Viva il 1° Maggio, Giornata internazionale dei lavoratori Col PMLI, per l'emancipazione del proletariato e il socialismo di Emanuele Sala* Noi marxisti-leninisti non ci stancheremo mai di riaffermare la seguente inconfutabile verità storica: il 1° Maggio non è una ricorrenza interclassista che interessa in un tempo operai e padroni, proletari e borghesi. No, il 1° Maggio è eminentemente una ricorrenza storica di classe, le sue origini affondano e prendono linfa vitale nella storia della lotta di emancipazione del movimento operaio internazionale. Per noi marxisti-leninisti il 1° Maggio è e rimane, da un punto di vista simbolico, da un punto di vista storico, da un punto di vista internazionalista una delle più importanti feste della classe operai e delle masse sfruttate e oppresse. "Ogni classe - ebbe a dire Stalin in un suo celebre discorso sul 1° Maggio - ha le sue feste preferite (...) Anche gli operai devono avere le loro feste e in esse devono proclamare: lavoro per tutti, libertà per tutti, eguaglianza per tutti gli uomini. Questa è la festa del Primo Maggio". Origini e carattere di classe Non è inutile, è anzi necessario, riaffermare il carattere di classe proletario rivoluzionario del 1° Maggio, ricordarne le origini e onorare i martiri operai trucidati nelle piazze. Per trasmettere questa coscienza alle nuove generazioni operaie e popolari, per contrastare con forza le offensive ideologiche di parte borghese e dei revisionisti e dei rinnegati tendenti ad annacquare il significato del 1° Maggio, a marginalizzarne la celebrazione, comunque renderla inoffensiva, quando non ad abolirlo, come fece Mussolini nel Ventennio. Ogni classe ha, non solo le proprie feste da celebrare, ma anche i propri i morti da onorare. Gli operai italiani e di tutto il mondo non possono non ricordare e onorare con commozione e con gratitudine i lavoratori americani che tra l'ottobre del 1884 e il maggio del 1886 dettero vita a imponenti manifestazioni nelle principali città degli Stati Uniti per rivendicare, per legge, la giornata lavorativa di otto ore. E in particolare lo sciopero con adesioni mai viste e la grandiosa pacifica manifestazione che si tenne a Chicago il 1° Maggio 1886, nel corso della quale la polizia per ordine del governo intervenne e sparò sulla folla lasciando per terra otto operai morti e numerosi feriti. L'intervento repressivo poliziesco tornò a colpire nelle manifestazioni che si tennero nei giorni successivi, con altri manifestanti morti, altri feriti, altri incarcerati. Tra questi i leader sindacali che avevano organizzato la protesta, processati sommariamente, sulla base di accuse totalmente false e condannati in parte all'impiccagione in parte al carcere a vita. Non furono certo le associazioni degli industriali e i partiti della borghesia a dichiarare il 1° Maggio festa internazionale dei lavoratori. Fu la Seconda internazionale dei partiti operai, in prevalenza di orientamento marxista e come leader Friedrich Engels, che nel 1889 decise che in tutti i paesi il 1° Maggio si tenesse una grande manifestazione per ricordare i martiri di Chicago e per proseguire la lotta per la giornata lavorativa di otto ore. Così fu nell'anno successivo e negli anni a venire, riscuotendo nei singoli paesi un successo di partecipazione straordinario, nonostante la repressione brutale scatenata dai governi reazionari; in Italia quella del governo Crispi, particolarmente feroce. Dalla fine dell'800 e nel secolo successivo il 1° Maggio ha rappresentato una scadenza importante a livello mondiale per il movimento dei lavoratori, i sindacati operai, i partiti comunisti per fare il bilancio delle conquiste ottenute, si è arricchito di contenuti politici fino a includere l'obiettivo del socialismo, ovvero la società dove concretamente realizzare l'emancipazione sociale del proletariato. Il proletariato e le altre classi Già, il proletariato, ma esiste ancora? Conserva ancora la funzione emancipatrice che la storia gli ha assegnato? Qual è oggi la sua condizione sociale in Italia? Chi lo rappresenta politicamente? Vi è chi sostiene che non ci siano più le classi e quindi non abbia senso parlare di antagonismo di classe. Vi è chi sostiene, come fa Veltroni, che nella società delle nuove tecnologie e dell'economia globale si debba parlare non di classi ma di individui, di consumatori e non solo di produttori. Sempre Veltroni considera una cosa vecchia e arcaica la lotta di classe, considera padroni e lavoratori attori del processo produttivo che stanno sullo stesso piano, nella diversità dei compiti. Inoltre, vi è chi sostiene, dalle file dei trotzkisti, che la classe operaia (tradizionale) non esiste più, che si deve parlare di "nuova" classe operaia, di "nuovo" movimento operaio includente tutto il lavoro dipendente. Vi è infine chi afferma superata la centralità della classe operaia, sostituita dal lavoro intellettuale, dai cosiddetti lavori immateriali. Noi del PMLI giudichiamo queste teorizzazioni infondate oggettivamente, nel senso che non corrispondono alla realtà, ed errate sul piano teorico. Le giudichiamo non solo false ma strumentali, finalizzate a inglobare la classe operaia nel capitalismo, in ogni caso tendenti ad impedire ad essa di prendere coscienza di essere una classe in sé e per sé, di essere la classe antagonista alla classe dominante borghese, di essere portatrice di un progetto per una nuova e più avanzata società, il socialismo. È ridicola la tesi interclassista, sostenuta anche dalla "sinistra" borghese, secondo cui siamo in primo luogo tutti cittadini, poi c'è il cittadino-lavoratore, il cittadino-imprenditore e via dicendo. Su questo campo ci ha pensato il nostro Segretario generale, compagno Giovanni Scuderi, a fare una chiarezza solare, col suo impeccabile discorso tenuto in occasione del 30° anniversario della scomparsa di Mao dedicato alle classi e al fronte unito. Il compagno Scuderi, armato della teoria del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e attraverso l'analisi concreta della situazione italiana ha dimostrato che la società è divisa in classi in tutti i paesi del mondo. Non esiste l'individuo astratto, esiste l'individuo concreto, cioè sociale, cioè parte di una classe in base al rapporto che ha con i rapporti di produzione, i rapporti di proprietà, la distribuzione della ricchezza prodotta. In Italia esse si suddividono in proletariato, semiproletariato, sottoproletariato, contadini (piccoli, medi e grandi), piccola borghesia e (media e grande) borghesia. Quest'ultima, un'estrema minoranza della popolazione, costituisce la classe dominante che detiene tutto il potere economico, politico e culturale e beneficia di ampi privilegi. Mentre il proletariato composto da milioni e milioni di operai dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi, pur vivendo in condizioni di schiavitù salariata e di degrado sociale, rappresenta oggettivamente per eccellenza la classe antagonista e occupa il posto centrale nella produzione dei beni materiali e all'interno di tutta la società. "Per noi - dice Scuderi - il proletariato è l'attore principale della lotta di classe, della rivoluzione socialista e dell'edificazione del socialismo. (...) Per la sua collocazione nella produzione e nella società, per la sua ideologia, per la sua esperienza produttiva e di lotta, per le sua capacità organizzative e mobilitatici, che non hanno uguali riscontri nelle altre classi anticapitaliste, il proletariato è la classe più progredita, più avanzata e più rivoluzionaria della storia". Le condizioni degli operai Ciò è vero perché storicamente provato, indipendentemente dall'attuale situazione in cui si trova il proletariato italiano, frantumato politicamente, fortemente impoverito economicamente. Nessuno può negare, persino da parte borghese, che negli ultimi 15 anni, periodo in cui si sono avvicendati governi di "centro-destra" e di "centro-sinistra" incluso l'ultimo dell'Unione guidato da Prodi, che le condizioni di vita e di lavoro degli operai e delle masse lavoratrici sono peggiorate in modo intollerabile. A causa della totale precarizzazione dei contratti di lavoro (vedi "pacchetto Treu" e legge 30), di una perdita drastica del potere d'acquisto, delle controriforme liberiste in materia di previdenza e sanità, delle privatizzazioni dei servizi pubblici e sociali. Cosicché abbiamo milioni di lavoratori con paghe da fame e il posto di lavoro a tempo determinato, abbiamo milioni di lavoratori che non riescono ad arrivare alla quarta settimana, che non possono programmare il loro futuro. E non è tutto. In Italia di lavoro si continua a morire ogni giorno senza soluzione di continuità senza che le istituzioni preposte e gli stessi sindacati facciano qualcosa di serio ed efficace per fermare questa ecatombe. Le recenti stragi operaie orribili alla ThyssenKrupp di Torino e all'officina di Molfetta sono state le più eclatanti che hanno guadagnato le prime pagine dei giornali nazionali. Ma si continua a morire quotidianamente nei luoghi di lavoro, alla media di 3 al giorno quando non 6 come è accaduto martedì 22 aprile (326 dall'inizio dell'anno, 1302 nel 2007). Nelle fabbriche le conquiste ottenute con le lotte degli anni '70 sono state cancellate una dopo l'altra. Rivelatrice in questo senso la grande inchiesta condotta dalla Fiom sulle condizioni dei metalmeccanici dalla quale esce un quadro desolante: sfruttamento intenso, bassi salari, orario di lavoro flessibile e allungato, diseguaglianze per le donne e per il Sud, lavori ripetitivi, parcellizzati e dequalificati, poca sicurezza e danni alla salute, autoritarismo dei capi. In pratica siamo tornati indietro di 50 anni! Dire che è colpa della Confindustria e dei governi Berlusconi è cosa ovvia giacché questi sono espressione e rappresentano apertamente il grande capitale, la grande borghesia. E si può star sicuri che il terzo governo Berlusconi in via di formazione, dopo che il Pdl e la Lega Nord hanno vinto le elezioni politiche del 13 e 14 aprile, proseguirà su questa strada. Ha infatti già annunciato misure impopolari non certo per i ricchi ma per i lavoratori e i ceti meno abbienti. Dire che le responsabilità del peggioramento della condizione operaia è anche e soprattutto dell'ex governo Prodi e dei partiti che ne componevano la maggioranza, compresi il PRC di Bertinotti e Giordano e il PdCI di Diliberto e Rizzo, è cosa meno ovvia. Sì perché questo aveva promesso una congrua redistribuzione del reddito a favore del lavoro dipendente e delle pensioni medio-basse, un fisco più "equo", una nuova legislazione che cancellasse i contratti precari, misure per abbattere fortemente gli infortuni sul lavoro, case popolari, provvedimenti per il Sud e altro ancora. Tutte promesse non mantenute. Anzi, leggi come quella che ha recepito gli accordi del 23 luglio 2007 su previdenza, contrattazione e competitività, sono andate nella direzione opposta. Cosiccome meno ovvio è denunciare le responsabilità dei vertici sindacali di Cgil, Cisl e Uil e della loro politica collaborazionista e filogovernativa. Sì perché questi per antonomasia dovrebbero rappresentare e difendere gli interessi dei lavoratori e non l'hanno fatto, hanno garantito al governo Prodi una sostanziale "pace sociale" senza ottenere nulla di nulla. Se fossero seri dovrebbero dimettersi in blocco! Il voto astensionista Non vi è dubbio che la delusione sviluppatasi tra l'elettorato popolare e di "sinistra" sia stata una delle cause principali, se non la più importante, della vittoria elettorale di Berlusconi, Bossi e Fini e per contro della sconfitta del PD di Veltroni, e soprattutto della Sinistra arcobaleno di Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio e Mussi. Una vera mazzata per quest'ultima visto che non ha superato gli sbarramenti previsti e non ha rappresentanza sia alla Camera che al Senato. Noi però non condividiamo i piagnistei della "sinistra" borghese, non condividiamo le loro analisi giustificazioniste del voto tutte dentro logiche parlamentari borghesi. Ad esempio non è vero che ci sia stato uno spostamento a destra dell'elettorato: visto che Berlusconi e Fini hanno perso voti rispetto alle politiche precedenti e la Lega ha solo recuperato voti persi in passato. E poi non viene considerato l'incremento consistente dell'astensionismo oltre il 3% sia alla Camera che al Senato. Come si fa ad ignorare 10.615.207 astensionisti, ben oltre il 20% dell'intero elettorato, che di fatto hanno sfiduciato i partiti e il parlamento del regime capitalista e neofascista? Questo elettorato ha di fatto detto no al progetto della terza repubblica perseguita da Berlusconi e Veltroni basata sul presidenzialismo, il bipartitismo e il federalismo. Non vi è dubbio che tanti ex elettori del PRC e del PdCI hanno scelto l'astensionismo per punire e prendere le distanze da questi partiti per aver retto il sacco al governo Prodi e aver scelto di autosciogliersi nella Sinistra arcobaleno (anche se ora sembra che ci stiano parzialmente ripensando) e di abbandonare il nome e i simboli comunisti. Ciò a conferma del fatto che il voto astensionista è sempre di più una scelta dell'elettore, in particolare di sinistra. A noi sembra francamente una balla l'affermazione che al Nord gli operai hanno la tessera della Fiom e votano Lega. In ogni caso, nelle dimensioni è una esagerazione. L'esigenza della riorganizzazione del proletariato La situazione post-elettorale che si è venuta a determinare pone due esigenze fondamentali: una immediata che è quella di costruire e sviluppare un'opposizione politica e sociale nelle piazze e nel Paese per contrastare il nuovo governo del neoduce Berlusconi e le sue politiche liberiste e antipopolari e fare fuoco sulla terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista; l'altra più a lungo termine che riguarda un processo di presa di coscienza politica e riorganizzazione partitica del proletariato. Questo è un problema centrale di carattere strategico: dopo la liquidazione del PCI (in PDS, poi in DS e ora in PD) il quale ne aveva l'egemonia sia pure su un terreno riformista, il proletariato italiano è disperso in più partiti. Anche in questo campo il fallimento del PRC e del PdCI è lampante. Noi pensiamo che questa riorganizzazione, questa volta non sul terreno del riformismo e dell'elettoralismo borghesi, ma su quello rivoluzionario e marxista-leninista, possa e debba avvenire all'interno del PMLI, perché su tutti i piani teorico, programmatico e pratico esso è un Partito proletario rivoluzionario, perché è 41 anni intesi complessivamente che lavora duramente per questo obiettivo, perché è l'unico Partito in Italia che si batte per il socialismo, cioè la società guidata dalla classe operaia. Il PMLI è una garanzia perché, nonostante tutti i terremoti politici, è rimasto rosso e perché per quanto ancora piccolo organizzativamente non gli manca nulla per diventare un Gigante Rosso anche per quantità. L'occasione del 1° Maggio e l'occasione del 5° Congresso nazionale del Partito, che si terrà entro l'anno, è quella giusta per invitare gli operai più avanzati e combattivi a prendere il posto che compete loro nel PMLI. Quanto prima avverrà tanto prima si potrà rimettere in moto la lotta di classe e la lotta per l'Italia unita, rossa e socialista. Viva il 1° Maggio! Viva l'emancipazione del proletariato! Fuoco sul governo del neoduce Berlusconi e la terza repubblica! Avanti con forza e fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! * Responsabile della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI |