Con la connivenza di Ciampi che, d'accordo con la massoneria, ha piazzato Folli alla direzione del più importante giornale della borghesia. (Chi è Folli)
BERLUSCONI METTE LE MANI ANCHE SUL 'CORRIERE DELLA SERA'
Bertinotti copre a sinistra il neoduce. Fassino attacca "l'Unità" per aver denunciato il fatto
SCIOPERO GENERALE DEI GIORNALISTI IN DIFESA DELLA LIBERTA' DI INFORMAZIONE

Dopo sei anni Ferruccio De Bortoli ha lasciato la direzione del "Corriere della Sera" (CdS), presentando le sue dimissioni irrevocabili per "motivi strettamente personali" alla proprietà della testata, formata da un patto di sindacato in cui figurano la Gemina di Romiti, la Fiat, Mediobanca, Generali, Pirelli ed alcuni grandi banchieri e finanzieri. Al suo posto è stato nominato Stefano Folli, notista del quotidiano milanese, considerato molto amico di Ciampi e del consigliere di Berlusconi, Gianni Letta.
Ma non si tratta di un semplice cambio della guardia, bensì dell'atto finale di un'operazione politica con la quale il neoduce Berlusconi, con la connivenza di Ciampi, ha messo le mani sul più importante quotidiano nazionale, rafforzando così oltre ogni misura il suo strapotere mediatico: questa è in tutta evidenza la chiave di lettura prevalente dei retroscena dell'avvenimento, nonostante che tanto la destra quanto la "sinistra" del regime neofascista siano stranamente concordi nel negare che si tratti di qualcosa di diverso da un normale avvicendamento.
Il siluramento di De Bortoli, infatti, fa seguito a una lunga serie di pressioni, attacchi e intimidazioni, denunciati dallo stesso interessato, da parte di Berlusconi e dei suoi uomini, in particolare i suoi avvocati e i vari Previti, Ferrara e Tremonti, per ottenere un maggior allineamento del quotidiano di via Solferino al governo. Non che l'ex direttore potesse essere accusato di simpatie di "sinistra". è stato detto per esempio che tra i motivi che lo avevano reso sgradito a Berlusconi e i suoi amici vi fosse stata la sua opposizione alla guerra all'Iraq. In realtà il "Cds" non è sembrato affatto schierato su posizioni contrarie alla guerra, tutt'altro. Ricordiamo fra l'altro che De Bortoli fu il primo a schierarsi a favore della linea guerrafondaia di Bush dopo l'11 settembre (suo lo slogan "da oggi siamo tutti americani"), e che fu sempre lui ad ispirare ed ospitare sul suo giornale l'intervento filoimperialista e razzista di Oriana Fallaci.
Quello che più che altro ha reso inviso l'ex direttore a Berlusconi e al suo clan politico-mafioso è stato il suo rifiuto di compiacere la forsennata campagna di attacco alla magistratura, e alla procura milanese in particolare, in difesa di Previti e dello stesso neoduce sotto processo per corruzione. Tanto che De Bortoli si era preso una denuncia per diffamazione da parte di due degli avvocati di Berlusconi, Pecorella e Ghedini, per averli definiti "avvocaticchi" e cattivi consiglieri del premier in un editoriale al tempo della discussione parlamentare sulla legge Cirami. Lo stesso Berlusconi lo aveva ironicamente chiamato "il suo direttore del `Manifesto"', parlandone con Romiti, per fargli capire quanto ormai fosse tempo di toglierlo di mezzo.

COM'E' MATURATO IL GOLPE
E così è stato. Si dice che Romiti abbia ceduto alle pressioni del premier perché molto interessato alle commesse delle "grandi opere", tra cui il Mose di Venezia, per la sua società di costruzioni, Impregilo. Stesso discorso per Agnelli, che ha un disperato bisogno degli aiuti del governo per far fronte alla crisi Fiat. Quanto a Mediobanca e Tronchetti Provera, si sa che sono non da oggi allineati con Berlusconi. E poi c'è il finanziere Ligresti (Sai-Fondiaria), stretto alleato di Berlusconi, che con il cavaliere piduista condivide lo stesso oscuro passato di rapido arricchimento in odore di mafia, Craxi e P2, che già un anno fa tentò la scalata al "Corriere" a nome e per conto del suo sodale, e che pur non facendo parte del sindacato di controllo del quotidiano preme per entrarvi e comunque come azionista al 5% di Rcs Mediagroup ha non poca voce in capitolo. Sta di fatto che a un certo punto De Bortoli si è reso conto di essere stato mollato a sé stesso dalla proprietà, e non gli è restato altro che dare "spontaneamente" le dimissioni, non senza aver spuntato in cambio la remunerativa carica di direttore della Rcs Libri.
La nomina di Stefano Folli a suo successore, per quanto presentata come un segno di "continuità" nella linea di "indipendenza" del Cds in quanto proveniente dall'interno della redazione, non fa che confermare il disegno politico neofascista che sta dietro le dimissioni forzate di De Bortoli. Folli, infatti, che proviene dall'organo del partito repubblicano "La voce repubblicana" di La Malfa e Spadolini, e che ha collaborato con quotidiani e riviste in odore di fascismo come "Il Tempo" e "IdeAzione", assiduo frequentatore del salotto romano, frequentato anche da Bertinotti, della famiglia fascista Angelillo, molto amico di La Russa e Gianni Letta, è un anticomunista di vecchia data e sicuramente più vicino alla Casa del fascio di quanto non lo fosse il suo predecessore.
Ma c'è di più. Folli è noto anche per essere molto amico di Ciampi, e sarebbe stato proprio quest'ultimo a sponsorizzare la sua nomina. Lo ha confermato anche Cossiga, con una lettera a "l'Unità" del 31 maggio, in cui l'ex presidente della Repubblica afferma che se De Bortoli è stato indubbiamente cacciato per volontà di Berlusconi, Folli è stato voluto più che altro da Ciampi, e non solo da lui. Infatti, oltre che da Ciampi, la nomina di Folli sarebbe stata patrocinata anche "dall'istituzione di via Giustiniani", cioé dalla massoneria. E Cossiga non parla certo da estraneo a queste cose.
Dunque con quest'operazione anche la massoneria rimette le mani sul più importante giornale della borghesia, come già era riuscita a fare con Gelli e la P2 negli anni '80. Un'operazione, quindi, che ha un padre e una madre, che si chiamano Ciampi e Berlusconi, e che hanno agito di concerto, ciascuno nel suo ambito e secondo i propri interessi, per mettere sotto controllo il più importante quotidiano nazionale borghese. Specie in questo momento che in parlamento sta per essere approvata la legge salva-Berlusconi (e salva anche le altre più alte cariche dello Stato, a cominciare dal presidente della Repubblica), e che c'è bisogno di avere il massimo sostegno mediatico a questo nuovo, sfacciato e scandaloso strappo alla Costituzione.

ALLARME TRA I GIORNALISTI
Il senso politico neofascista dell'operazione è stato colto appieno dai lavoratori del "Corriere della Sera" e della stampa in generale, che l'hanno immediatamente denunciato e sono scesi in agitazione in difesa della libertà di informazione minacciata dal potere politico. In un documento approvato il 28 maggio, alla vigilia dell'annuncio ufficiale del cambio di direzione, l'assemblea dei giornalisti del quotidiano milanese esprimeva "disagio" per le voci in tal senso e ricordava di aver già denunciato, nella primavera del 2002 "pressioni e intimidazioni riconducibili ad ambienti governativi sulla libertà del Cds", diffidando altresì "tutti i soggetti in campo dal porre in essere azioni o atti in contrasto con un patrimonio di libertà riconosciuto da tutti in Italia e non solo". Con 104 sì e 31 no (di cui 30 della redazione romana, quella diretta da Folli), l'assemblea del "Cds" ha inoltre indetto una giornata di sciopero per sabato 31 maggio, per cui il quotidiano non è uscito in edicola la domenica successiva.
La Federazione nazionale della stampa (Fnsi) ha indetto uno sciopero generale di tutti i giornalisti italiani il 10 giugno per la libertà di informazione e l'indipendenza dei media, con particolare riguardo alla situazione del "Corriere". In un documento la giunta della Fnsi ha espresso "grande preoccupazione per una situazione che pone ai giornalisti seri problemi per l'indipendenza della categoria e la libertà dei media. La vicenda del cambio di direttore del Corriere della Sera - sottolinea il documento - così come per esempio quella delle ispezioni al Tg3 e di iniziative legislative tese a ridurre gli spazi del pluralismo impongono al Sindacato dei giornalisti scelte decise e iniziative di mobilitazione e di lotta coerenti".
Una firma autorevole del "Cds" come Corrado Stajano, che si è dimesso per protesta dal giornale, in una lettera a "l'Unità" dell'8 giugno, ha così sintetizzato il retroscena del colpo di mano di via Solferino: "Berlusconi vuole tutto. Non gli bastano le sue tre reti televisive, la Rai, i giornali parentali e quelli amici, le radio e le case editrici, come non succede in nessun paese del mondo. Il 'Corriere', nonostante non fosse nemico, era ed è un inciampo da togliere di mezzo".
Parole chiare, inequivocabili, che però a livello politico sono cadute nel vuoto più assoluto, perché la "sinistra" parlamentare, al contrario dei lavoratori dell'informazione, non ha trovato nulla di "anormale" nel terremoto alla direzione del "Corriere", e comunque non vi ha ravvisato gli estremi di un attentato alla libertà di stampa, o una manifestazione di regime, né instaurato né in via di instaurazione. Anzi, i suoi leader non solo si sono profusi in inchini, attestati di stima e auguri al nuovo direttore, accettando quindi senza battere ciglio il fatto compiuto, ma si sono addirittura scagliati contro i loro stessi organi di stampa che avevano denunciato il golpe di Berlusconi.

LA "SINISTRA" BORGHESE COPRE iL GOLPE
Così è successo con "Liberazione", il cui direttore Curzi è stato sconfessato prima dalla trotzkista luxemburghiana Gagliardi ("il Corriere non è stato espugnato", e "Berlusconi ha dovuto mettere da parte (per ora) i propri progetti militari", ha scritto costei in controtendenza con la linea del giornale), e poi dallo stesso Bertinotti, perché il quotidiano del PRC aveva attaccato Folli e aveva detto che Berlusconi ha messo le mani sul "Cds". Bertinotti aveva invece glissato sull'assalto del neoduce al "Corriere", minimizzandone la portata, e si era speso in uno sbalorditivo quanto sbracato elogio al neodirettore Folli: "Al di là di una valutazione più compiuta sullo stato dell'editoria italiana e sul grado di autonomia di tutte le grandi testate giornalistiche - aveva infatti dichiarato a caldo il leader trotzkista del PRC - vogliamo ora sottolineare soltanto il valore professionale di un giornalista come Stefano Folli, che si è sempre distinto per acume analitico e autonomia di giudizio, a lui i nostri auguri di buon lavoro".
Questa sorprendente copertura dell'operazione neofascista di Berlusconi da parte di Bertinotti è stata riconfermata anche nella riunione con la redazione di "Liberazione", dove la contraddizione tra le due linee è emersa in maniera eclatante e ha lasciato intravedere un problema politico ben più ampio: la svolta impressa da Bertinotti al PRC dopo l'accordo elettorale con l'Ulivo siglato direttamente con D'Alema, e quindi saltando quella "sinistra" diessina che tanto piace a Curzi. Secondo Bertinotti, che ha ribadito il suo ostinato "apprezzamento" per Folli, l'assalto alla libertà di informazione non è del solo Berlusconi, ma di tutto il capitale, per cui - è stata la sua stupefacente conclusione - "non possiamo farci risucchiare nella categoria dell'antiberlusconismo".
Una cosa del tutto analoga è successa tra "l'Unità" e il vertice della Quercia. "l'Unità", che aveva titolato "Si sono presi anche il Corriere", è stata redarguita da Fassino ("Ci vuole misura", l'ha rimproverata), che come Bertinotti, D'Alema, Caldarola, Angius, si è profuso anch'egli in elogi sperticati a Folli, dicendosi convinto che il neo direttore saprà assicurare l'"indipendenza" del maggiore quotidiano nazionale.
Evidentemente Folli deve avere molti agganci anche nella "sinistra" borghese, oltre che nella destra neofascista, per riscuotere un tale plebiscitario consenso, che comprende l'intero arco parlamentare, dai fascisti a Rifondazione. Viene da pensare che la presenza della massoneria, anche ai vertici dei partiti della "sinistra" del regime, sia più forte di quanto si possa immaginare.
La "sinistra" borghese ha scelto di coprire il golpe berlusconiano nella speranza che Folli, uomo di Ciampi, voglia recitare un ruolo super partes e di "garanzia" tra i due poli, ma si illude. Non vede, o finge di non vedere, che Ciampi esercita con Berlusconi la stessa funzione che il re Vittorio Emanuele III esercitava con Mussolini, cioè lo copre in tutte le sue innumerevoli malefatte, mentre fa finta di "moderarlo" nelle sue manifestazioni di incontenibile arroganza neofascista e presidenzialista.