Al vertice Usa-Cina Obama auspica una "cooperazione per i prossimi 30 anni" per frenare la superpotenza cinese La Cina potrebbe diventare la prima potenza mondiale entro il 2020 Il presidente americano Barack Obama ha accolto con tutti gli onori il presidente cinese Hu Jintao per il vertice Usa-Cina iniziato a Washington lo scorso 18 gennaio. In appena due anni i due leader si sono incontrati già sette volte ma questa è stata la prima volta che la Casa Bianca ha attribuito al viaggio di Hu la qualifica di visita di Stato. Durante la presidenza Obama solo i leader di India e Messico hanno ricevuto questo onore. Un vertice che ha portato alla definizione di importanti accordi commerciali tra i due paesi ma anche ribadito la distanza su varie materie a partire dalle differenti politiche monetarie e sugli squilibri del commercio bilaterale a vantaggio della Cina. Obama ha salutato l'ospite sottolineando l'importanza di come, "nel mondo interconnesso di oggi", Usa e Cina possano "lavorare insieme" e auspicando che nel vertice si potessero "gettare le basi della cooperazione tra Usa e Cina per i prossimi 30 anni". Per il presidente Usa, "un rapporto più stretto con la Cina sarà d'aiuto alla stabilità, non solo in Asia, ma in tutto il mondo". Una specie di rilancio del G2, il direttorio che dovrebbe conciliare gli interessi delle due maggiori potenze imperialiste per il dominio del mondo. Un accordo soddisfacente per le due parti si è registrato sul piano commerciale. Il governo cinese ha annunciato un ordine di 200 aerei al costruttore americano Boeing, per un valore totale stimato di 19 miliardi di dollari e una serie di altri accordi che complessivamente prevedono l'acquisto da parte della Cina di prodotti americani per un valore totale di oltre 45 miliardi di dollari, nei settori dei componenti di automobili, agricoltura, chimica e macchinari. Accordi che aprono il mercato cinese a nuovi investimenti delle multinazionali americane, sia sotto forma di nuove società miste che per vendite dirette e che in parte accoglie la richiesta di Obama che aveva chiesto quantomeno l'attenuazione delle restrizioni imposte dal governo cinese a difesa del suo mercato interno. Il governo cinese ha accolto la richiesta ma anche sottolineato che gli Usa dovrebbero da parte loro cancellare l'embargo imposto sull'esportazione verso la Cina di alcuni prodotti di alta tecnologia. Le intese tra i due paesi si sono però fermate a questi punti. Obama ha insistito di nuovo sulla rivalutazione della moneta cinese rispetto al dollaro per facilitare le esportazioni americane e modificare a suo favore la bilancia degli scambi commerciali che nel 2010 ha segnato per la Cina un attivo di 250 miliardi di dollari. Ma su questo punto Hu ha risposto picche. Gli Usa si devono accontentare della rivalutazione dello yuan di solo il 3 % decisa da Pechino nel giugno scorso. Lo ha potuto fare sulla base di una forza economica crescente che ha portato la Cina al secondo posto nel mondo, ancora a distanza dalla concorrente imperialista Usa che è in fase calante e con la prospettiva di passare al primo posto entro il 2020, se non prima. Proprio alla vigilia del vertice il tesoro americano ha annunciato che il debito totale del paese ha raggiunto i 14 mila miliardi di dollari, è praticamente pari al prodotto interno lordo (pil) fermo a 14,4 miliardi per effetto della crisi. La Cina ha solo rallentato un poco la sua crescita economica e negli ultimi due anni Pechino ha concesso più prestiti della Banca mondiale ai paesi in via di sviluppo, allungando le mani su tutti i continenti. Per non parlare del fatto che la banca centrale cinese ha nelle sue casse circa 2.800 miliardi, in gran parte dollari, pari al 25% delle riserve valutarie mondiali. Alla partenza per Washington Hu Jintao ha tenuto a ribadire, in interviste a giornali americani, che "l'attuale sistema monetario (basato sul dollaro, ndr) è un prodotto del passato". E ha chiesto rassicurazioni sul risanamento delle finanze pubbliche americane, dato che la Cina è il principale detentore estero di titoli del Tesoro Usa per un valore di oltre 850 miliardi di dollari; non è stato certo rassicurante il recente allarme lanciato dal segretario al Tesoro americano Tim Geithner che ha evocato la minaccia, sia pure remota, di un fallimento anche degli Usa. L'imperialismo cinese non si preoccupa solo di regolare da pari a pari i rapporti economici e finanziari tra i due paesi, lancia segnali per affermare la sua presenza anche in campo militare, non ultimo il lancio della notizia di un test del caccia-bombardiere "invisibile" cinese, in codice il J-20, in coincidenza con una visita a Pechino del segretario alla Difesa americano, Robert Gates. In una recente intervista alla televisione cinese, il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha affermato che "in quanto prima e seconda economia del mondo abbiamo speciali responsabilità. Questo è un momento decisivo per stabilire il modo migliore in cui il rapporto di collaborazione fra i nostri due paesi possa fare dei passi avanti". Una collaborazione imperialista i cui equilibri sono in continua modifica a favore della Cina, non a caso definita a Washington l'avversario "strategico" degli Usa. 26 gennaio 2011 |