Il 21 ottobre 2007 Votare No al referendum sulla legge statutaria sarda Rigettare con forza il presidenzialismo di Soru Il 21 ottobre prossimo si terrà in Sardegna il referendum confermativo della "Legge statutaria della Regione autonoma della Sardegna", approvata dal Consiglio regionale il 7 marzo 2007. Una legge voluta dalla maggioranza di "centro-sinistra" guidata dal governatore Renato Soru e che è stata votata anche dai consiglieri di PRC e PdCI. Non avendo ottenuto però la maggioranza dei due terzi in consiglio, tale legge è ora sottoposta a referendum confermativo. La Sardegna, in quanto regione a Statuto speciale, ha diritto di promulgare una propria legge in materia di forma di governo e di elezione degli organi collegiali. In caso contrario, in via transitoria, si applica la legge nazionale che disciplina le elezioni delle regioni a statuto ordinario. Quella legge, approvata nel 1999 dal governo di "centro-sinistra" D'Alema e che vedeva fra i suoi più convinti sostenitori l'allora segretario dei DS Walter Veltroni, ha introdotto in tutte le regioni il presidenzialismo e il federalismo. Nel 2004 ancora la Sardegna non si era dotata di una propria legge e così Soru e il consiglio regionale furono eletti applicando quella legge nazionale che ha permesso in questi anni al governatore sardo di spadroneggiare indisturbato. La nuova legge statutaria poteva essere l'occasione per mettere fine a questo strapotere impedendo che il presidenzialismo e la fascistizzazione delle istituzioni rappresentative borghesi regionali imposti a livello nazionale fossero trasferiti anche in Sardegna. In realtà si è finiti dalla padella alla brace. Infatti la legge statutaria sarda assorbe tutto ciò che di più reazionario c'è nella legge per le regioni a statuto ordinario e anche di peggio. Presidenzialismo regionale La nuova legge ridisegna completamente la figura del presidente della regione in senso presidenzialista e federalista. Egli non è più espressione della giunta, che a sua volta era espressione del Consiglio regionale, ma viene eletto a suffragio universale diretto. Su di lui si concentrano poteri spropositati. È infatti il governatore, e non più la giunta, a dirigere la politica generale e ad esserne responsabile. In più egli ha il potere di nomina e revoca degli assessori senza dover render conto a nessuno se non a se stesso rendendo di fatto gli assessori dei semplici suoi collaboratori. La piramide viene completamente rovesciata: in cima c'è il presidente, poi la giunta da lui scelta, in fondo c'è il Consiglio regionale che non ha nessuna possibilità di influire sulle decisioni del presidente e della giunta, salvo ricorrere all'arma a doppio taglio della cosiddetta "clausola dissolvente". L'articolo 22 della legge infatti stabilisce che il consiglio regionale può esprimere la sfiducia al presidente della regione solo mediante mozione motivata sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta e che tale mozione non può essere discussa addirittura prima di venti giorni dalla sua presentazione. Ma non basta. Se nonostante tutti questi ostacoli la mozione di sfiducia dovesse essere approvata e il presidente fosse costretto alle dimissioni, allora tutto il consiglio regionale sarà sciolto e si tornerà a votare. Tutti a casa anche nel caso di dimissioni volontarie del presidente. Proprio il ricatto che aveva giocato Soru nel marzo scorso per imporre al Consiglio regionale l'approvazione della Legge statutaria in tempi brevi. I "cosiddetti" contrappesi che la legge conterrebbe per arginare lo strapotere del governatore sono quindi vanificati completamente da questa potente arma di ricatto nelle sue mani. Di fatto il governatore diventa inamovibile, pena la rinuncia al lauto stipendio da consigliere, della rinuncia alla buonauscita, che in Sardegna equivale a 117.00 euro, prevista solo per la scadenza naturale della legislatura e il rischio di non essere rieletti. Ma non finisce qui. Ci sono altre gravi novità che rendono assolutamente inaccettabile questa legge. Restrizioni per i referendum Vengono elevati a 15.000 gli elettori necessari per richiedere il referendum abrogativo e proporre leggi di iniziativa popolare. 5 mila elettori in più che non trovano alcuna giustificazione se non quella di ostacolare ulteriormente il ricorso a tali strumenti. Peraltro, il referendum proposto non è vincolante nel far approvare una legge di iniziativa poplare. Al massimo esso può imporre la sua messa all'ordine del giorno del Consiglio regionale che la può comunque bocciare. Fra le materie sulle quali non è ammesso il referendum abrogativo è stata aggiunta quella dei "regolamenti riguardanti l'ordinamento degli organi statutari e degli uffici regionali". Il che significa che non possono essere sottoposti a referendum il trattamento economico e i privilegi del presidente, degli assessori e dei consiglieri regionali, una novità assoluta nell'ordinamento sardo. Legittimato il "conflitto di interesse" Questa legge, infine, legittima invece di sanzionare il "conflitto di interesse" che è più che mai all'ordine del giorno visto che si parla già di un secondo mandato per il padrone della Tiscali, nonché candidato alla segreteria del Partito democratico sardo, Renato Soru. Intanto, fra le cause di ineleggibilità manca la titolarità di imprese o il controllo di società private con un certo fatturato. Permette inoltre la "compatibilità" della carica di presidente della Regione, assessore regionale o consigliere regionale nel caso questi trasferiscano a un proprio fiduciario tutti i diritti e i privilegi connessi alle proprie azioni. Fiduciario che però non può procedere alla alienazione, dismissione, ipoteca, vendita o modifica sostanziale delle azioni. Per di più le imprese del presidente della regione o degli amministratori regionali, che non possono stipulare accordi o contratti con l'amministrazione regionale o agenzie, aziende o enti regionali, possono però partecipare alle gare indette dalla regione per assicurarsi appalti e commesse. E visto che la gara è la prassi più normale per assegnare appalti e commesse, specie di certe entità, ciò equivale di fatto ad ammettere che le aziende di proprietà del governatore facciano affari con l'amministrazione regionale. Tanto più che al presidente della regione viene attribuito il potere di nominare i rappresentanti della Regione presso enti, aziende, agenzie e istituzioni di cui la legge gli attribuisce la competenza. Ossia, vi saranno suoi uomini di fiducia a sovraintendere all'assegnazione e al controllo degli appalti. Sul referendum regna una grande confusione poiché su di esso gravano motivi di opportunismo politico. Il "centro-destra", per esempio, pur essendo completamente d'accordo col presidenzialismo che la legge statutaria introduce, ha deciso di dare indicazione per il No perché, per loro stessa ammissione, sperano di mettere in difficoltà Soru e la sua maggioranza e riconquistare il governo regionale. Scontata invece l'indicazione di voto dei partiti di "centro-sinistra" per il sì, con l'eccezione di alcuni esponenti di Sinistra democratica. Anche i gruppi dirigenti regionali sardi di PRC e PdCI, coerentemente col loro voto in consiglio regionale, nonostante avessero promesso che mai avrebbero votato una legge presidenzialista e le contraddizioni che si agitano all'interno delle loro rispettive basi e del fatto che alcuni loro esponenti abbiano aderito alla campagna per il No, con un documento unitario hanno dato indicazione di votare sì al referendum. Un'indicazione frutto del loro opportunismo e della logica presidenzialista e federalista con cui operano questi partiti. È vero che se la legge statutaria non fosse approvata rimarrebbe in vigore quella nazionale. Ma almeno questa legge presidenzialista non potrebbe vantare una conferma popolare. Per tutti questi motivi invitiamo le elettrici e gli elettori sardi ad andare a votare al referendum del 21 ottobre e a votare un deciso NO per rigettare con forza il presidenzialismo di Soru. 10 ottobre 2007 |