao, verso le minoranze nazionali, applicata alla specifica situazione del Tibet, per far sì che il popolo tibetano e la regione autonoma del Tibet occupassero degnamente il loro posto nella Repubblica popolare. Diversa è oggi la situazione nella Cina guidata dai rinnegati dirigenti fascisti e revisionisti di Pechino che morto Mao hanno fatto molta strada sulla via del tradimento di Mao e del socialismo e della restaurazione del capitalismo. Ma questa è un'altra storia. Quella della liberazione pacifica del Tibet parla da sola; deve essere naturalmente letta con gli occhi del proletariato, una lettura di classe con la lente del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, opposta a quella spacciata dalla borghesia, dal Dalai Lama, da Scorsese. I LEGAMI STORICI TRA IL TIBET E LA CINA I legami storici tra il Tibet e la Cina sono inizialmente costruiti con matrimoni tra principesse cinesi spose a re tibetani. Nell'800 scoppiano dissensi tra il re e alti ecclesiastici che lo assassinano; seguiranno 400 anni di divisioni e scontri tra le tribù feudali. Nel 1253 l'armata dell'imperatore cinese ristabilisce l' unità della regione che è incorporata nell'impero. La struttura politica e religiosa del Tibet fu determinata gradualmente dai successivi governi imperiali. Nel 1275 l'imperatore Kubilai Khan (dinastia Yuans) conferì al capo della setta buddista di Sakyapa il titolo di referente per l'impero unificando il potere temporale e spirituale nella figura del Dalai Lama. Alle successive cerimonie di investitura dei nuovi Dalai, compreso l'ultimo il XIV, saranno sempre presenti inviati del governo centrale. I cambiamenti delle dinastie reggenti in Cina non portano modifiche alla struttura di potere tibetana. La nuova dinastia imperiale dei Tsings, conferma il potere del Dalai nel 1653. Il governo locale (kacha) è definito come compiti, struttura e funzioni come organo amministrativo, composto da 4 kaloons, dignitari d'alto rango inferiori solo al reggente che risponde al Dalai Lama. La struttura sociale di tipo feudale che vede sul gradino più alto poche centinaia di famiglie di nobili, gli alti ecclesiasti e i membri del governo possedere tutte le ricchezze della regione si manterrà sostanzialmente fino al 1959. LE INVASIONI COLONIALISTE Il declino della dinastia Tsings è segnato dalle aggressioni colonialiste alla Cina, ivi compresi i territori del Tibet che sono invasi dagli imperialisti britannici nel 1886. Le truppe inglesi si scontrano con una dura resistenza del popolo tibetano. Una seconda invasione inglese si ha nel 1904. Il popolo tibetano sconfitto sul piano militare proseguiva l'opposizione tanto che gli inglesi non poterono annettere la regione alle loro colonie. Cercarono così di provocare la disgregazione interna del Tibet appoggiandosi su un pugno di reazionari della classe superiore che rivendicavano la fine dell'oppressione dell'impero cinese per staccare il Tibet dalla Cina e portarlo sotto il controllo dell'imperialismo inglese. Una occasione capitò con la rivoluzione repubblicana in Cina nel 1911 contro la dinastia mancese. I gruppi di reazionari tibetani scatenarono una rivolta contro il residente imperiale a Lhasa ma anche contro i tibetani patrioti;, molti di loro furono assassinati, il IX Pantchen Erdeni fu costretto a fuggire dal Tibet per evitare l'assassinio. Gli inglesi convocarono la conferenza di Simla, nel 1913, tra Cina, Gran Bretagna e Tibet con lo scopo di definire un accordo per inglobare il Tibet nella loro colonia indiana. L'opposizione del popolo tibetano costrinse la delegazione cinese a non firmare l'accordo. Anche un secondo tentativo inglese nel 1918 fallì. MORTE XIII DALAI REGGENZA RABCHEN Alla morte del XIII Dalai (1933), in attesa del nuovo, la gestione dell'amministrazione degli affari tibetani spettò al reggente Rabchen, interprete dei sentimenti patriottici della popolazione ecclesiastica e laica del tibet che si opponeva alle mire separatiste e filo colonialiste dei gruppi reazionari tibetani. Rabchen appoggia la guerra contro gli invasori giapponesi condotta dalle forze comuniste dirette da Mao. Il successore del Dalai, l'attuale XIV°, fu trovato dal governo locale nel 1938 e insediato nel palazzo di Potala a Lhasa il 22 febbraio 1940 con una cerimonia a cui parteciparono come sempre inviati del governo centrale, allora del Kuomintang. I gruppi reazionari tibetani tornarono all'attacco nel 1947; finita la vittoriosa guerra contro l'occupazione giapponese infuriava in Cina lo scontro tra l'esercito popolare guidato da Mao e le truppe reazionarie del Kuomintang sostenute dall'imperialismo americano, che in Asia era affiancato dagli imperialisti britannici, francesi e olandesi per reprimere movimenti indipendentisti nelle colonie e per contenere "l'avanzata del comunismo". Già nel 1943 il governo locale del Tibet aveva annunciato la costituzione di un proprio ufficio per gli affari esteri. Nel 1947 un gruppo di reazionari tibetani organizzarono un complotto, arrestarono il reggente Rabchen, assassinato in carcere, e diversi patrioti fra cui il padre del Dalai Lama e presero il potere manifestando l'intenzione di separare il Tibet dalla Cina e trasformarlo in una colonia imperialista, secondo la teoria, esposta dagli inglesi della necessità di creare uno stato cuscinetto tra India e Cina. Gli inglesi convocheranno nel marzo 1947 una conferenza asiatica a Nuova Delhi alla quale il Tibet fu invitato come paese indipendente. A fianco delle ingerenze inglesi sul Tibet si schierarono gli Usa che nel mese di ottobre del 1947 invitarono nel loro paese una "missione commerciale tibetana". La missione arriverà negli Usa nel luglio 1948. La città indiana di Kalimpong diventa il centro esterno di base per l'aggressione imperialista al Tibet. Nel luglio 1949 a fronte della disfatta oramai in vista delle forze reazionarie del Kuomintang il governo locale del Tibet invita i rappresentanti del Kuomintang a lasciare Lhasa, per "prevenire l'infiltrazione comunista in Tibet". Nell'agosto del 1949 sulla stampa americana appaiono articoli che difendono la separazione del Tibet dalla Cina, il suo ingresso alle Nazioni Unite e chiedono al governo di aiutare militarmente il governo locale del Tibet. Gli imperialisti americani e inglesi vista fallita l'operazione di sostegno al Kuomintang cercano di sottrarre alla Cina socialista perlomeno il Tibet. Ma falliscono. NASCITA DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE. PROGETTO DI LIBERAZIONE PACIFICA DEL TIBET Il primo ottobre 1949 Mao proclama la nascita della Repubblica popolare cinese; tutta la Cina è liberata ad eccezione del Tibet e di Taiwan. Il 24 novembre 1949 da Pechino il Panchen Erdeni lancia un appello per la liberazione del Tibet. Il ministero degli esteri cinese denuncia le manovre imperialiste contro il Tibet il 20 gennaio 1950. Il governo cinese conferma la volontà di una liberazione pacifica del Tibet e nel luglio invia in Tibet il budda vivente Garda, un patriota tibetano vicepresidente del governo popolare provinciale del Sikang (la zona confinante col Tibet), a prendere contatto col governo locale e negoziare la liberazione pacifica della regione. Al suo arrivo a Tchamdo è bloccato dai reazionari tibetani organizzati da un agente britannico (Robert Webster Ford) che il 21 agosto lo fa arrestare e assassinare. Il governo popolare centrale dà perciò l'ordine all'esercito popolare di liberazione (Epl) di entrare in Tibet. I reazionari in seno al governo locale tibetano ordinano la resistenza a Tchamdo. Il 19 ottobre 1950 l'Epl libera Tchamdo. Il 1° novembre 1950 il segretario di Stato americano Acheson urla all'aggressione cinese al Tibet e annuncia pesanti conseguenze. Il governo indiano denuncia l'invasione del Tibet da parte della Cina. Perciò i reazionari tibetani guidati dal reggente Tagcha portano il Dalai a Yatung, da dove contano di spostarlo in India. Ma i tre principali monasteri e le masse popolari tibetane si oppongono, diversi consiglieri del Dalai disapprovano la fuga verso l'India e sono per aprire negoziati col governo popolare centrale. Nella primavera del 1951 Tagcha è costretto a dimettersi e il Dalai nomina 5 plenipotenziari incaricati di condurre per conto del governo locale i negoziati con il governo popolare centrale. Falliscono così le manovre imperialiste per staccare il Tibet dalla Cina. L'ACCORDO IN 17 PUNTI I negoziati sotto la condotta diretta del CC del PCC e di Mao si conclusero il 23 maggio 1951 con la firma dell'accordo in 17 punti per la liberazione pacifica del Tibet. In seguito alla firma dell'accordo il Dalai lascia Yatung e torna a Lhasa il 17 agosto 1951, dove il 26 ottobre l'esercito popolare entra acclamato calorosamente dalla popolazione. I reazionari tibetani per sabotare l'accordo dettero vita a una "assemblea popolare" per chiedere il ritiro dell'Epl dal Tibet, circondarono il comando dell'Epl a Lhasa e lanciarono attacchi armati contro patrioti tibetani. Il 27 aprile 1952 il governo locale allontanò dalle loro funzioni gli animatori dell'assemblea e ne ordinò il 1° Maggio lo scioglimento. L'atteggiamento della Cina di Mao come si comprende dall'accordo in 17 punti è di estremo rispetto delle specificità della situazione tibetana, non viene toccata l'organizzazione del governo locale e la struttura sociale, sono rispettate le credenze religiose, le usanze e i costumi locali, qualsiasi riforma è subordinata all'accettazione del governo locale. Da parte sua l'esercito popolare secondo le direttive di non pesare nemmeno per uno spillo sulle spalle della popolazione tibetana si autorganizza. In una direttiva interna del CC del PCC sul lavoro nel Tibet del 6 aprile 1952 si afferma: "Dobbiamo fare ogni sforzo e usare metodi appropriati per conquistare il Dalai e la maggioranza dei suoi strati superiori, isolare la minoranza dei cattivi elementi e arrivare in molti anni, gradualmente e senza spargimento di sangue, alla trasformazione politica ed economica del Xizang (Tibet). (...) Se le cose andranno per le lunghe non ne avremo grandi danni, al contrario, ne trarremo dei vantaggi. Lasciamo che essi (i reazionari che si opponevano all'accordo in 17 punti, ndr) commettano ogni genere di atrocità insensate contro il popolo, noi ci occuperemo solo della produzione, del commercio, della costruzione di strade, della medicina e del fronte unito (unità con la maggioranza e educazione paziente) e di altre cose buone, con lo scopo di conquistare le masse e aspettare che maturi la situazione per trattare di nuovo il problema dell'applicazione dell'accordo. Se essi trovano che istituire le scuole elementari non sia conveniente possiamo anche smettere di farle". Il governo popolare centrale promuove lo sviluppo del Tibet con la costruzione di strade, ponti, ospedali, scuole, fabbriche e fattorie. Risolve le questioni della frontiera con l'India che aveva ancora sul territorio della regione installazioni postali e telegrafiche installate durante l'aggressione inglese del 1904; il trattato firmato il 29 aprile 1954, basato sui cinque principi della coesistenza pacifica, riguarda il commercio e le comunicazioni fra la regione del Tibet e la Cina e l'India. Con questo accordo l'india di Nehru riconosce la sovranità cinese sul Tibet. Il Dalai partecipa con la delegazione tibetana nel settembre 1954 alla prima Assemblea popolare nazionale cinese che si tiene a Pechino. Ambienti reazionari cercano di cogliere l'occasione per fomentare disordini. Il 9 marzo 1955 il governo popolare centrale approva la costituzione della regione autonoma del Tibet che sarà costituita in base ai lavori di un apposito comitato preparatorio costituito nell'aprile del 1956, con il Dalai Lama come presidente e il Panchen Erdeni vicepresidente. Per l'opposizione dei settori reazionari tibetani i lavori del comitato non fanno passi in avanti. Come pure due punti importanti dell'accordo del 1951 quali la riorganizzazione dell'esercito tibetano nell'esercito popolare e la riforma del sistema sociale di servitù. Il governo centrale nonostante questi limiti nell'applicazione dell'intese non vuole mettere furia al governo locale tibetano e anzi alla fine del 1956 lo informa che per altri 6 anni non saranno introdotte riforme democratiche nella regione e che il momento della loro introduzione sarà discusso e deciso tra i dirigenti tibetani e le masse popolari del Tibet. I reazionari tibetani con l'aiuto dell'imperialismo e dei reazionari cinesi di Taiwan preparano una sommossa allorché il Dalai si recherà in India alla fine del 1956 per le celebrazioni del 2500 anniversario del budda ma i loro tentativi di scatenare una sollevazione a Lhasa falliscono. Nel maggio e giugno del 1958 organizzano bande armate in diverse zone della regione, grazie ai rifornimenti in armi di Taiwan, dirette dal comando installato nella città indiana di Kalimpong poco oltre la frontiera. Queste bande si rendono responsabili di sabotaggi alle vie di comunicazione, violenze e saccheggi contro la popolazione. All'inizio del '59 ritennero giunto il momento per un nuovo tentativo di sollevazione e concentrarono un certo numero di controrivoluzionari armati a Lhasa. LA SOLLEVAZIONE CONTRORIVOLUZIONARIA DEL '59 Il Dalai aveva deciso di assistere il 10 marzo ad una rappresentazione artistica all'auditorium del comando della regione militare del Tibet dell'esercito popolare a Lhasa. Il gruppo reazionario tibetano dicendo che l'invito dell'esercito popolare era una trappola per sequestrare il Dalai scatena una rivolta nella capitale. Il rappresentante ad interim del governo centrale e commissario politico del comando della regione militare del Tibet con una lettera invita il Dalai a non recarsi al comando per non avere difficoltà in seguito alle provocazioni degli ambienti reazionari nella capitale. Gruppi armati mobilitati dal gruppo reazionario circondano la sede del quartier generale dell'esercito popolare e dei rappresentanti del governo centrale a Lhasa. Assassinano varie personalità tibetane che si opponevano alla sollevazione separatista fra cui un membro del comitato preparatorio della regione autonoma e un membro del governo locale, organizzano posti di blocco armati lungo le principali vie di comunicazione. Il Dalai in uno scambio di corrispondenza col rappresentante del governo centrale a Lhasa, il generale Tan, afferma di essere stato impedito dai suoi consiglieri di recarsi alla rappresentazione teatrale, condanna la cricca reazionaria che ha violato la legge e che compromette le relazioni tra il governo centrale e locale, dice di voler mettere fine agli atti illegali. Condanna nella lettera del 12 marzo un attacco armato di soldati tibetani sulla strada per Tsinghai. Comunica che ha ordinato la dissoluzione immediata della illegale "assemblea popolare" entrata in clandestinità dopo lo scioglimento deciso il 1° Maggio 1952 e denuncia l'introduzione di elementi reazionari nella sua residenza di Norbu Linka. Nella lettera del 15 marzo il generale Tan esprime la sua preoccupazione per la sicurezza personale del Dalai e lo invita, se lo ritiene necessario, a ricorrere per un breve tempo alla protezione presso il comando della regione militare. Nella risposta del 16 marzo il Dalai comunica di volersi impegnare a tracciare una netta linea di demarcazione tra gli elementi progressisti e quelli controrivoluzionari e non appena avrà chiarito su quanti saranno a suo fianco si recherà segretamente al comando della regione militare. Ma nella notte del 17 marzo il Dalai fugge da Lhasa verso l'India e due giorni dopo i reazionari lanciano un attacco su larga scala contro l'esercito popolare. L'Epl reagisce e aiutato dalla popolazione, dagli ecclesiastici e dai laici patriottici sconfigge in due giorni i controrivoluzionari. LA VITTORIA DEL POPOLO TIBETANO Il 28 marzo il primo ministro Chou En Lai allo scopo di salvaguardare l'unità del paese e l'unione delle nazionalità ordina al comando della regione militare del Tibet di sconfiggere completamente la ribellione in tutta la regione, di sciogliere il governo locale che l'ha fomentata e di conferire le funzioni e i poteri del governo locale al comitato preparatorio della regione autonoma del Tibet. Di questo organismo da cui sono espulsi 18 elementi reazionari che avevano organizzato o appoggiato la ribellione è nominato presidente il Pantchen Erdeni. La veloce repressione del moto controrivoluzionario è possibile dato che, degli oltre 1,2 milioni di tibetani dalla parte dei controrivoluzionari, si sono schierati solo 20 mila uomini tra cui molti arruolati a forza e diversi provenienti da fuori il Tibet. La maggioranza della popolazione tibetana composta da contadini e allevatori aspira a liberarsi del sistema feudale di servitù che li costringe all'estrema povertà. Anche nello strato superiore, fra i possessori di terre e ecclesiastici vi sono numerosi patrioti che si sono schierati contro la ribellione e sostengono il processo di riforme democratiche del loro sistema sociale. Sono queste le basi che permettono la vittoria rapida dell'Epl e la sconfitta dei piani dei reazionari e degli imperialisti. Con l'imperialismo americano che strepita contro il "barbaro intervento contro il popolo tibetano" mentre il Dalai dalla città indiana di Tezpur diffonde il 18 aprile una dichiarazione a sostegno dell'indipendenza del Tibet, contro l'accordo del 1951 a suo dire non negoziato ma "imposto" dal governo centrale, per sostenere che i primi a sparare sono state le truppe dell'Epl il 17 marzo. La versione dei fatti sposata da Scorsese in "Kundun". Il film si chiude con il Dalai che dal rifugio in India osserva col cannocchiale le alte vette tibetane. Non riesce a vedere però le manifestazioni di massa a Lhasa e nelle altre città con le quali il popolo oppresso esprimeva il suo appoggio alla repressione della controrivoluzione. Non vede il milione di schiavi che si levava ad accusare i membri reazionari del governo locale, fra gli ecclesiastici e i nobili, dei loro crimini, che spezzava le catene della schiavitù abolendo la proprietà fondiaria e il sistema di servitù. Adesso non erano più bestie da soma ma padroni del loro destino, protagonisti della storia del Tibet, non più centrata su re e nobili, a fianco della altre nazionalità della Cina socialista, nella Regione autonoma del Tibet che sarà formalmente proclamata nella prima sessione della prima Assemblea popolare del Tibet tenuta a Lhasa dal 1° al 9 settembre del 1965. |