Dopo 15 mesi di lotta e dopo 8 giorni su un carro ponte Vittoria degli operai Innse La fabbrica riapre con un altro padrone. Tutti riassunti. La solidarietà del PMLI agli operai È stata una vertenza lunga, dura, dagli esiti molto incerti. Ma i lavoratori dell'Innse-Presse, una fabbrica metalmeccanica storica milanese, dopo 14 mesi ininterrotti di lotta straordinaria, con una tenacia davvero rara, senza mai scoraggiarsi, superando molteplici difficoltà hanno conseguito una vittoria piena. Hanno vinto contro il padrone Silvano Genta, uno speculatore che voleva svendere i macchinari della produzione a scopo di lucro, chiudere la fabbrica e licenziare tutti i 49 dipendenti. Hanno vinto anche contro l'Aedes, ovvero la immobiliare proprietaria del terreno su cui sorge la fabbrica, pronta ad avviare progetti edilizi speculativi. Hanno inoltre vinto contro il governo centrale, il governo regionale della Lombardia e quello comunale di Milano tutti di "centro-destra" che sin dall'inizio avevano ignorato le rivendicazioni dei lavoratori e assunto una posizione sfacciatamente filopadronale. Hanno vinto perché hanno saputo conquistarsi l'appoggio attivo della Fiom con la segreteria nazionale in testa (a proposito, la Fim e la Uilm dov'erano?), una vasta solidarietà tra i lavoratori, articolare le forme di lotta, l'ultima delle quali la salita sul carro ponte, che hanno attirato l'attenzione dei mass-media e dato visibilità nazionale alla lotta per salvare l'Innse; non hanno ceduto agli interventi repressivi delle forze di polizia. Questa vittoria è stata sancita l'11 agosto scorso nella prefettura di Milano, dove si è svolta una serrata trattativa tra le parti interessate e dove poco dopo la mezzanotte è stata firmata un'intesa tra Silvano Genta, proprietario della fabbrica, il gruppo degni imprenditori acquirenti capeggiato dall'azienda bresciana Camozzi, e la Aedes. Per i lavoratori hanno firmato la Fiom e la Rsu aziendale. Nell'intesa ci sono tutte le richieste avanzate dagli operai: il passaggio dell'azienda, compresi i macchinari di produzione, all'avanguardia in fatto di tecnologia, a un nuovo imprenditore; un piano industriale per garantire un futuro produttivo all'azienda che peraltro ha sempre avuto in quanto mai sguarnita di commesse e ordinazioni; riassunzione di tutti e 49 i dipendenti licenziati da Genta, e cassa integrazione e "ammortizzatori sociali" fino a settembre data fissata per riprendere le attività produttive. Correttamente Fiom e Rsu, prima di firmare hanno sottoposto l'accordo all'approvazione degli operai interessati i quali hanno dato il loro consenso non prima però di aver ottenuto garanzie più precise su alcuni punti un po' troppo generici. Approvazione che ha scritto il lieto fine delle vertenza e fatto esplodere la felicità dei lavoratori per l'impresa compiuta e per i risultati ottenuti, perseguiti con una volontà e una risolutezza davvero ammirevoli ma non certo scontati. Protesta clamorosa Un contributo particolare all'esito positivo della vertenza lo hanno dato quattro coraggiosi lavoratori, più un sindacalista della Fiom che hanno dato vita a una protesta clamorosa. Il 4 agosto, ossia due giorni dopo l'intervento della polizia dentro la fabbrica per stroncare lo sciopero dei lavoratori, riuscendo ad aggirare la vigilanza sono entrati in azienda e sono saliti su un carroponte (una gigantesca Gru) all'altezza di 20 metri circa. E da lì non sono più scesi fino a che non è stata firmata la suddetta intesa. Otto lunghissimi giorni e notti che hanno messo a dura prova la salute di questi operai e rischiato la vita in caso di caduta. Questa forma di lotta, messa in atto non come un gesto disperato, lo hanno detto espressamente i protagonisti, ma con la consapevolezza di cosa stavano facendo e con l'appoggio della Fiom ha attirato l'interessamento di TV e giornali, dalle cui pagine sono solitamente assenti servizi sulle lotte dei lavoratori. Ai lavoratori Innse hanno portato la loro solidarietà i militanti della Cellula "Mao" di Milano del PMLI recandosi il 4 agosto, in occasione dello sciopero di due ore indetto dalla Fiom nelle fabbriche della provincia, al presidio permanente davanti ai cancelli della fabbrica di Lambrate. La vertenza sindacale Innse per come si è svolta e conclusa, decisamente in controtendenza a quanto accade in prevalenza nell'attuale congiuntura economica e politica, merita di essere raccontata un po' più nel dettaglio. Tutto comincia il 31 maggio 2008, quando i dipendenti di questa fabbrica ricevono, come un fulmine a ciel sereno, un telegramma dall'azienda che li mette in mobilità. Il telegramma lo aveva mandato il padrone Silvano Genta, un commerciante di rottami di Torino che, solo due anni prima aveva acquistato la Innse-Presse dall'amministrazione controllata grazie a notevoli sgravi fiscali concessi dalla legge Prodi. Nonostante alcuni passaggi di mano, da quando fu venduta dalla famiglia Innocenti all'Iri e poi alla Manzoni Group che l'aveva portata al limite del fallimento, è sempre stata un'azienda sana e produttiva. Per questo l'assemblea permanente dei lavoratori decise di continuare a lavorare in maniera autogestita per tre mesi ottenendo anche dei buoni risultati. Ma gli obiettivi di Genta sono altri, di tipo speculativo, in netto contrasto agli impegni assunti quando gli fu affidata dall'amministrazione controllata. Così alla fine di agosto 2008 chiude la procedura della mobilità e licenzia tutti. Fa di più, il 17 settembre chiama la polizia che entra in fabbrica e mette alla porta i lavoratori. Il giorno dopo gli operai dell'Innse, per nulla disponibili a subire il piano di smantellamento del padrone mettono in atto un presidio davanti alla portineria dello stabilimento. Un presidio che hanno mantenuto giorno e notte per 11 mesi. La lotta dei lavoratori aveva come scopo anzitutto quello di impedire lo smontaggio e la svendita dei macchinari della fabbrica senza i quali diventava impraticabile qualsiasi ipotesi di rilancio produttivo aziendale. Il Genta infatti ne aveva già contrattati due. Poi la ricerca di un acquirente che avesse un piano industriale capace anche di salvare i posti di lavoro. E nel corso della vertenza non sono mancati dei potenziali acquirenti, come la Ormis di Brescia. Ma il padrone ha sempre tirato a diritto verso la chiusura dell'azienda e la vendita delle pregiate attrezzature di lavoro in questo aiutato dalle istituzioni locali e regionali nonché dal governo che hanno oscillato tra l'ignavia e la difesa degli interessi padronali. Il merito degli operai dell'Innse è di aver proseguito la lotta senza mai mollare di un centimetro. Nemmeno di fronte agli interventi di polizia, l'ultimo quello del 2 agosto 2009, per permettere ai dipendenti di aziende esterne lo smontaggio dei macchinari praticamente già venduti. Di aver fatto un'opera di sensibilizzazione per allargare le solidarietà. In ultimo aver messo in campo, in aggiunta a quelle classiche come lo sciopero, il corteo, il presidio la forma di lotta sopra detta, attuata da un drappello di coraggiosi operai che sono saliti in cima a una gru per rimanerci giorni e giorni, bucando cosi i mass-media costringendoli a raccontare questa vertenza. Ciò ha costretto Genta a ritornare sui suoi passi, ha permesso che un acquirente (il gruppo Camozzi) si facesse avanti, ha contribuito a determinare l'accordo che salva azienda e posti di lavoro. Il caso degli operai Insse, di fatto, è diventato un esempio da replicare. E in effetti in rapida successione si è assistito a 8 operai della Cim di Marcellina, un'azienda che produce intonaci nei pressi di Roma in procinto di chiudere i battenti, che sono saliti sulla torre miscelatrice all'altezza di 37 metri e vi sono rimasti per 4 giorni. Si è assistito all'azione di 7 guardie giurate che per protesta si sono arrampicati sul Colosseo per rimanerci anch'essi diversi giorni. Ancora un altro caso riguarda la Lasme di Melfi, una fabbrica che produce alzacristalli elettrici per la Fiat. Il 7 agosto il padrone ha avviato la procedura per la mobilità per 174 dipendenti: gli operai hanno occupato la fabbrica. Il 26 agosto 7 operai solo saliti sul tetto dello stabilimento per ottenere almeno un tavolo di trattativa riscuotendo la solidarietà degli altri lavoratori e di quelli della zona. Il moltiplicarsi di questi eventi "disperati" segnala indubbiamente una crescente sfiducia dei lavoratori verso i sindacati confederali e verso le iniziative da essi promosse. Forma di lotta A questo proposito si è aperto un dibattito: c'è chi sostiene che ormai lo sciopero e le altre manifestazioni collettive siano diventate forme di lotta obsolete e inefficaci e che si debba perciò affidarsi ad iniziative spettacolari di piccolo gruppo che per la loro intrinseca drammaticità richiamino l'attenzione dei mezzi d'informazione e premano le parti interessate per giungere alla soluzione del problemi. Sostenere questa tesi, sia pure in buona fede, vuol dire illudersi, prendere un abbaglio marchiano, fare un errore grave. Lo sciopero, ossia l'interruzione della produzione, specie se generale, e la manifestazione di strada, specie se nazionale, che comporta l'unità e l'azione di lotta di tutti i lavoratori coinvolti, non possono essere sostituite da forme di lotta come le suddette che, caso mai, sono complementari da attuarsi in modo oculato e con il consenso di tutti i lavoratori. Mettere in soffitta le forme di lotta classiche e storiche sarebbe un regalo grosso come una casa a governo e padronato i quali non a caso premono per limitarle per legge. 2 settembre 2009 |