Vertice Apec a Honolulu Obama punta a un mercato di libero scambio nel Pacifico a guida Usa La Cina accetta ma rilancia la sfida proponendo un accordo a tre con Giappone e Corea del sud Il vertice dei 21 paesi dell'Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec) che si è tenuto dall'11 al 13 novembre a Honolulu, nelle isole Hawai, ha deciso di sviluppare l'impegno collettivo verso la liberalizzazione del commercio "verde", per ridurre le tariffe su beni e servizi ambientali e puntare verso l'efficienza energetica e la limitazione delle emissioni nocive. L'ultimo paragrafo è una burla dato che neanche tre settimane dopo a Durban, all'apertura della conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici i due principali paesi inquinatori, Usa e Cina, giocavano al rimpallo con l'India per rimandare qualsiasi misura per ridurre le emissioni inquinanti. Ma la questione centrale del vertice Apec è stata la proposta di Barack Obama di dare vita alla creazione di una zona di libero scambio nel Pacifico, che per la presenza solo di Usa, Cina, Russia, Giappone e Corea del sud sarebbe la più grande di tutto il mondo. Al momento la proposta lanciata da Obama della creazione di un accordo denominato Trans-Pacific Partnership (Tpp) è appoggiato dai governi di altri otto paesi del Pacifico (Australia, Brunei, Cile, Malesia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam) e prevede la costituzione di un'area di libero scambio, che riunirebbe quasi 800 milioni di consumatori e il 40% circa dell'economia globale, dove siano ridotte le tariffe doganali. Un'area economica che a Honolulu ha avuto l'adesione anche di Giappone, Canada e Messico e che Obama vuole sotto la leadership dell'imperialismo americano quale strumento anche per contenere l'aggressività della concorrente imperialista Cina. Non a caso il 17 novembre nella sua visita in Australia il presidente americano sottolineava che gli Stati Uniti "sono una potenza del Pacifico" e sono nell'area "per restare, a livello economico e militare". Anzi, aggiungeva Obama, "dal momento che stiamo mettendo fine alle guerre di oggi, ho indirizzato il nostro team per la sicurezza nazionale a fare della nostra presenza e delle missioni in Asia-Pacifico la priorità". Annunciando che nel porto australiano di Darwin farà base dal 2012 una portaerei e alcune centinaia di truppe dei corpi speciali americani, che saliranno a 2.500 entro il 2016, rilanciava la sfida alla Cina. Di questa strategia fa parte lo sviluppo del Tpp, un progetto che aveva mosso i primi passi nel 2005, dall'intesa tra Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore e si era sviluppato nel 2008 con l'ingresso degli Stati Uniti. Obama l'ha rilanciato sottolineando che "la regione Asia-Pacifico è assolutamente cruciale per la crescita economica degli Stati Uniti. Pensiamo che questa sia per noi una priorità". Il progetto potrebbe decollare col via libera dato da Pechino, che in precedenza l'aveva avversata non vedendo di buon occhio un accordo economico egemonizzato dal concorrente imperialismo americano. "La Cina sosterrà qualsiasi tentativo di promuovere una zona di libero scambio nell'Asia Pacifica e il raggiungimento degli obiettivi di integrazione economica regionale sulla base dell'East Asia Free Trade Area, the East Asia Comprehensive Economic Partnership e del Tpp", dichiarava a Honolulu il presidente cinese Hu Jintao. Via libera da Pechino alle integrazioni economiche nella regione ma non al solo Tpp a guida Usa. Infatti il 20 novembre il governo di Pechino lanciava la proposta di avvio di negoziati formali per l'istituzione entro il 2013 di una zona di libero scambio con il Giappone e la Corea del Sud. I tre paesi già nel gennaio 2010 avevano deciso di avviare uno studio di fattibilità sulla creazione di una zona di libero scambio; il premier cinese Wen Jiabao proponeva di accelerare i negoziati commerciali affinché fossero completati in breve tempo in modo da avviare dal prossimo anno i formali negoziati per un accordo commerciale. Un'intesa che si pone in parallelo, o meglio in concorrenza col Tpp lanciato da Obama, e perciò non sarà facile per Pechino chiudere la partita con le due vicine potenze che hanno stretti legami col concorrente imperialismo americano. Ma ci tenta e alluzza soprattutto un Giappone appena uscito dalla recessione e in cerca di una stabilizzazione della sua crescita economica, difficile da ottenere per la crisi mondiale, e che non può permettersi di lasciar perdere le occasioni che si presentano. 7 dicembre 2011 |