L'architetto di Anemone, al centro della cricca romana, l'ha rivelato ai magistrati di Perugia Zampolini: pagavo io la casa di Bertolaso. Tirato in ballo Di Pietro Prodi, Veltroni e Rutelli, chiamati in causa, annunciano querele Una nuova scossa giudiziaria con epicentro ancora presso la procura di Perugia minaccia di radere al suolo il già traballante impero del malaffare costruito da Bertolaso e dalla sua cricca in seno al Dipartimento della Protezione Civile. Il pupillo del neoduce Berlusconi, già indagato per corruzione per i suoi loschi rapporti con il costruttore romano Diego Anemone, è stato nuovamente chiamato in causa dall'architetto Angelo Zampolini che, nell'ultimo interrogatorio davanti ai Pubblici ministeri (Pm) di Perugia, Alessia Tavernesi e Sergio Sottani, titolari dell'inchiesta sui "Grandi appalti", ha riferito di una casa messa a disposizione della moglie del capo della Protezione Civile e pagata mensilmente dall'amico costruttore, Diego Anemone. Nello stesso interrogatorio Zampolini, che appare sempre più come uno degli esponenti cardine della "cricca" romana degli appalti, ha fatto anche i nomi di Prodi, Veltroni e Rutelli, che "hanno segnalato i loro professionisti", e ha rivolto nuove accuse a Antonio Di Pietro in relazione a due appartamenti del centro di Roma di proprietà della congregazione Propaganda Fide, l'istituto religioso che gestisce il patrimonio immobiliare del Vaticano, messi a disposizione del boss dell'Italia dei Valori da Angelo Balducci, tramite lo stesso Anemone. In riferimento al capo della Protezione Civile, Zampolini nell'interrogatorio del 18 maggio scorso ha riferito ai giudici che: "La casa di via Giulia di Guido Bertolaso la pagavo io, con i soldi che mi dava Anemone, che l'aveva anche ristrutturata". Affermazioni che, da un lato, smentiscono quanto affermato fino ad oggi da Bertolaso, che addirittura sostiene di non avere nessun appartamento in via Giulia e, dall'altro lato, confermano che il numero uno della Protezione Civile è inserito a pieno titolo nel "sistema gelatinoso" di Anemone e nella lunga "lista" di interventi edili, ristrutturazioni, favori e agevolazioni elargiti dal costruttore romano ai boss politici e istituzionali in cambio di appalti. Nella "lista Anemone" Bertolaso viene associato a due appartamenti, uno ai Parioli e l'altro in via Giulia. Per quanto riguarda quello ai Parioli, comprato all'inizio del 2000, il capo della Protezione civile in una conferenza stampa a palazzo Chigi ammise di avere usufruito di lavori di ditte del gruppo Anemone saldando il conto di 20 mila euro con un assegno. Per la casa di via Giulia, Bertolaso ha sempre dichiarato di non averne la proprietà e di avere usufruito per un periodo di un appartamento prestato da un amico (Raffaele Curi), che si lamentò dei pagamenti in ritardo del "factotum" di Bertolaso, che, stando agli ultimi risvolti delle indagini, pare si tratti proprio di Zampolini. Infatti, ha precisato l'architetto durante l'interrogatorio: "Pagavo in contanti e una volta il proprietario si lamentò per il ritardo di sei mesi nel pagamento dell'affitto. Gli portai i soldi tutti insieme". Il pied-à-terre di via Giulia 189 a Roma: "Fu affittato nel 2003, l'ho trovato grazie a un annuncio su un giornale", ha detto ancora Zampolini ai giudici la cui versione dei fatti è stata confermata in pieno anche dal proprietario dell'immobile, Curi, che davanti ai Pm ha ammesso: "Incontrai l'architetto Zampolini nel 2003. Ha avuto in uso la casa fino al 2007. Sin dall'inizio mi era stato detto che ad abitarlo sarebbe stato proprio il capo della Protezione civile". Non solo. Curi agli inquirenti ha anche detto che i soldi dell'affitto (in nero) li ritirava spesso nell'ufficio di Zampolini in corso Vittorio Emanuele a Roma. Mentre altre volte gli venivano recapitati dall'architetto dentro delle buste. Insomma, i due verbali sono chiari, circostanziati e concordi e raccontano che Bertolaso ha utilizzato l'appartamento per quattro anni, dal 2003 al 2007 e che l'affitto è stato sempre pagato da Zampolini per conto di Anemone. Fatti e circostanze di cui Bertolaso dovrà rendere conto nei prossimi giorni ai Pm di Perugia che sicuramente lo vorranno sentire per chiarire anche i tanti punti oscuri taciuti dal sottosegretario nel primo interrogatorio a cominciare dai 50mila euro che la moglie di Bertolaso ricevette da Anemone per una consulenza sui giardini del Salaria Sport Village, lo stesso club in cui il sottosegretario si fece fare anche alcuni "massaggi per la cervicale". Il coinvolgimento della "cricca PD" Il 22 maggio Zampolini è stato nuovamente convocato in Procura per chiarire i precedenti riferimenti ai rapporti tra Di Pietro e Balducci. A tal proposito ricordiamo che Di Pietro si è sempre difeso dalle accuse di aver promosso l'ex Provveditore ai lavori pubblici di Roma sostenendo che: "Balducci l'ho spostato due volte, da presidente del Consiglio dei Lavori pubblici a capo del Dipartimento per le infrastrutture, perché volevo una rotazione continua tra le cariche, non avevo nulla contro di lui, ma la legge non mi avrebbe comunque permesso di chiederne le dimissioni". Parole che Di Pietro ha ribadito davanti ai giudici durante la sua "deposizione spontanea" del 17 maggio scorso ma che lasciano più di una perplessità in quanto viene da chiedersi: ma se Di Pietro non aveva nulla contro Balducci, perché lo spostò? Se invece sapeva qualcosa, perché gli diede un altro incarico? Se si trattava di "Una decisione di prevenzione generale che alla luce di ciò che è successo poi è stata lungimirante" perché Di Pietro non ha denunciato tutto e subito alla magistratura evitando così alla "cricca" di saccheggiare le risorse pubbliche? Perché Di Pietro dopo aver accertato che al ministero delle Infrastrutture le "procedure seguite da quel comitato non erano in linea con quanto previsto dalla legge" e che ci sono "macroscopiche violazioni di legge" nell'assegnazione degli appalti, si limita a informare solo l'allora presidente del Consiglio Prodi e non i magistrati e rinuncia a denunciare tutto pubblicamente in parlamento? Secondo Zampolini, invece, non è assolutamente vero che Balducci fu cacciato da Di Pietro. "I due erano in buoni rapporti - dice - ricordo che grazie all'intervento di Balducci, Di Pietro ottenne due appartamenti in affitto da Propaganda Fide (di cui Angelo Balducci è consultore, ndr)", e "Balducci disse che Di Pietro lo pressava perché voleva essere introdotto in Vaticano". "Ricordo - spiega ancora Zampolini - che uno dei due appartamenti si trovava in via della Vite e credo che Di Pietro l'ha utilizzato come sede del partito (è sede del giornale di Idv, ndr). So che la ristrutturazione di quell'appartamento fu fatta da Anemone e che l'affitto era minimo. L'altro appartamento preso in affitto si trova in via Quattro Fontane. Credo che sia utilizzato dalla figlia di Di Pietro. Anche in questo caso la ristrutturazione è stata fatta da Anemone. Fu Anemone, o uno dei suoi collaboratori, che mi disse che stava facendo i lavori di ristrutturazione per Di Pietro". Accuse che Di Pietro ha nuovamente respinto "in modo categorico" annunciando fra l'altro in una intervista su l'Unità del 4 giugno "una circostanziata querela per diffamazione e calunnia" da presentare alla procura umbra in quanto "né io, né Mura e - men che meno - mia figlia abbiamo mai avuto a che fare con il sig. Anemone, persona che nessuno di noi conosce... Non è proprio vero quanto affermato da Zampolini al quale evidentemente qualcuno ha propinato false informazioni, per mettere tutti nello stesso calderone". Non solo. Alla denuncia Di Pietro allegherà anche la sua ricostruzione dei fatti affinché i magistrati accertino "chi ci sia dietro questa operazione che coinvolge non solo me, ma Prodi, Veltroni, Rutelli... Io ho in mente nomi cognomi e generalità concrete ma se avessi la prova li avrei già denunciati. So che quel mandante e beneficiario occulto, mettendo in bocca a Zampolini dichiarazioni platealmente false, prende due piccioni con una fava: mina la credibilità del teste e delle dichiarazioni vere e riscontrate che ha già fatto (vedi gli assegni girati per conto di Scajola e per conto di Incalza, i rapporti con Lunardi) e mette tutti nello stesso calderone confondendo responsabilità penali e dibattito politico. Insomma, il boss dell'IDV pare voglia mettere le mani avanti perché è convinto che: "Dopo di me ci saranno altri veleni, già anticipati". 9 giugno 2010 |